Educhiamo le ragazze alla diffidenza

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14 Settembre 2017

Diffidenza. A questo bisogna educare le bambine, sin da piccole. Dobbiamo educarle a essere consapevoli dei rischi che possono nascondersi fuori, nel mondo. E che non arrivano soltanto sotto forma di “estranei”.

Purtroppo è necessario che le ragazze sappiano che i rapporti con i ragazzi, e con gli uomini in generale, possono comportare dei rischi. Rischi da non dare per scontati, ovviamente, ma neanche da liquidare come rari o patologici o eccezionali. Bisogna educare le ragazze a individuare subito i segnali di pericolo, e ad agire di conseguenza.

In Italia ogni due giorni una donna viene uccisa da un uomo. Un uomo che conosce. Il femminicidio non è un evento raro. E sotto a questo dato, già di per sé scioccante, si nascondono una miriade di casi di violenza fisica, psicologica, sessuale.

Un nuovo, tragico caso di cronaca ci investe di un’ormai ben nota sensazione. Quel senso di impotenza, quella costernazione di fronte all’ennesimo femminicidio, a una ragazza – una bambina – di soli sedici anni ammazzata. Da un diciassettenne che era già stato denunciato dalla madre della ragazza, e che aveva dimostrato di essere possessivo e violento. Ma che non è stato fermato in tempo.

Non sono una giurista, una criminologa e tanto meno una politica. Sono convinta che la politica debba fare di più, molto di più. Che ci voglia un impegno di tutta la società per mettere in moto il cambiamento culturale necessario affinché il maschilismo e la violenza sulle donne, in Italia, abbiano fine.

Nel frattempo, e non può essere altrimenti, bisogna educare le bambine, le ragazze, le donne a essere consapevoli, prudenti, e anche diffidenti. Anche a costo di essere etichettate come esagerate, paranoiche, stronze eccetera. Perché i fidanzati, gli amici, i compagni e i mariti che uccidono esistono davvero, non sono una creazione dei media. Così come esistono i fidanzati, gli amici, i compagni e i mariti che picchiano, violentano, ricattano, abusano.

Bisogna stare attente, dunque. Ma attente a cosa? Per cercare di capire se si possa individuare in tempo un possibile femminicida, l’anno scorso ho intervistato l’esperta Isabella Merzagora, professoressa di Criminologia presso la Sezione di Medicina Legale dell’Università di Milano e Presidente della Società italiana di Criminologia. Ecco i dati principali emersi dall’intervista e alcune raccomandazioni:

–        Nella maggior parte dei casi, gli uomini che uccidono la compagna/moglie/ex non sono affetti da malattia mentale;

–        Gli uomini abusanti non hanno un profilo sociale, né un’età specifica;

–        Bisogna troncare il rapporto non appena si verifica una violenza di qualunque tipo, nonché denunciare quando gli abusi o l’insistenza si ripetono;

–        Troppo spesso le violenze psicologiche non vengono percepite come violenze;

–        La chiave sta nella frequenza: se gli insulti sono ripetuti, quella è violenza. E con un violento non si sta.

–        Rispetto ai casi di violenza perpetrati da uomini, i casi di violenza femminile sono quantitativamente irrilevanti;

–        Evitare come la peste (sic) i cosiddetti “ultimi colloqui chiarificatori”;

Ecco l’intervista completa.

TAG: abusi, donne, femminicidio, italia, Noemi, violenza
CAT: Criminalità, Questioni di genere

5 Commenti

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  1. tatiana-martino 7 anni fa

    Spero che lei sia sarcastica. In pratica sta suggerendo qualcosa come “se mi stuprano per strada è sempre colpa mia perché non avevo una cintura di castità”.
    Mentre -quello che traspare da quanto lei ha scritto è che- i ragazzi non vanno educati al rispetto, all’empatia, a gestire emozioni e sessualità, perché loro no, non sono mentalmente disturbati e quindi va tutto bene se sono li cresciamo come degli alessitimici narcisisti…

    Se, come dice, auspica alla fine del maschilismo (e io credo che lei sia sincera) forse è il caso di lavorare un pochino su se stessa, perché questo post è maschilista. Parecchio.

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  2. guido 7 anni fa

    In sostanza, le diseduchi

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  3. vsaini 7 anni fa

    Buongiorno Tatiana. Forse non ha letto con attenzione il mio post: del resto capita, in questi tempi frenetici. Il post si concentrava su relazioni affettive e sentimentali, che dovrebbero essere contraddistinte da amore e rispetto ma che, talvolta, diventano pericolose. Relazioni dove il “fidanzatino”, il compagno, il marito, l’amico insultano, minacciano, abusano, uccidono. E infatti nel post scrivo di “fidanzati, amici, compagni e mariti che picchiano, violentano, ricattano, abusano.” Esperti come la criminologa linkata alla fine dell’articolo ci insegnano che nessun segnale di minaccia deve essere sottovalutato. Ho conosciuto (e io stessa ci sono passata) troppe donne che, per amore, hanno lasciato correre e hanno tollerato troppo. Questo non significa, ovviamente, “andarsela a cercare”: la colpa ricade esclusivamente su chi abusa, insulta, minaccia, uccide. E questo non esclude, ovviamente, il lavoro che bisogna fare a livello collettivo (il che include l’educazione dei ragazzi), come del resto ho scritto: “Sono convinta che la politica debba fare di più, molto di più. Che ci voglia un impegno di tutta la società per mettere in moto il cambiamento culturale necessario affinché il maschilismo e la violenza sulle donne, in Italia, abbiano fine.”
    Il punto è che quando si finisce involontariamente intrappolate in certi tipi di relazione è difficilissimo uscirne. Basta chiederlo a un/a psicologo/a specializzato in dipendenze affettive. Ecco perché quando avrò una figlia, voglio trasmetterle il valore della diffidenza. Non per colpa sua, ma per colpa di certi maschi stronzi che girano. Se avrò un figlio invece, stia pur certa che gli insegnerò a dare alle donne il rispetto che lui vuole per se stesso. Non dubito che gran parte degli uomini siano ottime persone. Ma i femminicidi non sono un’invenzione dei giornali.
    PS: non era un post sulle violenze sessuali (stupri e altro) commessi da sconosciuti. Ma, se lo fosse stato, come dimostra il mio lavoro, di sicuro non avrei responsabilizzato in nessun modo le donne. Ripeto, forse non ha avuto modo di leggere bene il post.

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  4. tatiana-martino 7 anni fa

    Buongiorno a lei, signora Saini e grazie per la risposta.
    Quello che lei propone di fare ad esclusivo vantaggio delle sole ragazze, è ciò che un normale genitore mette in pratica con i figli di entrambi i sessi. Quello che io le contesto è che intanto la “diffidenza” non è considerabile un valore educativo ma soprattutto, quello che stride, e stride tanto è questo indiretto deresponsabilizzare il maschio facendo sì che sia la femmina a doversi rendere conto, a dover stare sulle difensive, sempre in guardia, sempre pronta a decodificare i messaggi verbali e non verbali di un possibile maschio abusante. Lei, lei sola.
    Da genitrice, voglio che i miei figli siano al sicuro ma voglio anche vivano serenamente. E’ possibile educare al valore del rispetto e a riconoscere quando questo viene meno, nei confronti di se stessi, nei confronti dell’altro. Educare (?) alla diffidenza significa condannare una figlia a una vita di paure e di allontanamento dall’altro. Due cose di cui -specie di questi tempi- non abbiamo proprio bisogno.

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  5. vsaini 7 anni fa

    Gentile Signora Martino, in quest’epoca di manicheismi e di aut-aut, si tende a dimenticare che spesso è una questione di sfumature. Esiste una diffidenza positiva, buona, che è l’espressione di saggezza antica: quella, tanto per intenderci, che mia nonna (settant’anni, con alle spalle fame, emigrazioni internazionali, due figlie e molto altro) cercava di trasmetter anni fa a me, ragazzina ancora “diseducata” dai film hollywoodiani e da un certo ottimismo forzato-zuccheroso. Conosco molta gente che è diffidente ma non per questo vive nella paura o nel terrore: mio marito, per esempio, da buon siciliano è un po’ diffidente (diffidenza che l’ha salvato da innumerevoli truffe e tentativi di raggiri) ma non per questo non è una persona ottimista, serena e positiva. Come lui, immagino, ce ne saranno tante altre – uomini e donne – da Nord a Sud. D’altro canto, può esistere anche un ottimismo un po’ ottundente che ci fa guardare il mondo con degli occhiali rosa e una fiducia eccessiva che ci può indurre a credere che le favole raccontate da film, telefim e tv sempre con l’happy end incorporato… e questo vale soprattutto per le categorie più esposte a questo continuo bombardamento di fandonie, come appunto molte ragazzine (e ragazzini, ovviamente) (ricordando bene la giovinezza mia, e di tante amiche e cugine, sono cresciuta con il mito dell’uomo maturo ma sempre da giustificare, col principe azzurro, con quello che ti fa soffrire ma poi alla fine si pente e torna sempre: roba che neanche il Manzoni con l’Innominato…).
    In questo articolo MAI ho voluto deresponsabilizzare i maschietti, anzi. Ho auspicato interventi a livello politico, giuridico e sociale. Certo che bisogna educare tutti – maschi e femmine – ma l’educazione di massa ha tempi lunghi (quasi una longue durée braudeliana) e lo dimostrano i numeri purtroppo. Cosa crede che sia più facile? Mettere in guardia una brava ragazzina, in gamba e fiduciosa, di 13 anni a essere diffidente nei confronti dei compagni cretini o cattivi, o educare il giovane femminicida di Lecce?

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