Ecco l’identikit del femminicida

:
7 Agosto 2016

In questi giorni si parla tanto (anche se non abbastanza) di femminicidio. Di questo fenomeno, che nel solo 2015 ha ucciso 128 donne (152 l’anno precedente, e 76 nei primi mesi del 2016), si conoscono bene alcuni aspetti. Ad esempio si sa che, nella stragrande maggioranza dei casi, gli assassini sono i partner (mariti o compagni) o ex partner delle donne uccise. E che, molto spesso, le donne vengono uccise quando decidono di separarsi, o mesi dopo averlo fatto. Ma allora esiste una sorta di “identikit” del femminicida? Si tratta di uomini che rispondono a uno stesso profilo psicologico e comportamentale? Si può riconoscere un potenziale maltrattatore (capace anche di uccidere) in tempo per salvarsene? Per cercare di capirlo ho intervistato Isabella Merzagora, professoressa di Criminologia presso la Sezione di Medicina Legale dell’Università di Milano e Presidente della Società italiana di Criminologia. Ecco un estratto della nostra conversazione.

Sette anni fa lei ha pubblicato “Uomini violenti. I partner abusanti e il loro trattamento”. Professoressa, cosa l’ha spinta a scrivere quel libro?

Ero stata chiamata a far parte di una commissione ministeriale e quella è stata l’occasione, diciamo. Ho pensato che se mi fossi preparata in maniera specifica avrei potuto fare meglio il mio lavoro. Quindi mi sono presa un anno sabbatico, durante il quale sono andata avanti e indietro per le patrie galere a intervistare queste persone e avere lunghi colloqui con loro.

E qual è la tesi principale del libro?

Intanto, in termini di motivazioni, io ho elaborato delle tipologie. Pochissimi di questi soggetti hanno commesso il reato a causa di malattia mentale. Le ragioni che ricorrono più spesso, e che a volte sono mescolate tra loro, sono altre. Innanzitutto l’adesione a una sottocultura di discriminazione di genere: si tratta di soggetti che ritengono di dover avere il possesso della donna e il controllo assoluto nella coppia. E poi c’è la dipendenza, l’impossibilità di riuscire a stare senza la partner.

Ma che cosa si intende per “uomo abusante”? A livello criminologico equivale a un femminicida?

Purtroppo non è infrequente che l’uxoricidio [l’uccisione della moglie e, in senso ampio, partner] sia la tappa finale di una serie di abusi, maltrattamenti e violenze di ogni genere, quindi in questo senso l’uomo abusante e il femminicida possono coincidere. Per fortuna però non tutte le violenze (fisiche, psicologiche, sessuali o economiche che siano) si concludono con l’uxoricidio… Questa, in un certo senso, è la buona notizia. Quella cattiva è che noi abbiamo dati certi sul numero di uxoricidi ma non sulle altre violenze perché, il più delle volte, queste non vengono denunciate. Peraltro, forse, ancora oggi le violenze psicologiche non vengono del tutto percepite come tali.

Cioè? Cosa si intende dunque per violenze psicologiche?

Maltrattamenti verbali e mortificazioni del tipo “non sei nulla senza di me”, per non parlare del fenomeno dello stalking. D’altra parte a questo proposito va detto che le violenze psicologiche non sono appannaggio esclusivo degli uomini: anche le donne ci sanno fare in questo senso. Però tutti i tipi di abusi sono più frequenti da parte maschile che non viceversa. E se parliamo di violenza fisica poi, non c’è assolutamente paragone.

Isabella Merzagora docente di Criminologia all’Università di Milano

Isabella Merzagora docente di Criminologia all’Università di Milano

Secondo vari giuristi (italiani e stranieri) una legge, per quanto possa avere aggravanti pesanti nei casi di femminicidio e in presenza di un legame sentimentale, non è un deterrente efficace per gli uomini che arrivano a uccidere la propria partner o ex partner. È d’accordo su questo?

Cominciamo intanto con un discorso che non riguarda solo l’uxoricidio perché, appunto, esistono molti tipi di violenze. L’ISTAT, che ha realizzato una ricerca a riguardo, ci dice che la stragrande maggioranza (a volte addirittura la quasi totalità) dei casi di maltrattamenti non viene denunciata. Mi chiedo che senso abbia dunque aumentare le pene per fenomeni che non vengono nemmeno denunciati… Non sarebbe meglio stimolare un mutamento culturale e un approccio di prevenzione che portassero queste donne a denunciare? Mi sembra quasi una beffa proporre di aumentare le pene per fenomeni che non vengono denunciati, sembra solo un provvedimento simbolico. Con questo non voglio dire che le leggi non abbiano effetto, ovviamente ce l’hanno, pure a livello simbolico, perché comunque segnalano la nocività e l’inaccettabilità di un determinato comportamento.

Ma lei è d’accordo sul fatto che per gli uomini che uccidono la loro partner o ex partner l’aggravante penale non sia un deterrente?

Non solo sono d’accordo ma mi faccio alcune domande… mi chiedo se rendere diverso l’ammazzare una donna dall’ammazzare un uomo non significhi perpetuare una differenza tra uomini e donne. E non credo che sia il caso di farlo. Insomma, io non voglio essere considerata come facente parte di una specie protetta. Voglio essere trattata come gli altri.

Esiste per caso una sorta di “identikit” del femminicida?

Sono soggetti che hanno, spesso contemporaneamente, una dipendenza patologica dalla partner, e l’idea che il marito (o l’uomo in generale) sia il capo e debba avere il possesso assoluto della partner. E attenzione, per “possesso assoluto” questi soggetti non intendono solo che la donna non abbia relazioni con altri uomini, ma che non abbia nient’altro al di fuori di loro. Infatti è piuttosto frequente che gli abusi comincino alla prima gravidanza. È come se il bambino venisse percepito come qualcuno che distoglie la donna da questo atteggiamento di assoluta disponibilità nei confronti dell’uomo.

C’è un certo tipo di background alle spalle di questi uomini?

No, è un comportamento per così dire molto democratico, socialmente trasversale. Non esiste una connotazione sociale come non esiste una connotazione di età. Noi pensavamo e speravamo che queste cose ormai capitassero solo a soggetti imbevuti di una vecchia cultura dell’onore. Invece le vediamo anche tra i giovani, nelle nuove generazioni.

Quanto è determinante l’educazione nel rendere un uomo potenzialmente abusante o addirittura femminicida?

Molto. Chiariamo subito, non sto postulando alcun determinismo, ma i ruoli che si apprendono in famiglia, i ruoli giocati dai genitori, sono quelli che più probabilmente una persona farà suoi. E lo stesso chiaramente succede anche fuori dalla famiglia, nei luoghi e nelle età di socializzazione: anche il gruppo dei pari è molto importante, e purtroppo le battutacce di stampo maschilista tra ragazzini non sono esattamente una novità. Io continuo ostinatamente a ritenere che un po’ le cose siano migliorate, in realtà, però certo… sarebbe stato meglio poter rilevare un processo di civilizzazione più accentuato.

In Italia è previsto un qualche trattamento o programma di rieducazione specifico per questi uomini?

Noi lo offriamo ad esempio. A Milano abbiamo il primo progetto varato per il trattamento dei partner abusanti, si chiama S.A.Vi.D. che sta per Stop alla violenza domestica, ed è iniziato nel 2009. È un trattamento di tipo criminologico, non di tipo psicologico: questi uomini non sono malati, o non necessariamente comunque. Vogliamo soprattutto responsabilizzarli su ciò che fanno o hanno fatto. Ci occupiamo di soggetti liberi e di soggetti che vengono inviati dal carcere come misura alternativa.

E può già esprimere un giudizio sull’efficacia di questo tipo di trattamento?  

Purtroppo noi non disponiamo di dati perché è difficilissimo andare a verificare se ogni uomo sia stato nuovamente denunciato o arrestato dopo aver partecipato al nostro programma. Posso però dire che in molti ci hanno ringraziato per aver fatto loro pensare a delle cose di cui prima non si rendevano conto, assicurando di volersi comportare diversamente. In effetti una delle funzioni del trattamento è insegnare loro delle alternative alla violenza per affrontare i momenti di crisi, e molti ci hanno detto che gli è servito. Fra l’altro noi parliamo anche con le partner di questi uomini, quando lo vogliono.

Le ragazze e le donne che si trovano ad affrontare situazioni difficili, ad esempio a subire stalking o altri comportamenti allarmanti, cosa possono fare?

Non credere al vecchio adagio che dice “l’amore non è bello se non è litigarello”. Non sto parlando del normale conflitto di coppia, sia chiaro, ma non bisogna accettare nessun tipo di violenza. Ci vuole il coraggio di troncare quando c’è una violenza di qualunque tipo, e di denunciare quando gli episodi di abuso, o comunque di insistenza forti, si ripetono.  Soprattutto raccomando di evitare come la peste l’ultimo colloquio “chiarificatore”, perché purtroppo, spesso, è l’ultimo in tutti i sensi. Non bisogna andarci proprio, nemmeno accompagnate perché neanche farsi accompagnare garantisce un bel niente. In casi del genere è molto meglio essere ineleganti e piantare via sms.

Magari si possono considerare certi tipi di insulti come l’avvertimento che è meglio troncare?

Certamente l’insulto è un tipo di violenza psicologica, però non facciamo la caccia alle streghe: un litigio, anche pesante, può succedere. La chiave sta nella frequenza, se gli insulti sono ripetuti, quella è violenza. E con un violento non si sta.

TAG: criminologia, Discriminazione di genere, femminicida, femminicidio, identikit, violenza contro le donne, violenza di genere
CAT: Criminalità, Questioni di genere

Nessun commento

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

CARICAMENTO...