Beni culturali
Spettacolo dal vivo, colpi di forbice su danza e “multidisciplinari”
ROMA _ Alessandro Giuli Terminator? O più banalmente Mani di Forbice a giudicare da come è caduta giù pesante la mannaia sui contributi per la triennalità nel settore dello spettacolo dal vivo, danza e multidisciplinarietà ? Ad accendere la spia è stato quello che è accaduto giorni fa a Firenze, nel caso di un teatro storico come la Pergola, declassato dalle commissioni ministeriali da Teatro nazionale a “Tric” – sorta di teatro di città, una serie B insomma – con coda di polemiche tra il neo nominato direttore Stefano Massini, che ha preso appena il posto di Marco Giorgetti, e lo stesso ministro che ha lanciato strali ironici all’indirizzo del teatrante. La decisione di bocciare Firenze ha visto la contrarietà di tre membri della commissione che per protesta si sono dimessi.
Ma la bocciatura formale è arrivata proprio ieri mattina. Un verbale di una ventina di pagine che riporta i lavori della Commissione Consultiva per il teatro, (dalle riunioni del 7 e 8 maggio) e condanna senza appello il programma triennale della Pergola che, per quanto poetico “risulta estremamente generico, se non inesistente”. Per di più anche “fortemente autoriferito, privo cioè della pluralità che un Ente nazionale dovrebbe garantire, tanto da apparire che non si tratti più del Teatro della Toscana ma bensì del Teatro del Direttore Artistico Stefano Massini”. E poi si cita ”la dicitura del contratto” che esclude “ogni rapporto con il Direttore generale” e che “potrebbe comportare la nullità del contratto stesso”. Dalla città dei Medici promettono battaglia e la sindaca Sara Funaro manifesta la volontà di impugnare la decisione del Ministero. E intanto a Firenze circolano voci che un rientro in campo del direttore Giorgetti potrebbe rimettere a posto le cose…
É dell’altro giorno invece l’uscita proprio del ministro Giuli che pareva porgere un ramoscello d’olivo parlando di riesame del caso. In realtà questa è un’opzione largamente prevista come atto conciliatorio per chi è stato escluso dai finanziamenti. Che però ha una controindicazione: chi dovrebbe riesaminare i ricorsi? Gli stessi che hanno bocciato? Tertium non datur.
Il sentire prevalente del settore dello spettacolo dal vivo è che si voglia ridisegnare la realtà secondo criteri ultraconservatori, sbilanciati sul commerciale e nessuna attenzione verso chi sperimenta e fa ricerca da anni, cercando di reggere il confronto con il resto d’Europa, dove tra l’altro vengono destinati budget ben più alti di quello tricolore. Se questa sembra la direzione presa – cioè entrare a gamba tesa in un comparto fragile più del classico negozio di porcellane – significa che l’Italia si sta giocando molto sul diritto di espressione e critica. Senza parlare addirittura di spoil sistem che potrebbe innestare future spirali di ritorsioni avvelenando per anni il confronto politico e culturale.
Le condizioni d’altra parte, sembrano esserci tutte. A giudicare dai tagli già operati, e dei quali in massima parte non se ne coglie ancora né significato né portata. Nei fatti intere generazioni d’improvviso diventano invisibili e vanno in fumo centinaia di posti di lavoro, molti dei quali precari. Tutto questo si evince semplicemente dando uno sguardo agli anonimi e burocratici fogli diffusi dal sito del ministero: una sequela di nomi, cifre relative ai punteggi che certificano o no l’ammissione a ricevere le risorse. Basta seguire con un dito e scoprire delle situazioni macroscopiche. Ma come può una commissione assegnare un punteggio che determina l’esclusione all’accesso dei contributi a chi nell’ultimo scrutino aveva sfiorato la massima votazione? E cosa mai sarà successo di così terribile da far scatenare le forze della Santa Inquisizione e condannare il malcapitato al rogo?
Se poi magari si guarda con più attenzione, si scoprirà magari che i penalizzati, sono festival o teatri contraddistintisi sempre in una difficile e preziosa opera di crescita. E se due indizi sono una conferma viene da ipotizzare che tutto quello accaduto sul fronte delle assegnazioni delle risorse per danza e multidisciplinari (un settore che riunisce un po’ di tutto: dalla danza ai festival), il faro guida sia stato quello di colpire proprio chi ha lavorato in questo modo, dando una botta -perché no? -anche a chi, puta caso, è scomodo e pure non allineato. Ergo siamo di nuovo al grado zero della politica. Forse sarebbe il caso di tornare al cuore del problema dando un assetto sicuro all’intero settore con regole chiare e trasparenti: utili per individuare nuove idee e proposte bocciando chi non rispetta i patti. Naturalmente occorrono anche quadri esperti che conoscano le procedure sistemiche e non si avventurino in dispute politiche fini a se stesse. E, naturalmente, con persone che sappiano governare senza obbedire a imput di partiti, qualunque essi siano. Il teatro, la danza, la musica, la cultura vanno liberate da certi lacciuoli e ricatti. Liberi di creare. Liberi di costruire. Liberi.
Partiamo dal settore dei festival. Sono circa una trentina quelli storici esclusi e in passato sostenuti invece dal contributo pubblico. Questa esclusione spinge queste realtà in un vicolo con poche vie d’uscita.
Nel caso di quelli multidisciplinari i casi più eclatanti sono quelli del Teatro Akropolis di Genova e dei Teatri di Vetro di Triangolo Scaleno a Roma, veri punti di riferimento della ricerca nazionale, sono stati trampolino di lancio per giovani formazioni, luogo di confronto tra teatranti e studiosi. Il primo che ha celebrato lo scorso anno quindici anni di attività del suo festival “Testimonianze, ricerca, azioni”, si è visto assegnare dai commissari il punteggio di 8,9 a fronte di 29 ottenuto nelle scorse edizioni (per accedere ai contributi ministeriali occorre raggiungere un minimo di 10 punti), questo nonostante abbia ricevuto premi prestigiosi (Ubu, Histrio, Best Book e ora finalista al Premio Cultura + Impresa).
Dice Clemente Tafuri direttore artistico di Akropolis. “Il cuore del problema riguarda la capacità o meno di guardare al proprio tempo in modo critico e generativo. E non è possibile farlo se non si attraversano i temi della ricerca, del contemporaneo e la multiformità dei linguaggi in cui l’arte, in questo caso lo spettacolo dal vivo, si declina. Siamo di fronte a una presa di posizione da parte dello Stato nei confronti di temi da sempre fondativi della cultura, del sapere e della creazione. Ma questa vicenda non mette in gioco solamente la natura intellettuale o concettuale di quanto ci troviamo ad affrontare, che sarebbe comunque interessante, e doveroso, affrontare al livello che merita. Qui si attacca deliberatamente una parte del teatro italiano, mettendo a repentaglio l’esistenza di decine di strutture”.
Situazione simile quella di Teatri di Vetro di Roma che in un anno passa dai 29 punti a 8,5. Ma ecco altri casi: Attraversamenti Multipli di Margine Operativo (Roma) passa da 26 punti nel 2024 a 9 nel 2025. Per la danza Tendance di Rosa Shocking (Latina) da 24 punti nel 2024 a 9. E Conformazioni di Associazione Muxarte (Palermo) da 24 punti nel 2024 scivola a 8 punti nel 2025.
Duramente colpito anche un festival-icona come quello di Santarcangelo che dai 28,3 punti del 2024 scivola a 14 punti.
Altre bocciature sensazionali: “Cortoindanza” di Tersicorea (Cagliari): da 22 punti va a 9; “Racconti di altre danze” di Atelier delle Arti di Livorno da 22 a 9. E così anche Futuro Festival di Alatri (da 22 a 9). Armunia curatrice di Inequilibrio Festival da 17,20 passa a 10,10. In tutto 14 festival multidisciplinari, 8 di danza e 7 di teatro sono i festival giù in precedenza sostenuti e poi esclusi dal finanziamento nel 2025.
Altri invece subiscono un pesante abbassamento. Si tratta di eventi di richiamo e considerati di profilo come Santarcangelo. Un esempio: il festival Ipercorpo di Città di Ebla, da 29 nel 2024 a 11 nel 20125, BIG di Bari stesso percorso. Danae del Teatro delle Moire da 32 punti nel 2024 a 11 nel 2025. Per la danza vanno citati i casi di Abbondanza/Bertoni, riferimento della storia della danza contemporanea italiana a cui resterà il titolo di compagnia di produzione e non potrà aspirare alla nascita di un centro. Cassato anche un progetto di formazione eccellente come quello condotto da Adriana Borriello. E, ancora sui Centri: viene affondato quello inaugurato tre anni fa da Spaziodanza a Cagliari che dovrà tornare alla casella di partenza come festival.
Parlando di Sardegna, c’è un caso all’interno di quello generale riguardante la danza. In una regione storicamente depressa, che ha sempre avuto e tuttora ha grandi difficoltà nello sviluppare il teatro e la danza, il Ministero non trova di meglio che tagliare 6 progetti su un totale di nove, provenienti da questa regione. C’è qualcosa di oscuro e sinistro in tutto questo. Tra l’altro i primi due progetti ad essere stati spazzati via in quello che sembra un piano programmato, sono due organismi di produzione di giovane danza come S’Ala di Sassari e Oltrenotte di Cagliari con forte presenza di giovani e promettenti danzatrici e danzatori. A questi si aggiungono la già citata Tersicorea, che con il festival Cortoindanza ha avuto il merito di far conoscere artisti da tutta Europa, offrendo la residenza a diverse compagnie. A questi vanno aggiunti Fuorimargine il centro di produzione varato da Spaziodanza, una compagnia che per anni ha allestito rassegne dedicate al contemporaneo e Carovana Smi, Suono, movimento immagine. Azioni trasversali. Centro di incontro e produzione di singolari momenti di ricerca e dialogo con culture diverse e organizzatrice della danza come momento di coesione e inclusione sociali. E infine il Teatro di Sardegna, unico “Tric” presente nell’Isola che ha sempre ospitato nella sua programmazione una rassegna di danza (Art 32).
Quello che è avvenuto in Sardegna non può essere considerato un mero ridimensionamento ma un vero e proprio attacco ad un sistema di produzione culturale di una Regione autonoma a statuto speciale.
“Nell’ambito di un panorama nazionale già fortemente provato da tagli e deprivazione economica, il caso della Sardegna – scrivono in un loro comunicato questi organismi falcidiati dal ministero – sembra avere il sapore di una clamorosa resa dei conti, – o nella migliore delle ipotesi, – di un fatto di sensibilità e appartenenze estetiche, più che di un oggettivo valutazione a parametro dell’esistente”.
E più avanti: “Le conseguenze all’orizzonte appaiono devastanti in un territorio già peculiare come la Sardegna: progetti cancellati, collaborazioni interrotte, artisti e operatori costretti a rinunciare all’attività rappresentano una notevole perdita in termini di lavoro, vivacità culturale del territorio, possibilità plurali di sguardi e competenze”. Tutto questo avviene tra l’altro in un “territorio già segnato da spopolamento e fragilità strutturale, l’azzeramento del sostegno pubblico a chi opera nella danza contemporanea rappresenta un colpo micidiale alla cultura e alla coesione sociale.
Come sta emergendo anche nel settore teatro, sembrano particolarmente colpite le regioni con un governo di centrosinistra con la creazione di uno spiacevole Caso Sardegna unica regione a raccogliere un tale numero di bocciature e declassamento, in proporzione all’esistente (una percentuale del 60%)”.
Tra le diverse reazioni circolate sulla Rete da segnalare la presa di posizione di Christian Raimo, docente e scrittore, responsabile Formazione di Sinistra Italiana. Scrive tra l’altro Raimo che quella messa in atto è “una distribuzione di punteggio che suona come un avvertimento. Se non vi conformate, vi capiterà questo anche a voi. La danza è balletto, il teatro è spettacolo, la musica è intrattenimento”. La colpa però – afferma Raimo – è anche di chi “nelle politiche culturali a sinistra in questi anni ha confuso l’egemonia culturale con la sudditanza al mainstream, e ha pensato che piccoli compromessi, prebende distribuite a pioggia, nessuna idea di cosa fosse innovazione e sperimentazione, potesse essere una scelta scaltra di accomodamento spacciato per resistenza”. E così conclude: “questa destra non fa prigionieri. E le scelte di resistenza al ribasso si dimostrano, di fronte al repulisti dei documenti ministeriali, nemmeno opzioni di sopravvivenza”.
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