Cinema
One to One: John & Yoko, gli anni ’70, New York e quel tempo così vicino, così lontano
“One to One: John & Yoko”, il documentario diretto da Kevin MacDonald e Sam Rice-Edwards, gravita attorno alle immagini dei due concerti tenuti da Lennon nel 1972 a New York per raccogliere fondi per la Willowbrook State School, un centro di ricovero per bambini con bisogni speciali.
Alle canzoni sono alternate, con una regia immersiva e molto riuscita, altre riprese e registrazioni (John registrava le sue telefonate poiché aveva il sospetto, più che fondato, di essere spiato dall’Fbi), tutte d’epoca, che raccontano il contesto, privato e pubblico, che riguardava la vita di John Lennon e Yoko Ono e la New York e gli Stati Uniti di quel tempo: la guerra in Vietnam, le contestazioni rivolte al presidente degli Usa Richard Nixon, il movimento per i diritti civili degli afroamericani e delle minoranze svantaggiate, Allen Ginsberg e il suo uso politico del mantra “Ah”, l’attivismo di Jerry Rubin, la ricerca infruttuosa della figlia di Yoko Kyoko (ricomparsa solo nel 1994 dopo vissuto per più di vent’anni in una setta religiosa nella quale era stata condotta dal padre Anthony Cox), Alfred, il padre assente di John, (quasi sempre in viaggio poiché lavorava come cameriere su navi dirette verso le Indie occidentali) e sua madre Julia (che gli insegnò i primi accordi di banjo e di chitarra; tra i momenti più belli del film, l’interpretazione di “Mother”), molto presa dalla sua vita e spesso poco presente (e perduta in un incidente prima dei 18 anni), John che diventa una persona poco gradita alle autorità Usa per via del suo impegno politico e molto altro ancora. Il documentario si sofferma anche sui danni psicologici subiti da Yoko Ono in seguito alle accuse di aver causato lo scioglimento dei Beatles: “Ero arrivata a balbettare, e se balbettavo io che sono una donna forte, chissà che cosa può succedere a una persona debole”. E questa vicenda, accaduta in un’epoca mediatica in cui non c’era nulla di nemmeno lontanamente paragonabile ai social network, può favorire riflessioni preziose sulla contemporaneità.
Man mano che scorrono le immagini può capitare quasi di pensare che il passato, quel passato, non fosse troppo diverso dal nostro presente. Anche se poi, forse condizionati dalla nostalgia per quel tempo, che pure aveva la sua parte di tragedia, e che si credeva sull’orlo dell’abisso e invece era carico di futuro, è più facile convincersi che allora molte cose fossero migliori, sebbene a partire da considerazioni inevitabilmente parziali e opinabili. Si può ipotizzare che allora un artista di fama planetaria e di grande talento potesse più facilmente, e felicemente e ingenuamente, illudersi di poter usare la sua popolarità per fare qualcosa per gli altri e pensare che il successo artistico comportasse delle responsabilità politiche. Già nel 1969 Lennon e Ono organizzarono ad Amsterdam e a Montreal due bed-in contro la guerra in Vietnam, accogliendo in pigiama la stampa nella propria camera da letto e parlando di pace e amore universale. Sorvolando sulle evidenti differenze storiche tra ieri e oggi e limitandoci al campo dei media, c’è che in quel periodo in cui la televisione e la rappresentazione per immagini di quello che accadeva erano diventate centrali e dominanti il messaggio politico di un personaggio popolare era verosimilmente meno esposto al rischio di infinite manipolazioni e distorsioni comunicative.
Ps: anche se non c’entra troppo con il film, e sebbene Lennon, saggiamente, volesse vivere il suo tempo presente, senza essere gravato dal suo straordinario e ingombrante passato, io non ho mai avuto difficoltà a rispondere alla domanda delle domande della musica rock, “Beatles o Rolling Stones?”: Beatles, ovviamente, e senza alcun dubbio.
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