Goffredo Fofi

Cultura

Goffredo Fofi, l’intellettuale degli ultimi che pretendeva la parola giusta

11 Luglio 2025

Goffredo Fofi (Gubbio, 1937) è morto 11 luglio del 2025, all’età di 88 anni.

“Una difficoltà evidente dei movimenti pacifisti consiste nell’intervenire o meno nei conflitti aperti tra due nazioni o due popoli, soprattutto quando si condividono le ragioni degli uni e non degli altri. Già, i pacifisti, i “buoni”. Tra istanze e rivendicazioni opposte, non conciliabili, anche quando si osserva una differenza piuttosto netta tra chi aggredisce e chi è aggredito, e quali che siano le ragioni affermate da chi il conflitto ha voluto scatenarlo: hanno il dovere di “intervenire”? Il caso recente della guerra tra Russia e Ucraina ci ha posto nuovamente di fronte a un tema cruciale: stare dalla parte degli aggrediti non può voler dire approvare incondizionatamente le loro reazioni, i modi in cui esse prendono forma”.

È un passo presente nel suo ultimo libro Ciò che era giusto. Eredità e memoria di Alexander Langer  (Edizioni Alphabeta Verlag in collaborazione con Fondazione Alexander Langer Stiftung, 2025) arrivato in libreria la settimana scorsa. Non so che cosa nel tempo o anche domani leggeremo in chi voglia riflettere sulla figura complessa di Goffredo – uno che «teneva il punto», sempre, uno che “spaccava il capello in quattro” e soprattutto non solo si arrabbiava, soprattutto con gli amici, con gli avversari nemmeno ci parlava, ma che ha costruito e aiutato a crescere generazioni di «intellettuali scomodi» (Alessandro Leogrande, tanto per ricordare quello a cui si sentiva moto legato), più che di «intellettuali contro».

So però per esperienza per averci parlato spesso che il tratto che ci mancherà più di tutti non sarà il suo essere «contro» (di «intellettuali contro» sono piene le strade e gli studi televisivi) ma la sua postura di non conciliante, senza supponenza colta, di attenzione agli ultimi. Del resto da lì era partito nel 1955 quando era andato a Partinico da Danilo Dolci un’esperienza da cui aveva portato a casa un elemento imprescindibile.

Da quella esperienza Fofi non apprenderà solo una tecnica, ma una mentalità che credo sia limpidamente enunciata da Carlo Levi , forse il suo vero maestro insieme a Dolci (Bellocchio Cherchi, i suoi amici di “Quaderni piacentini” e poi tutta la squadra de “Lo Straniero” non erano che un tentativo di far camminare quella mentalità) nel 1957 nell’intervenendo che pronuncia al teatro Politeama di Palermo al I congresso sulle iniziative locali e nazionali promosso dal Centro Studi e Iniziative fondato e coordinato da Danilo Dolci. Fofi aveva vent’anni in quel momento.

Carlo Levi in quell’intervento ricorda la lezione di Nehru che osservava come, seppure la fame sia sempre esistita in India, «soltanto oggi gli indiani sapevano di avere fame e che solo per questo erano ormai in grado di cominciare la lotta perché la fame scomparisse». Per questo conclude, l’atto di fare inchiesta non corrisponde solo a tirare fuori dati maggiori di conoscenza, ma a prendere consapevolezza. Quell’atto non consiste nel mostrare numeri o raccontare casi, ma segna il percorso per individuare una regola di funzionamento e perciò dotarsi e cercare una risposta che sia alternativa, non solo riparativa. «Promuovere una pianificazione dal basso alla quale partecipano direttamente, [per] i disoccupati e i poveri ha un valore creativo e liberatorio». Non serve a prendere la parola, ma a pensare azione. E a dichiarare che non si è numero, massa di manovra.  E che perciò non solo conta prendere la parola, ma proporre parole, perché dietro le parole ci sono non solo visioni, ma c’è il reale che le parole aiutano a vedere.

Anche per questo Goffredo era uno che non consentiva sbavature, imprecisioni, e rifiutava il gergo. Trovare la parola esatta e, soprattutto, pertinente. Questo è un tratto che penso mancherà, in tempi di «parole facili» e spesso, «gratuite» dove lo scopo è suscitare echi, e non pensieri.

 

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