“Ci vorrebbe Pasolini” ha detto Anna Foglietta alla premiazione dello Strega 2025. Ma è vero?

Letteratura

Ci vorrebbe Pasolini?

Alle fonti di un “mito” della cultura di massa. Walter Siti elenca le ragioni del formarsi del “mito” Pasolini

4 Luglio 2025

Anna Foglietta allo “Strega”- Ci vorrebbe Pasolini

L’attrice Anna Foglietta nel suo monologo durante la premiazione dello Strega ieri sera ha ribadito il ruolo di Pasolini nella cultura italiana della seconda metà del Novecento: “L’intellettuale veramente dentro il suo tempo, il più attivo e provocatorio, oggi ci vorrebbe Pasolini”. Davvero?

Da dove origina l’indistruttibile mito di Pasolini nella cultura di massa? Walter Siti nel suo pungente “Quindici riprese” individua sei forze motrici di questo mito.

A che è dovuta l’anomala popolarità del “personaggio” Pasolini? Si chiede inizialmente. Le spiegazioni sono tante, spiega Siti. L’intellettuale friulano sembra «l’ultimo (o l’unico) capace di lottare a mani nude (…) contro l’avanzare della cultura di massa; o forse, più ambiguamente, la cristallizzazione del mito Pasolini è il risultato di una “formazione di compromesso” attuata proprio dalla cultura di massa!». Ma ecco la declaratoria.

Il mito Pasolini.
Siti parte dalla definizione di “Mito” di Roland Barthes da “Mythologies” … il “significato mitico” si ha quando il significante e il significato di un’icona culturale diventano a loro volta il significante di qualcosa di più vasto, che è per l’appunto un “mito”.

«Come significante, la sua opera intera, sia letteraria che cinematografica e pittorica, ma anche le fotografie che lo ritraggono, o gli spezzoni di video in cui compare; come significato, quello di uno degli intellettuali più intelligenti e coraggiosi della seconda metà del Novecento in Italia, le tesi che ha sostenuto, la bellezza che è riuscito a creare, ma anche un uomo nevrotico e contraddittorio, e un artista che ha spesso sprecato il suo talento in testi ridondanti e non esenti dal kitsch.

Per il mito, leggere effettivamente le opere di Pasolini non è affatto necessario, né è necessario confrontarsi con la critica che ha cercato di capirle.
La PRIMA componente del “mito Pasolini” è certamente quella della poesia assassinata dalla società. Le parole che Moravia gridò al funerale («la poesia è una cosa rara, e hanno assassinato un poeta») hanno smesso di essere l’omaggio commosso da parte di un amico che sapeva di appartenere a una razza completamente diversa e in segno d’onore presentava le armi alla diversità, e sono diventate la pietra angolare di un edificio mitico. Pasolini è stato promosso, per la massa, a Poeta per antonomasia (cioè non un poeta concreto ma una “figura poetica”); e i Poeti, si sa, devono essere assassinati. Tutti a dire che i suoi sottoproletari erano adorabili mentre quelli di adesso fanno schifo; ma chi lo dice avrebbe trovato che facevano schifo anche quelli di una volta, se solo ci fosse capitato in mezzo. Gli scrittori morti (e morti in quel modo!) sono più rassicuranti di quelli vivi, dire che ora i Pasolini non ci sono più vale come mugugno anticulturale; come dire che non ci sono più le Callas e i Marlon Brando. Forse, come ogni mito, anche quello di Pasolini è una scusa per evadere dal Tempo. […] Pasolini ha disseminato la poesia anche fuori dai suoi versi, aveva il “fisico” del Poeta. Non importa quello che ha scritto. Pasolini ci regala la soddisfazione di amare la poesia senza la noia di leggerla.

«La SECONDA componente del mito è la certezza che esistono i profeti, che intuiscono e vedono per noi. In realtà Pasolini non ha previsto praticamente niente del futuro italiano e mondiale: […] della omologazione e della Borghesia Totale avevano già parlato i francofortesi; […] sulla rovina ecologica e sullo strazio dei monumenti avevamo letto Cederna. […] una misteriosa capacità di veggente (forse da relazionare, ancora una volta, con la Poesia Mitica). Se ci sono i Profeti, noi possiamo smettere di sforzarci. »

«La TERZA componente del mito è quella del coraggio delle proprie idee, fino alla morte. Pasolini è l’eroe morto per le sue idee e per la propria diversità, fatto fuori dalle marchette o dai magnaccia o dalla Dc o dalla mafia non importa. Potenza del mito. […] Ha detto quello che pensava su riviste e giornali in una smania di completa parresia, senza temere inimicizie; e la situazione dei media era tale che una singola voce poteva ancora farsi sentire. Pasolini ha dato spesso l’impressione di combattere a mani nude contro i carri armati del Potere.» [È il mito del parresiasta su cui si soffermerà anche Foucault. Parresia dire la verità sempre e comunque contro tutto e tutti. Ndr]

«La QUARTA componente è la prova che basta la passione per capire. Pasolini pensava “con amore”; pensava in grande, senza perdersi nell’erudizione e nelle minuzie. Ha divulgato sui media concetti semplici. “Usava” la cultura, rubacchiava qua e là. A causa della propria ossessione erotica, non ha preso sul serio la cultura facendola diventare carne della sua carne, sangue del suo sangue, indiscernibile da sé
Esattamente come sta facendo il desiderio consumistico; in questo senso, Pasolini non era un avversario del consumismo, ne era un seguace omologo se non addirittura un modello. Questo segmento del “mito Pasolini” dà a chi lo coltiva l’illusione che con l’amore si possa supplire all’ignoranza: concede la soddisfazione di sostenere opinioni forti senza bisogno di andarle a controllare sui libri. Marxista senza aver mai letto il Capitale, linguista improvvisato, sociologo intuitivo, antropologo turistico.»

«La QUINTA componente, anche se può apparire paradossale in un paese sostanzialmente omofobo come l’Italia, è proprio l’omosessualità esemplare di Pasolini. Pasolini non ha mai nascosto la propria omosessualità, almeno a partire da una certa data. Ma l’ha sempre declinata molto “virilmente”: il suo disprezzo per le “checche” traspare in tutti i suoi romanzi, da “Ragazzi di vita” a “Petrolio”. Non ha mai preso posizioni da omosessuale militante. Ha tenuta nascosta l’età dei ragazzi che frequentava e non ha mai parlato dei soldi che gli dava. È stato, insomma, un «omosessuale a cui si può stringere la mano». E soprattutto, essenziale per il nostro mito di massa, l’ha pagata. »

«La SESTA e ultima componente, tra quelle che posso far emergere in una riflessione superficiale come la mia, è la testimonianza che si stava meglio prima. Anche questa apparentemente paradossale, in uno sperimentatore inesausto e in un rivoluzionario in pectore come Pasolini. Ma il “colore” in cui il mito Pasolini si trova immerso è certamente il colore della nostalgia; nostalgia della sua nostalgia, nostalgia per gli anni Cinquanta e Sessanta,

Tutti a dire che i suoi sottoproletari erano adorabili mentre quelli di adesso fanno schifo; ma chi lo dice avrebbe trovato che facevano schifo anche quelli di una volta, se solo ci fosse capitato in mezzo. Gli scrittori morti (e morti in quel modo!) sono più rassicuranti di quelli vivi, dire che ora i Pasolini non ci sono più vale come mugugno anticulturale; come dire che non ci sono più le Callas e i Marlon Brando. Forse, come ogni mito, anche quello di Pasolini è una scusa per evadere dal Tempo.»

Walter Siti “Quindici riprese”, Rizzoli 2022 pp.277-9

Immagine di Copertina di Antonio Santoro, da Flickr, Creative Commons

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi collaborare ?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.