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Letteratura

In letteratura non è tempo di porti chiusi ma di democrazia

di Luca Vaglio
6 Luglio 2019

Ciclicamente, e soprattutto nei giorni che precedono e seguono l’assegnazione del premio Strega, in questa era letteraria capita che scrittori, critici, persone che si occupano di libri, ritenendo, spesso a ragione, di farlo con competenza e conoscenza (che non significa infallibilità, certezza della verità) lamentino che oggi nel campo della scrittura sia in atto una sorta di invasione dei barbari, che la qualità delle opere sia diminuita e che il controllo sulla qualità delle opere si sia enormemente allentato rispetto a un’epoca dell’oro in cui vivevamo fino a pochi decenni fa. Epoca dell’oro che forse appare tale perchè la vediamo in prospettiva, perchè ne possiamo isolare gli esiti migliori, quelli che ci sono rimasti. Verosimilmente, è solo che si stanno facendo evidenti le prime conseguenze dell’istruzione di massa e subito dopo delle dinamiche dei media digitali. Oggi la distanza tra scrittore e lettore si è accorciata, molte persone hanno quel po’ di formazione che le autorizza a pensare di poter scrivere e pubblicare, ottenere un grado di visiblità, social o meno, è alla portata di molti, se non di tutti.

Si tratta dell’esito di un processo collettivo intrinsecamente democratico, e la democrazia ha tante virtù, insieme a diverse imperfezioni, e a una inevitabile, e spesso importante, quota di caos. Sarebbe preferibile una letteratura dei porti chiusi? Un club per pochi? Un club per pochi a priori, per così dire, a cui si accede per il giudizio insindacabile di pochissimi? Non bisogna stupirsi se non tutto quello che si pubblica è bello e di qualità. E si può presumere che un problema simile esistesse anche in passato. Al tempo stesso però oggi continuano a essere pubblicati libri belli e meritevoli di essere letti, opere che indagano il presente e che ci dicono qualcosa di noi. E la qualità di queste opere, a volerle leggere, è riscontrabile con strumenti analoghi a quelli del passato e con altri, in parte diversi. E di sicuro sarà così, con qualche variazione delle cose difficilmente prevedibile, anche domani. Peraltro, nell’età dell’oro che alcuni vagheggiano c’era chi rifiutava di pubblicare “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Anche i grandi del passato sbagliavano, e molto. E pure Pier Paolo Pasolini, se da un lato metteva in guardia dai pericoli della società dello spettacolo, dall’altro in qualche misura se ne serviva, la cavalcava.

Foto di copertina: Pier Paolo Pasolini alla macchina da presa.

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