Letteratura

L’universo innamorato di Daniele Mencarelli

Nella presente recensione, si evidenziano le peculiarità della tecnica romanzesca di Daniele Mencarelli, forse lo scrittore italiano più interessante e vivace del Duemila. Si analizzano i primi romanzi per poi giungere al più recente, Brucia l’origine, in cui l’autore stabilizza

16 Maggio 2025
  1. La wunderkammer di Mencarelli

Per chi, non apprezzando la narrativa odierna, continua a insistere nella frequentazione dei classici, nei quali, come a una fonte inesauribile, appaga la propria sete di piacere per la lettura, è motivo di sorpresa ma anche di entusiasmo scoprire uno scrittore in attività che riveste un indubbio valore, vicenda che contribuisce a novare la fede in un presente deludente e apparentemente senza speranze.

Daniele Mencarelli è il caso in questione, uno dei pochi che riesce a suggellare la pagina con un’intensità paragonabile alle esperienze dei grandi del passato, capace di uno stile personale, di un’impronta che, sebbene rivesta un’attualità necessaria e per nulla corriva, si avvale di un afflato antico, di una semplicità che sollecita la riflessione e coinvolge la sostanza del lettore e la percorre tutta, fino al cuore, al nocciolo dei sentimenti, come se lo scrittore avesse a cuore di ricucire l’unicità dell’essere umano, per restituirlo nella sua interezza e, di converso, in una luce nuova e sempre antica di bellezza. Quale il suo metodo? Egli estrapola dall’esistenza dei personaggi alcuni giorni nei quali sembrano volersi consumare le ragioni di intere esistenze rese inimitabilmente universali, mediante una scrittura chiara, fondata su una cronaca dura e cruda, resa accessibile a tutti. La sua abilità consiste nel mostrare la vita così com’è, da parte di un narratore onnisciente che gode di un’intima consapevolezza pronta ad affrontare e a scarnificare la storia più fonda del dolore e a trarne le modalità di un’infinita dolcezza. Un viaggio alla scoperta dell’inferno che si nasconde in ogni individuo e nel suo itinerario giunge alla catarsi, alla salvezza, alla rinascita, dove la realtà si svela in quella meravigliosa veste che indossa quando appare ignuda: la Verità.

Nel soffermarsi sulle prime opere di Daniele Mencarelli, si è spinti alla libertà della lettura e dell’interpretazione: il comunicare e l’esprimere sono così equilibrati da sembrare paradigma unico, proprio perché le parole e le frasi abbandonano spontaneamente lo stretto ambito laboratoriale critico-ermeneutico per espandersi e riprendersi il loro spazio etico (estetica ed etica si sovrappongono) di animosa testimonianza, di messaggi volti apticamente a toccare le più celate e imperscrutabili profondità.

Lo stesso Dio forse è spinto a riconciliarsi con la sua creazione, quando legge Mencarelli, e anche il lettore meno smaliziato, in una pur debole parca memoria, è sollecitato a cercare, nell’esistenza propria, una sola settimana in cui, almeno per una volta, è stato unicamente se stesso: puro uomo.

È indubitabile, esistono creature provviste di una sensibilità diversa, più divorante e fremente, che non lascia scampo e sovrasta la persona, fino a renderla incomparabilmente diversa dalle altre, destinandola a una esistenza difficile, complessa, meno libera, perché (ir)responsabilmente tesa verso tutto e verso il rispetto di tutti. E se il caso è quello di uno scrittore, ebbene, c’è da aspettarsi libri profondamente acuti e vibratili, pagine in grado di suggerire una provvisoria riconciliazione con la vita, con la misera e sublime condizione dell’essere umano, con quella di tutti, fetenti o assassini, ricchi ipocriti, falsi o buoni o cattivi. Non c’è dubbio, il caso è proprio quello di Mencarelli, autore le cui opere dovrebbero essere adottate negli istituti scolastici: La casa degli sguardi, Tutto chiede salvezza, Fame d’aria valgono per mille e mille ore di lezioni trascorse nelle aule scolastiche.

  1. L’impianto romanzesco

Daniele Mencarelli appartiene alla specie migliore, a quelli che raccontano storie in grado di trovare un varco nel corpo, nella mente, nei labirinti dei personaggi, alla categoria di quelli non dominati dalla ricerca di trame efficaci, ma (come Siti, Busi, Trevi) si affidano all’arte della introspezione, allo studio molto approfondito delle caratteristiche dell’uomo, e a una sociologia, a un’analisi del ruolo che quel personaggio occupa nella comunità degli uomini, e sopra tutto dei modi in cui i gruppi degli uomini, al di là dell’organizzazione sociale, esplicano i loro rapporti, tessono relazioni che non sono solo rapporti di forza, di potere, di gerarchie. Rispetto agli altri, Mencarelli ha un elemento in più, possiede uno slancio che lo contraddistingue. Egli scopre il rapporto che gli uomini intrecciano con il dolore, che oscuramente ne sovraordina azioni e comportamenti. Come racconta lui il dolore, nessun altro. Il dolore visto non solo dall’esterno e dalle sue conseguenze evidenti. I personaggi annegano nel magma del dolore fino al collo. E sanno esplicarlo, non hanno vergogna di mostrarne le viscere, di renderlo presente, di esibire intime ferite, quotidiani morsi nella carne. Com’è, com’è fatto, come agisce, il Dolore. Come si rende, come si riporta tale condizione? Dietro ogni parola di Mencarelli c’è pathos ma c’è anche un’intelligenza profonda mediante cui cerca di svelare gli intrecci tra dolore e vita sociale e personale, e come il dolore riesca a creare e a modellare la società umana. Non c’è la fredda determinazione dello scrittore di creare un personaggio indimenticabile, di scrivere una storia memorabile. No, Mencarelli è innocente, ingenuo, dice il vero: nei primi romanzi ogni parola è una lacrima che spicca dagli occhi, ogni vocabolo è un grido di dolore appena contenuto, è il Dolore, lo strappo che rende l’uomo ancor più secreto a se stesso e ancor più umano, come se nascondimento e aletheia(verità, non nascondimento) fossero due cose distinte e però costitutive, che, senza l’uno, l’altro non sarebbe; ebbene, così come Mencarelli racconta, il lettore viene invitato a sondare il più profondo degli abissi, insieme con i personaggi, insieme con la storia, verso un pozzo senza fondo da cui forse alla fine si riemergerà nudi, ma veri, finalmente mistero e umanità fusi, sapranno ricostruire quel che c’è di essenziale nell’umana vita. Gran parte del merito è da annettere all’uso sapiente dei dialoghi, sempre coerenti, volti a sbozzare i personaggi, a renderli autentici: essenziali, taglienti, sinceri.

Il primo Mencarelli: i suoi testi come una domanda rivolta al lettore, costretto a interrogarsi, a torturarsi: dopo la lettura di un suo romanzo o si rinasce o si è privati del barlume della luce. Perché alle sue domande bisogna rispondere e non si può voltare la faccia dall’altra parte: gli scritti rafforzano, incoraggiano, fanno ri-diventare uomini, sinceri, senza fronzoli, senza risposte ipocrite, senza codardia, senza viltà. Dopo la lettura si torna non reali, ma leali. Con se stessi, con il mondo. E se dall’altra parte c’è slealtà, non sarà abbastanza forte come la lealtà che si è acquistata.

Potrà sembrare eccessivo, ma i romanzi di Mencarelli sono tali, senza trucchi, drammaticamente autentici e veri, e all’autenticità non si può rispondere che con altrettanta veemenza. Perciò, se si è pavidi, ipocriti, Mencarelli non è affrontabile.

  1. Brucia l’origine

E poi arriva il romanzo più recente, Brucia l’origine1, in cui l’Autore è sempre più vicino a Walter Siti, non foss’altro per l’ambiente romano di periferia che non funge da fondale scenografico, bensì viene ad essere il vero protagonista della rappresentazione. Rispetto a Siti, però, accade qualcosa di diverso, che definirei mencarelliano, e cioè una sorpresa vertiginosa nell’esposizione che si percepisce in ogni rigo, in ogni frase: una dolcezza leggerissima, impercettibile, appena gemmata, che si intuisce, non si svela. Ed è nient’altro che la commozione profonda con cui l’autore avverte le figure che descrive, una commozione costante, continua, tenace che non si interrompe mai, perfino nei momenti più crudi del racconto. Una dolcezza sontuosa e pungente come una struggente, malinconica nostalgia, che restituisce ancor più nudi e umani i personaggi: ecco, torna il tema della verità intima raccontata con una fedeltà certosina. Si azzarderebbe nell’affermare che Mencarelli ami alla follia i suoi personaggi, ma si direbbe il vero. Mencarelli, come Jacopone da Todi, è il folle d’amore, è talmente innamorato dei suoi personaggi da rasentare il misticismo. Egli è lo scrittore più mistico della letteratura italiana dei nostri giorni (caratteristica che stavolta lo avvicina a Trevi, al Trevi di Il libro della gioia perpetua.).

Vale la pena raccontare la trama del libro? Il ritaglio dei pochi giorni mediante cui traspaiono in filigrana i destini di tante persone, con le quali il lettore finisce per fraternizzare? No, vale la pena leggere Brucia l’origine, per aiutare se stessi a interrogarsi sui propri timori, sulle proprie gioie. Ed è quello che la grande letteratura compie, da sempre, allenare all’empatia per riparare se stessi.

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Daniele Mencarelli, Brucia l’origine, Milano, Mondadori, 2024, pp. 192, € 19,00. Gli altri romanzi di cui qui si parla, sempre dello stesso autore: La casa degli sguardi, Milano, Mondadori, 2018, Tutto chiede salvezza, Milano, Mondadori, 2020, Sempre tornare, Milano, Mondadori, 2021, Fame d’aria, Milano, Mo

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