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Storia

25 aprile, la Liberazione d’Italia e di Milano

di Marco Dell’Acqua
24 Aprile 2017

“Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”.

E’ il 25 aprile 1945 quando, alle otto del mattino, Sandro Pertini a nome del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, scandì queste parole. Lo fece da Milano, l’ultima grande città liberata dal nazifascismo. Contemporaneamente fu proclamata la condanna a morte di tutti i fascisti compreso Mussolini, anche a lui in città per trattare la sua resa con la mediazione del Cardinale Schuster.
Pertini seppe della trattativa e corse alla sede vescovile per prendere parte alla discussione, ma non fece in tempo. Incrociò Mussolini sulle scale senza riconoscerlo, fu l’unica volta nella sua vita che lo vide di persona. Anni dopo raccontò che se se avesse capito di avere di fronte il duce, lo avrebbe abbattuto a colpi di rivoltella.

La Liberazione si festeggia il 25 aprile perché è la data in cui fu liberata Milano, città medaglia d’oro della Resistenza, che soffrì moltissimo durante tutto il conflitto.
Dai bombardamenti alleati del 43, alle malefatte della banda Koch, dalla ferocia dei nazisti alla fame e alla povertà.
E’ qui che, nel dicembre del 44, Mussolini tenne il discorso al teatro Lirico; doveva essere una specie di proclama e invece si rivelò il sigillo della sconfitta. Magro, avvolto in un cappotto enorme fece due cose che non aveva mai fatto prima: mise gli occhiali e lesse un testo.
L’ultimo atto fu, appunto, la sua fuga verso la Svizzera dopo aver abbandonato la trattativa sulla sua consegna.
Un gruppo partigiano lo intercettò e lo fece prigioniero: il 28 aprile a Giulino di Mezzegra fu fucilato insieme ai gerarchi e a Claretta Petacci.
I corpi vennero, poi, esposti in piazza Loreto, appesi a un distributore di benzina; la folla, stremata, inveì contro di essi. E Pertini vedendo come furono trattati sentenziò “l’insurrezione fu disonorata”.
Il luogo non era casuale, nella stessa piazza, nell’agosto del 44, furono fucilati dai nazifascisti 15 partigiani prelevati da San Vittore e i corpi furono lasciati sul selciato per diverse ore come ammonimento.
Milano non aveva dimenticato.
Mussolini finì, così, la sua folle corsa nella stessa città dove l’aveva iniziata, oltre vent’anni prima in piazza San Sepolcro.
Successivamente alla fine della guerra ci furono altre vicende che videro protagonisti Milano, il fascismo e colui che diventerà, nel 1978, Presidente della Repubblica.
Pertini, in qualità di Presidente della Camera, venne a Milano nel dicembre del 1969 dopo l’esplosione della bomba in piazza Fontana, in quell’occasione rifiutò platealmente di stringere la mano a l’allora questore del capoluogo lombardo Marcello Guida.
Lo fece per simboleggiare quanto ancora di fascista ci fosse nelle istituzioni italiane: Guida era stato a capo del carcere di Ventotene dove Pertini fu confinato durante il fascismo.
Tutti quelli che erano già nati lo ricordano al Bernabeu nel 1982, con la pipa in mano, che esulta ai gol dell’Italia campione del mondo. Il Presidente più amato che traghettò il paese dal periodo cupo del terrorismo agli anni ottanta.
Ma quelli più anziani lo ricordano per uno dei discorsi più famosi della storia del nostro paese: il discorso della Liberazione, gli stessi che hanno in mente la sfilata in piazza Duomo delle brigate partigiane.

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