Salario minimo a 11 euro l’ora. La proposta di Abiti Puliti dal settore moda

17 Giugno 2022

Un rapporto presentato mercoledì da “Abiti puliti”, la campagna per il miglioramento delle condizioni di lavoro nel settore della moda, conferma la necessità di un salario minimo per legge e fissa il “salario minimo dignitoso” per l’Italia a 11 euro netti l’ora. Un tema su cui nella CGIL, alla vigilia del congresso, affiorano le contraddizioni.

Si scorpora la spesa di una famiglia di lavoratori verificando quanto pesa percentualmente la quota per il cibo rispetto alle altre voci (casa, sanità, istruzione, vestiario, trasporti e risparmio); si calcola il valore monetario della prima e in questo modo si definisce il “salario minimo dignitoso”. È la proposta presentata mercoledì a Roma, presso la sede nazionale dell’agenzia DIRE, da Abiti Puliti, sezione italiana della Clean Clothes Campaign (CCC), rete internazionale che riunisce organizzazioni a difesa dei diritti umani, dei lavoratori e organizzazioni sindacali e si batte per il miglioramento delle condizioni di lavoro nell’industria della moda. Un’idea formulata nel rapporto Il salario dignitoso è un diritto universale. Una proposta per l’Italia, a partire dal settore della moda, pubblicato insieme a Fair, Finanza Etica e Fashion Checker, dopo un lavoro di anni – spiega Deborah Lucchetti, portavoce di Abiti Puliti – e ragionando in un’ottica di filiera in un settore in cui l’esternalizzazione di gran parte del ciclo produttivo lungo catene di produzione e fornitura globali ha provocato una lenta distruzione delle regole a favore del lavoro e cancellato in larga misura quelle che invece ponevano delle restrizioni al capitale.

Dal settore della moda…

In Italia nel 2019 il settore della moda arruolava oltre 55.000 imprese, per un’occupazione complessiva di 473.000 lavoratori, inquadrati in ben otto contratti collettivi (tessile, calzaturiero, pelletteria ecc.), e l’anno scorso ha contribuito al PIL italiano per 24 miliardi di euro e alla bilancia commerciale coprendo una quota dell’11% delle esportazioni e del 7% delle importazioni.

“Il concetto di salario minimo dignitoso – spiega la Lucchetti – nasce in un’ottica di filiera, nel senso che analizza le catene di fornitura globali su cui s’impernia il mercato della moda cercando di ragionare su quanto le grandi imprese committenti ai loro vertici debbano pagare per far sì che tutti i lavoratori lungo quelle catene guadagnino il giusto”. Insomma un calcolo che invece di assumere come variabile indipendente il profitto prova a partire dall’esigenza di garantire un “salario minimo dignitoso” ai lavoratori del settore. Per l’Italia gli autori del rapporto lo fissano a 1.905 euro netti mensili, corrispondenti a una paga oraria di 11 euro netti, un valore soggetto ad aggiornamento periodico. “L’intervento sui salari – spiega la Lucchetti – andrà affiancato da altre misure, come l’introduzione di strumenti di integrazione del reddito finanziate dalla fiscalità e rivolte a chi non ha una continuità lavorativa”, ma i lavoratori dovrebbero essere anche protagonisti della riconversione ecologica di un settore che produce il 10% delle emissioni globali clima alteranti e 92 milioni di tonnellate di rifiuti, in particolare a causa del fast fashion, la produzione di abiti dismessi in meno di un anno, che vanno distrutti invece di essere riciclati.

…al mondo del lavoro in generale

Dalle catene di fornitura globali e dal settore della moda alla condizione dei lavoratori italiani in generale il passo è breve. Come ha sottolineato mercoledì Michele Raitano, docente di politica economica alla Sapienza e membro del gruppo sul lavoro povero istituito dal ministro del lavoro Orlando (che ha inviato un messaggio di saluti all’iniziativa) “In Italia c’è un quadro molto preoccupante, soprattutto nei settori con la contrattazione più debole. Il fenomeno dei contratti pirata incide più di quanto pensiamo, perché, anche se riguarda un numero ridotto di lavoratori, costituisce una minaccia per tutti gli altri”. Il 26% dei lavoratori italiani sta sotto i 9 euro lordi e le basse retribuzioni non colpiscono solo i lavoratori a inizio carriera: l’85% delle differenze salariali che penalizzano un giovane neoassunto persiste lungo l’intera  vita lavorativa. Ma oltre al problema della quantità di salario c’è quello della quantità di lavoro: secondo l’INPS il 30% dei lavoratori dipendenti del settore privato ha un orario ridotto, ma le donne arrivano al 50%).

A pochi giorni dal varo definitivo della direttiva europea è inevitabile discutere di salario minimo. Il rapporto si schiera a favore dell’introduzione, sottolineando che in Italia “sebbene le retribuzioni (salari e stipendi) medie annue a prezzi correnti siano aumentate del 32% passando da 21.259 € nel 2000 a 27.997 € nel 2020, il valore a prezzi costanti (anno base 2020) nello stesso intervallo di tempo si sia ridotto del 3.6%” mentre “in Germania sono aumentate del 17.9%, in Francia del 17.5%, in Lussemburgo del 15,33%, nei Paesi Bassi del 12,3%, in Austria del 11%, in Belgio del 4.6%”. La perdita di potere d’acquisto è amplificata dall’inflazione, con  l’ISTAT che a febbraio “rilevava un aumento dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, del 5,7% su base annua, un valore che non si registrava da novembre 1995”.

Un sindacato diviso

Di fronte al problema la posizione dei sindacati resta contraddittoria. Mentre la CISL, rispondendo alle preoccupazioni del governatore di Bankitalia sulla spirale salari-prezzi, ripropone la politica dei redditi degli anni ‘90, i vertici confederali della CGIL stanno a poco a poco digerendo l’idea del salario  minimo, accompagnato da una legge sulla rappresentanza sindacale, ma incontrano resistenze interne. All’iniziativa di mercoledì Sonia Paoloni, segretaria nazionale della FILCTEM, la categoria della CGIL che organizza anche i lavoratori tessili, ha confermato l’originaria contrarietà della CGIL al salario minimo, polemizzando con la senatrice cinque stelle Susy Matrisciano, presidente della Commissione lavoro del Senato, in collegamento video, che aveva parlato di salari da 7 euro nel settore tessile. “Nel settore tessile non ci sono salari da 7 euro e fissando un salario per legge a 9 euro l’ora il rischio è non solo che diminuiscano i salari, che considerati i minimi tabellari più tredicesima, ferie ecc. sono al di sopra, ma che qualche azienda pensi che a quel punto il contratto nazionale sia superato”.

Questa posizione riflette un conflitto latente tra le federazioni della CGIL, con cui Landini dovrà fare i conti. Se alcune categorie, FILCTEM (chimici, tessili, energia), FILCAMS (commercio e turismo) e FILT (trasporti) restano nettamente contrari al salario minimo fissato per legge come “pavimento” della contrattazione collettiva, a maggio i segretari generali della FLC (scuola) e della FP (dipendenti pubblici) Francesco Sinopoli e Serena Sorrenti intervenivano a un’iniziativa a Roma, con la presenza di Luigi De Magistris, a sostegno del salario minimo, mentre il neoeletto leader della FIOM, Michele De Palma, una settimana fa ha dichiarato che è un errore mettere in contrapposizione salario minimo e contrattazione e ha citato il successo della misura in Germania.

Paradossalmente (ma non troppo) alcuni dei firmatari dei contratti collettivi con le retribuzioni più basse sono i più contrari al salario minimo. La FILCAMS è firmataria del contratto della vigilanza privata – servizi fiduciari, che due sentenze dei tribunali di Milano e di Torino hanno giudicato violare l’articolo 36 della Costituzione, quello sulla retribuzione “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. E nel settore tessile, la paga tabellare oraria dei lavoratori inquadrati al livello più basso, è effettivamente 7,23 euro lordi l’ora. Alla vigilia del congresso della maggiore confederazione sindacale del paese, che a luglio vedrà avviarsi le assemblee nei posti di lavoro, quello del salario minimo potrebbe diventare l’argomento più interessante di un dibattito che per il resto si annuncia abbastanza grigio.

L’articolo è tratto dalla newsletter di PuntoCritico.info del 17 giugno.

TAG: abiti puliti, Cgil, Deborah lucchetti, Michele Raitano, Salario minimo, Sonia Paoloni, Susy Matrisciano
CAT: lavoro dipendente

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