‘Portapizze di Genova uniamoci!’ contro il covid (e lo sfruttamento)

1 Aprile 2020

Intervista ad Andrea Covatta

L’Istituto Bruno Leoni, tempio dell’integralismo neoliberale, ha pubblicato un opuscolo dal titolo ‘L’economia digitale ai tempi del coronavirus‘.  ‘Secondo una ricerca Nielsen,– scrive l’autore Carlo Stagnaro – tra l’ultima settimana di febbraio e la prima di marzo si è registrato un incremento dell’80% delle vendite online di prodotti di largo consumo rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, e del 30% rispetto al periodo immediatamente precedente’. Per Stagnaro il virus rafforza una tendenza in atto: ‘le persone dipenderanno sempre più dai prodotti acquistati su internet, dalla dematerializzazione dei servizi e dalla disponibilità, sicurezza ed efficienza dei servizi di consegna‘. L’IBL propone dunque alcune misure tra cui l’abolizione della web tax; la cancellazione delle misure che assimilano parzialmente i rider a dipendenti, in particolare con l’introduzione entro il 4 novembre di una paga minima oraria  fissata per contratto; infine la possibilità che le aziende invece impongano loro l’uso di dispositivi di sicurezza, come se si trattasse di dipendenti. Per Stagnaro insomma i rider sono dipendenti per quanto riguarda i doveri e autonomi per quanto riguarda i diritti.

Per giudicare le proposte dell’IBL è utile conoscere le concrete condizioni di lavoro in questo settore. Dopo la pubblicazione del decreto  del 9 marzo un gruppo di ‘portapizze’ genovesi ha chiesto la sospensione di un servizio che rischia di essere fonte di contagio per i fattorini e per gli stessi clienti, non perché i lavoratori rifiutino di indossare guanti e mascherine ma perché le aziende non gliele forniscono. Un episodio significativo perché avvenuto in un settore non sindacalizzato. La necessità però ha spinto questi lavoratori a decidere di muoversi collettivamente, anche aldilà dell’emergenza virus. Andrea, 20 anni, studente di economia, è l’autore della lettera, che pubblichiamo di seguito.

L’idea più diffusa è che fare il portapizze sia un lavoretto da studenti che vogliono arrotondare. E’ sempre così?

Io personalmente sono uno studente e faccio questo lavoro da due anni per arrotondare, ma ci sono anche studenti che lo fanno per necessità e adulti che ci vivono. Alcuni lavorano per piattaforme come Just Eat, nel mio caso invece lavoro direttamente per una pizzeria. In questi giorni ho avuto contatti anche coi portapizze e i rider di altre città e ho scoperto che qui a Genova la mia condizione è la più comune, mentre altrove quasi tutti hanno la partita IVA e lavorano per le piattaforme.

Spiegami più nel dettaglio come funziona il lavoro.

Nella mia pizzeria, che è di medie dimensioni, siamo 12 portapizze. Io prima di smettere facevo 4 sere a settimana dalle 18,30 alle 22,30. Avevamo dei giorni fissi, ma potevamo comunque organizzarci tra di noi per fare dei cambi turno settimana per settimana. Diciamo che ogni pizzeria ha la sua organizzazione del lavoro. Io avevo un contratto a chiamata, ma nel nostro settore la maggior parte non ha alcun contratto. La paga era 25 euro a sera nel fine settimana e 20 euro nei feriali, quindi tra i 5 e i 6 euro l’ora. Con le mance tiri su circa 30 euro a serata e alla fine del mese quasi 500 euro.

Su 10 di voi secondo te quanti hanno un contratto?

Non ho dei dati precisi, ma lavorando nel settore da due anni l’idea che mi sono fatto è che sono 3-4 a essere in regola. Poi tieni conto che anche chi ha un contratto fa molte più ore di quelle dichiarate. C’è chi fa turni di 4 ore ma la pizzeria per cui lavora ne dichiara una sola.

Parli al passato perché poi è arrivato il COVID. E voi come avete reagito?

Io ho smesso e come me tutti i ragazzi della mia pizzeria. Il proprietario avrebbe voluto tenere aperto, ma noi abbiamo deciso di non presentarci, glielo abbiamo comunicato prima e lo abbiamo fatto.

Tra le ragioni di questa scelta ci sono anche preoccupazioni per la salute? Che rischi si corrono consegnando pizze e cibo a domicilio?

Be’, vai in giro nelle case dei clienti, incontri gente, maneggi soldi. Guanti e mascherine in genere le pizzerie non le danno, per cui te le devi portare da casa e le mascherine a Genova non si trovano. Alcuni datori di lavoro invece forniscono solo guanti e gel. Poi più in generale c’è sempre il rischio di incidenti perché vai a fare le consegne in scooter e sei in strada con qualunque clima, con la pioggia e con la neve. In due anni ne ho visti parecchi cadere e andare al pronto soccorso. E ovviamente siccome la maggior parte è in nero non può dire che ha avuto l’incidente lavorando. Figuriamoci in questo periodo con gli ospedali intasati.

Come ti è venuta l’idea di scrivere un testo collettivo in un settore così privo di tradizione sindacale? E che risposte hai avuto?

Appena è uscito il decreto che prevedeva la chiusura dei servizi non essenziali mi sono sentito coi ragazzi che lavoravano con me e abbiamo trovato incoerente continuare a lavorare, perché la pizza a domicilio non ci sembrava un servizio essenziale. Pazienza se fai la consegna a casa della vecchina che così non deve uscire, ma capita raramente. Poi c’era il problema della sicurezza. Non aveva senso lavorare così senza alcuna protezione. Così è iniziato il passaparola anche coi ragazzi che lavorano nelle altre pizzerie. Abbiamo fatto una lista su whatsapp con dentro un rappresentante di ogni pizzeria, in tutto 15-20.

E la lettera?

Abbiamo deciso di far circolare un testo, che ho scritto io, chiedendo la sospensione del servizio. Il giorno dopo lo abbiamo messo in rete e mandato ai giornali, al sindaco, alla regione e in seguito anche ai sindacati.

Poi cos’è successo?

Che i giornali ne hanno scritto. Mi ha chiamato anche una tv locale e mi ha intervistato. Invece la regione ci ha mandato una risposta molto vaga, del tipo ‘abbiamo preso in considerazione la vostra richiesta’ e poi non si sono fatti più sentire, mentre il Comune di Genova ci ha spedito il testo del decreto legge. Forse pensavano che non l’avessimo letto. Invece lo avevamo letto e capito benissimo. Proprio per questo abbiamo scritto la lettera.

E il sindacato?

Ci ha risposto una sindacalista della CGIL, che ci ha detto di avere già sollecitato vari enti senza ottenere risposta e ci ha chiesto di raccogliere delle firme per dare più forza alla sua azione. Siamo ancora in contatto.

Come pensate di procedere ora?

Andiamo avanti. Ovviamente col passare dei giorni stiamo riflettendo in modo più approfondito sulle proposte da fare. La nostra prima richiesta è stata chiudere. Però c’è chi consegna le pizze per arrotondare, ma chi invece lo fa per vivere come mangia? Una delle alternative è chiedere la garanzia del reddito, ma per chi è in nero o come me ha un contratto a chiamata ovviamente è un problema. L’altro aspetto da considerare è che anche molti proprietari senza un sussidio non possono rimanere chiusi a lungo. Ne conosco uno che quando è uscito il decreto ha deciso di sospendere il lavoro prima ancora che noi prendessimo posizione, ma dopo due settimane è stato costretto a riaprire. Ai suoi fattorini ha detto: ‘Voi decidete liberamente cosa fare, ma io non posso più rimanere chiuso’.

Pensate di darvi un’organizzazione più stabile?

E’ quello di cui abbiamo parlato coi 2-3 ragazzi più attivi. A Genova ci sono parecchie centinaia di colleghi. Noi ne abbiamo riuniti una parte. Diciamo 15-20 pizzerie con una media di una decina di portapizze ciascuna. Ho contattato anche i colleghi di altre città, ad esempio Bologna, dove sono perlopiù rider con partita IVA e sono organizzati in un’associazione. C’è un’associazione anche a Milano. Qui a Genova invece manca un’associazione di riferimento e penso che anche aldilà dell’emergenza virus sarebbe il caso di riunirsi e organizzarsi per chiedere che tutti abbiano almeno un contratto a chiamata e nessuno lavori in nero.

Che bilancio fai di questa esperienza?

L’idea che mi sono fatto è che il nostro è un settore poco considerato, ma che in questo momento sta diventando sempre più importante in moti paesi a partire dagli Stati Uniti. Ci lavorano tantissimi ragazzi, tra cui molti studenti. E’ incredibile che un lavoro così diffuso tanti siano costretti a farlo senza un contratto, in modo precario, senza alcuna copertura infortunistica. La situazione è tale che alcuni colleghi in realtà devono dire grazie al virus. Nei giorni scorsi infatti sono riusciti a farsi mettere in regola perché per muoversi liberamente in città e fare le consegne hanno bisogno di autocertificare che stanno lavorando.

Tu studi economia. ‘E’ il mercato’, ti risponderebbe qualcuno.

Le necessità di un contratto va aldilà del mercato e poi piattaforme come Just Eat sono il classico esempio di multinazionali che fanno i soldi sulle spalle dei lavoratori. I diritti dei lavoratori vengono prima delle regole di mercato.

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Comunicato dei portapizze e fattorini per COVID-19
Alle 21.30 di ieri sera, 11 marzo 2020, in un momento di grande criticità per lo Stato italiano e per l’Europa intera, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, allo scopo di contenere la diffusione di COVID-19, si è pronunciato adottando misure ancor più restrittive di quelle attuate precedentemente. È stata da lui disposta la chiusura di tutte le attività commerciali ad esclusione di quelle che svolgono una funzione essenziale. Nel suo discorso il presidente Conte ha menzionato anche le attività di consegna a domicilio legate alla ristorazione, garantendo che queste saranno regolarmente effettuate.

È quindi spontaneo porsi delle domande. Contatti tra le persone? I portapizze e i fattorini non entrano ogni giorno e ogni sera a contatto con decine di famiglie, toccando decine di portoni, entrando in decine di ascensori e avvicinandosi a decine di clienti, maneggiando confezioni di alimenti e denaro nello stesso momento? I portapizze e i fattorini non possono essere veicolo – di casa in casa – di COVID-19? Non corrono essi alcun rischio quando per caso dovessero consegnare senza saperlo a persone in quarantena o isolamento prive di scrupoli? Non devono essere svolti solo servizi essenziali come assistenza ospedaliera, farmaceutica, vendita di generi alimentari e di prima necessità, eccetera?

In ultimo noi, portapizze e fattorini d’Italia, ci domandiamo se ordinare una pizza a casa sia una cosa essenziale per le famiglie italiane in questo momento. Le opzioni sono due.

In caso di risposta negativa – la pizza o qualunque altro piatto pronto a domicilio NON rappresentano servizi essenziali – il servizio a domicilio dovrebbe essere SOSPESO.

In caso di risposta affermativa – i servizi di consegna a domicilio sono fondamentali – il lavoro di fattorino risulterebbe fondamentale. Questo tuttavia non è coerente con LA REALTÀ DEI FATTI per cui quella dei Rider è la categoria lavorativa MENO TUTELATA d’Italia.

Aggrava la situazione la dichiarazione di JustEat, piattaforma multinazionale alla quale per molti ristoranti è divenuto praticamente d’obbligo affidarsi, che ieri sera ha inoltrato ai propri clienti una e-mail di questo tenore:

‘In seguito alle ultime disposizioni del Governo è confermato che l’attività dei ristoranti può proseguire negli orari di chiusura al pubblico, e quindi dopo le ore 18:00, mediante consegna a domicilio, nel rispetto delle linee guida fornite dalle autorità.

Per tutti i ristoranti che vorranno cogliere questa opportunità, noi ci siamo!

Come sempre, potrai quindi ordinare dai tuoi ristoranti preferiti cercando quelli aperti direttamente nella nostra app’.

Vogliamo soffermarci sulla frase ‘NOI CI SIAMO’: per noi chi intendono? Noi ‘Just Eat’, che ce ne stiamo su un divano a guardare le vicende dalla Tv, guadagnando su ragazzi che ogni giorno corrono per le vie delle città per consegnare cibo caldo e su ristoratori costretti a cedere percentuali di guadagno alla piattaforma per poter continuare a competere nella vendita?

A questo punto noi portapizze e fattorini d’Italia, vista la non essenzialità del servizio di consegna  domicilio e vista la totale assenza di tutele lavorative, rispondiamo: NOI NON CI SIAMO e chiediamo l’immediata SOSPENSIONE  dei servizi  di consegna a domicilio fino al superamento della fase critica.

Per noi, per la nostra salute, e per la salute pubblica anche noi restiamo a casa e invitiamo tutte le altre persone che svolgono questo mestiere a fare lo stesso.

I portapizze, 12/03/2020

Intervista e lettera sono tratti dalla newsletter di PuntoCritico.info del 31 marzo. 

TAG: Andrea Covatta, Carlo Stagnaro, genova, Istituto Bruno Leoni, portapizze, rider
CAT: lavoro dipendente

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