GKN, dove i lavoratori lottano per la difesa del lavoro e dei diritti

21 Agosto 2021

Agosto, tempo di vacanze. Mi sono voluto concedere un giro di tre giorni con mio figlio, sulla mia vecchia Alfetta del 1981, tutto su strade statali, rigorosamente senza navigatore, solo con un vecchio stradario del Touring Club Italiano, come ai tempi in cui erano gli uomini a guidare le macchine e non viceversa. Partenza da Canneto Pavese, poi Piacenza, Cremona, Brescia (con transito da Viale Venezia… dove parte la Mille Miglia), poi Montichiari, Mantova, Ferrara, e giù a Barberino del Mugello, dove abbiamo pernottato. Come nel percorso della mille miglia…

Il giorno seguente però abbiamo dirottato, e da Barberino siamo scesi direttamente a Campi Bisenzio, Via Fratelli Cervi, 1: la sede della GKN, dove dal 9 luglio i lavoratori lottano per la difesa del loro posto di lavoro, e per molto altro, che riguarda tutti noi.

Questo articolo è per raccontare di loro e aiutarli, farvi conoscere una storia vera.

Abbiamo parcheggiato l’Alfetta in mezzo a tutte quelle bandiere del sindacato e abbiamo chiesto ai due lavoratori all’ingresso dove potevamo lasciare un contributo di solidarietà. Ci hanno indicato, con un sorriso pieno di gratitudine, un posto più interno, la portineria, dove c’era un capannello.

Siamo andati incontro ai loro sguardi fieri, da cui traspariva un filo di preoccupazione ma anche tutta la dignità di chi sa di avere fatto il proprio dovere e di dover, suo malgrado, affrontare una dura lotta per la sopravvivenza.

Ho detto chi eravamo, e perché eravamo lì, chiedendo a chi potessimo consegnare il nostro contributo per la loro “cassa di resistenza”, che, per chi non lo sapesse, serve per aiutare loro e le famiglie a sopravvivere in questa battaglia per la difesa del lavoro.

Mi è stato indicato uno dei componenti del consiglio di fabbrica, ci hanno subito ringraziato e offerto del caffè e dell’acqua fresca, accogliendoci come si accolgono dei vecchi amici.

Io mi sono commosso. Mi sembrava di rivedere il volto di mio padre e dei suoi colleghi dell’Enel, e ho capito di avere davanti non solo degli operai che difendevano il loro posto di lavoro, ma una categoria di persone speciali, i lavoratori, quelli che col loro sudore, che sia nei campi o in fabbrica o in ogni altro luogo dove si produce materialmente la ricchezza, hanno fatto grande questo Paese, lo hanno risollevato dalle rovine della guerra.

Mi sono uscite fuori parole che credevo perse, cercavo di dire quanto la loro lotta fosse importante, come quella di tutte le persone che cercano di difendere quello che è forse il più importante fra tutti i diritti, il diritto al lavoro.

Chi difende il lavoro, difende tutti i diritti, perché non esistono diritti che possono sopravvivere se non si ha la libertà di vivere dignitosamente. Non c’è parità di genere o diritto all’istruzione o integrazione razziale o diritto alla salute o altro che possa reggere se non si ha la libertà che nasce dall’avere un proprio ruolo nella società, ed è per questo che l’articolo 1 della Costituzione fonda sul lavoro la nostra repubblica,  e l’articolo 36 dice “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Ma queste cose i lavoratori le sanno meglio di me, non c’era bisogno che dicessi altro.

Ci siamo capiti subito, e, ovviamente nel rispetto delle normative Covid, ci hanno accolti in un caloroso abbraccio, donandoci le magliette simbolo delle loro manifestazioni e una lettera di ringraziamento.

E poi è venuta la cosa più bella di tutte: l’orgoglio di chi è conscio del proprio valore! “Sai Salvatore“, mi hanno detto, “la nostra è una fabbrica moderna e solida, non un baraccone decrepito, mettiti su il giubbino e i dispositivi di protezione e vieni a fare un giro“.

Ci hanno portato negli stabilimenti. Un grande capannone ordinato e pulito, con tutti i macchinari disposti in ordine e con i pezzi rimasti ancora lì, fermi al maledetto 9 luglio. Uno dei nostri accompagnatori, il “Cecio”, come lo chiamavano amichevolmente i suoi compagni, mi ha mostrato i bracci robotizzati e mi ha detto “pensa che questi sono capaci di assemblare i semiassi quasi completamente da soli, e queste macchine le abbiamo progettate e adattate noi, e le vendiamo anche ad altre ditte che fanno lavorazioni simili.”

E ho capito cosa significa industria 4.0 e robotica. Ancora il Cecio mi diceva “che poi non è possibile automatizzare il 100%, ci sono moltissime cose in cui le macchine ci aiutano ma poi ci vuole l’intervento dell’uomo, soprattutto quando dobbiamo fare lavorazioni di alta precisione, come quelle per Ferrari e Lamborghini“. Poi, passando davanti ad un reparto in cui ho visto dei bellissimi cuscinetti per i giunti, ne ha preso uno: “lo vedi questo, guarda come rotola, con che scorrevolezza e precisione… beh, guarda come si fanno…” e mi ha mostrato tutto il processo produttivo, che inizia da un cilindro di acciaio che viene “bombato” da una vecchia e ancora perfettamente funzionante macchina “bombatrice”, marca FIAT, anno 1975, gli anni in cui l’Italia non prendeva lezioni da nessuno nel mondo, e poi via via, fino ad arrivare alle componenti del cuscinetto. A quel punto ha preso tutte le parti e ha cominciato al mettere alcune sfere di acciaio (unico pezzo che non si produce in “casa”) e a dare vita al cuscinetto.

Potrei stare a raccontarvi per ore e parlarvi della nuova linea di macchine appena arrivate dalla Germania, o del laboratorio misure di precisione, con la temperatura rigorosamente stabilizzata in tutte le stagioni per non alterare le misurazioni, o del laboratorio ricerca, dove arrivano i bracci robotici “grezzi” e loro li perfezionano e gli aggiungono il software, progettato in casa, per farli funzionare.

Quello che ho capito è che questa è a tutti gli effetti una “fabbrica del futuro”, in attivo, con clienti che si chiamano Jeep, Lamborghini, Audi, Ferrari, e i conti in ordine. Qui non si sta chiudendo perché non rende o perché non ha mercato, ma solo perché i nuovi proprietari, che l’hanno acquisita nel 2018, hanno pensato che chiudendo in Italia e spostando altrove, possono ricavare un profitto ancora più alto.

Ed è questo che mi fa male: ma che razza di morale è questa? Con il loro lavoro, la loro creatività, i lavoratori della GKN hanno “coltivato un giardino rigoglioso”, che contribuisce al benessere di un territorio dove vivono centinaia di migliaia di persone, da cui si ricavano anche le tasse per pagare i nostri vaccini anticovid, le nostre cure mediche, le scuole per i nostri figli, le strade su cui viaggiamo… E lasciando anche un buon margine per i proprietari della fabbrica.

Quale stato può permettere che qualcuno ci porti via tutto questo solo per il proprio tornaconto personale?

La nostra ricchezza, il nostro benessere, nasce dal lavoro, quello vero, non dalle speculazioni finanziarie. Beninteso, non sto dicendo che banche e altri istituti finanziari non servano, ma sto dicendo che devono servire a far funzionare meglio l’economia, non a strozzarla!

Come possono essere definiti imprenditori costoro che comprano fabbriche per poi rivenderle, come se il lavoro non fosse l’essenza dell’uomo ma solo una merce qualsiasi? In Italia un tempo c’erano veri imprenditori, che si chiamavano Adriano Olivetti, Piera, Pietro e Michele Ferrero, Luisa Spagnoli, Giovanni Borghi… che sapevano cosa voleva dire lavorare insieme per costruire qualcosa di grande.

Qui occorre intervenire. Se esiste ancora uno Stato, questo è il momento di farsi avanti. E non basta minacciare di far pagare una multa alle imprese che delocalizzano: per i padroni della GKN pagare il 2% di fatturato per andare all’estero è una cosa ridicola, è quasi un incoraggiamento a pagare e spostarsi altrove. I tedeschi, i francesi, difendono le loro imprese, i loro cantieri navali (giusto per ricordare qualcosa di recente). Sono paesi in cui lo stato sa fare politica industriale, sa intervenire e sostenere l’economia e il territorio, in cui i sindacati vengono ascoltati e i lavoratori entrano nei consigli di amministrazione dei grandi gruppi industriali.

Forse è giunto il momento di capire che occorre una unica politica europea in tema di lavoro e industria, perché i lavoratori europei non devono essere messi in guerra gli uni contro gli altri, e se l’automazione è davvero capace di produrre così tanta ricchezza con sempre meno lavoro, allora che si cominci a ridurre gli orari di lavoro per tutti, e a distribuire meglio la ricchezza prodotta. Occorre avere il coraggio di pensare a politiche diverse per questo continente, dove il lavoro non sia una maledizione da difendere con le lacrime, a costo della salute, ma un diritto garantito a tutti. Queste ambiziose politiche potrebbero essere portate avanti da un continente grande come l’Europa, se non fosse diviso e lacerato dagli stupidi nazionalismi di chi grida “prima gli italiani” o “prima i francesi”.

E’ questo che i lavoratori della GKN rappresentano: stanno lottando per il futuro di questo paese, di questa Europa, e se perdono loro, se una azienda sana può essere chiusa dall’oggi al domani in nome “del profitto e del mercato”, allora non ci sarà più speranza per nessuno di noi.

Dopo oltre un’ora di visita alla GKN anche io e mio figlio ci siamo sentiti parte di quella famiglia. Eravamo venuti cercando di portare loro un po’ di solidarietà, ce ne siamo andati portandoci dietro una carica di energia positiva che non ricordavo da anni.

Li abbiamo salutati dicendo loro di non mollare, perché verranno i tempi duri, i giornali si dimenticheranno di loro, si tornerà a parlare di finti problemi, il solito politicante tornerà a sbraitare contro i migranti e nessuno si ricorderà più che la realtà della vita è altro: è alzarsi tutti i giorni per fare qualcosa di utile al paese: coltivare, produrre, curare, insegnare, costruire, far andare gli uffici… Lavorare!

I lavoratori della GKN non molleranno, ma hanno bisogno del nostro aiuto. Non fateli sentire soli, aiutiamoli anche con un aiuto economico alla loro “cassa di resistenza”, che servirà sempre di più, e aiutiamoli continuando a parlare di loro, e di tutte le altre realtà come la loro, per evitare che vengano avvolti dall’oscurità del silenzio.

Cassa di resistenza lavoratori GKN Firenze
IT 24 C 05018 02800 000017089491
Causale: donazione cassa di resistenza Gkn

https://www.firenzetoday.it/cronaca/conto-corrente-donazioni-gkn.html

https://www.055firenze.it/art/207955/Gkn-aperto-dai-lavoratori-un-conto-per-versamenti-donazioni

TAG: delocalizzazione, diritti, gkn, imprenditori, Industria 4.0, La classe operaia
CAT: lavoro dipendente, società

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