“Family”, un festival dalla parte delle donne. E per resistere

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14 Giugno 2018

Dove si resiste per la cultura. Storie di provincia e di spazi occupati, festival popolari di teatro e altro. Racconto di artisti che, snobbati dal potere, provano ogni volta a rimettere insieme i cocci e ripartire. Dove la resistenza fa rima con resilienza. Ex Art a Cagliari è una sigla che sta per Liceo Artistico e in realtà quella é solo una ultima “ex”. Prima ancora é stato un liceo classico, frequentato anche da studenti importanti. Il rivoluzionario Antonio Gramsci si formò dal 1908 tra queste mura prima di andare a vivere, tre anni più tardi, a Torino. E molto tempo dopo, nell’epoca in cui in tutta Europa spirava il vento del Sessantotto, quel grande edificio, che fu nel Seicento il Collegio di Santa Teresa, prevalentemente amministrato dai gesuiti che, con alterne fortune, impartivano l’istruzione, accolse lo scrittore Sergio Atzeni scomparso prematuramente un pomeriggio di tarda estate del 1995 nel mare antistante l’isola di Carloforte. Oggi il palazzo, che sembra progettato dal grafico olandese Cornelis Escher, fatto di archi imponenti, scale a scomparsa e anditi inghiottiti dal buio è diventato un fortino resistenziale, come ne esistono ancora, un po’ qui e là in tutta Italia. Un luogo occupato e organizzato da compagnie teatrali, innamorate del teatro sì, ma soprattutto della cultura e in dialogo costante con il quartiere, uno dei più antichi della città capoluogo della Sardegna. Da anni è un crogiuolo dove si confrontano idee, si compiono sacrifici per vitalizzare un’aerea urbana a lungo dimenticata e degradata. Così è diventato punto di riferimento per teatranti e artisti visivi e, soprattutto, giovani spettatori in cerca di altri sguardi. Dal 2012 esiste un collettivo che gestisce in forma autonoma l’antico stabile, organizza eventi e provvede a manutenzione e pulizia. Oltre ad ospitare artigiani e associazioni di volontariato, al quarto piano possiede una sala teatro, una di danza e una per le proiezioni. Un centro polivalente l’Ex Art sul quale pende ora un destino incerto. Latita, nonostante le sollecitazioni, il dialogo con il Comune, proprietario dello spazio, riguardo a richieste passate di proroghe di concessioni ormai scadute e a solleciti per una riflessione comune sull’uso dello spazio stesso. Adesso si aggiunge anche la concreta possibilità dello sgombero. L’edificio infatti rientra dal 2015 nel piano triennale dei lavori pubblici. Ergo, si dovrà liberare per avviare le opere di riqualificazione. Senza sapere dove andare e, soprattutto senza chiarezza sul futuro. Ex Art è cioè una sorta di Little Big Horn, a parte rovesciate però. Con teatranti e associazioni nelle vesti degli indiani assediati dal potere dei Lunghi Coltelli e delle giacche blu di Custer, ossia l’amministrazione di centrosinistra che, dopo un primo tentativo di sfratto nel 2012, sarà pur vero non ha compiuto altri atti ostili ma non ha nemmeno detto una parola chiara sull’oggi e il domani a teatranti e associazioni.

In alto le Lucido Sottile. Il poster del film “Batman” nella mostra “Cinestesie” di Maurizio Temporin all’Ex Art

Nell’ultimo piano occupato proprio nei giorni scorsi si è svolta la quarta edizione di un festival teatrale coraggioso e intelligente che ospita prime e nuove produzioni di compagnie che qui arrivano non certo per i soldi che sono pochi o quasi ma per un fatto di empatia e soprattutto per la presenza di un pubblico curioso e attento. Si chiama “Family” ed é una rassegna che ci riguarda perché parla di noi e della nostra quotidianità. Dei diritti lesi e calpestati. A cominciare da quelli delle donne. Ed è proprio una rassegna ad alto tasso di femminilità quella messa su dalle Lucido Sottile minimo ensemble di agguerrite autrici, attrici, cantanti, e per bisogno anche organizzatrici, cioè Tiziana Troja e Michela Sale Musio, che per due fine settimana ha tenuto accesa la voglia di riflettere e capire quello che si muove attorno al pianeta rosa. In “Donne centrate” _il titolo di questo anno _ oltre agli spettacoli, anche gli incontri quotidiani con scrittrici e scrittori e una bella mostra curata da Maurizio Temporin: “Cinestesie”. Imponenti cartelloni cinematografici ispirati da celebri film e “ricalcati” nei loro poster ufficiali con scambio di personaggi danno vita in questa esposizione a insoliti teatrini fotografici. Un tranquillo Woody Allen è colto a spasso con un’ascia, nel ruolo di Jackie Nicholson nel film “Shining”; a seguire Federico Fellini e Giulietta Masina con Paolo Villaggio sono invece protagonisti di un “Jurassic Park” rubato un po’ a “I Clowns” e a “La Strada”. Divertente anche il grande manifesto di “Batman” con una selva di figuranti. Da Carmelo Bene a Massimo Trojsi, da Mariangela Melato a Renzo Arbore. Una rassegna di immagini di pellicole reinventate e parallele, rese verosimili dalla fantasia creativa di chi ha rielaborato le immagini in un gioco di surreale e frizzante ironia.

Un momento della coreografia “The Cube” del coreografo Theo Piu in scena alla rassegna “Family” di Cagliari

Grafica accattivante e anche espressione corporea. In rassegna infatti c’è anche la danza contemporanea del coreografo Theo Piu che in “The Cube” ha diretto un corpo di otto giovani e promettenti danzatrici e un ballerino. Una coreografia molto cerebrale fatta di incastri e di figure anche complesse, danze d’insieme dai passi anche molto impegnativi a rappresentare stati d’animo emozionali. Dal caos all’armonia compositiva.

Ma “Family” è soprattutto teatro, con tanti ospiti (da Xena Zupanic a Laura Formenti) opere originali e novità. Certo, non tutto è alla stessa altezza, ma quello che convince in genere è una serissima professionalità. E a scendere per prime in campo, con due repliche da tutto esaurito, sono state le stesse padrone di casa di Lucido Sottile. Due figure femminili che sembrano discendere dritte dritte dall’universo letterario del racconto capolavoro “Bellas Mariposas” scritto da Sergio Atzeni che tra le scale e i corridoi dell’Ex Art visse quaranta anni fa. Sono Tanya e Mara le due tamarre ipercolorate nei costumi e nelle loro battute in slang. Acutissime e velenose. Così come insegna una satira nata tra i casermoni popolari e la strada. Sguardo disincantato verso il mondo e un cinismo acido, giusto per sopravvivere in una quotidianeità senza illusioni.

Michela Sale Musio e Tiziana Troja in scena con lo spettacolo ““Dissacrantemente Lucide Lucidissime”

In “Dissacrantemente Lucide Lucidissime” Troja e Sale Musio propongono dal vivo un collage di personaggi e azioni tratte dai loro più celebri spettacoli. Non solo quindi le sgarruppate Tanya e Mara abbigliate hip hop style dai colori fosforescenti ma anche Alba Borgia e Tatiana Evarè, Prouska e Dorinna sino a Nives e Ginger. Una carrellata di gags esilaranti e cattivissime, e all’interno anche un sorprendente sipario dove a incantare sono le belle e teatralissime voci di cantanti, tali da far presagire musical futuri, obliqui e controcorrente come vuole l’arte di queste due singolari performer a tutto campo.

Collocato in un territorio esattamente all’opposto è invece “Suzanne” di Andrea Lanza con l’attrice Elena De Carolis in scena (la produzione è di entrambi). Spettacolo liberamente tratto dal testo antiteatrale di Marguerite Duras “Suzanne Andler” (e in scena la prossima settimana per due sere a Castiglioncello) è quasi un perfetto esercizio di stile per un racconto concentrato di ansie e turbamenti della borghesia francese (ed europea) così efficacemente raccontati dall’autrice transalpina che ha cantato i temi dell’alienazione e dell’attesa, come delle difficoltà della comunicazione. Al centro c’è Suzanne e, come in un vaudeville, l’eterno triangolo, di lei, lui e l’altro. Ma anche lui e l’altra. Un gioco di ribaltamenti e incroci nel cuore di una ancora fredda Saint Tropez dove la donna si reca per prendere in affitto la casa per le vacanze. Incroci e tradimenti, veri o immaginari si mescolano al malessere di vite vissute in solitudine. Esistenze frantumate nella noia del tran tran quotidiano dove anche il tradire ha qualcosa di scontato e gelidamente banale.

L’attrice Elena De Carolis in “Suzanne”, regia di Andrea Lanza rappresentato all’Ex Art

Sullo sfondo di questo testo scritto da Duras nel 1968 (quattro anni prima dell’ “Ultimo Tango a Parigi” di Bartolucci) c’è proprio la sensazione che tutto stia per crollare. E i valori che avevano tenuto insieme la società fino ad allora siano diventati traballanti e sul punto di esplodere. Come le contraddizioni di Suzanne frutti di una esistenza schizofrenica. Una vita sul filo tra verità e menzogna, tra realtà e inganno alla ricerca di un amore che non verrà.

Roberta Lidia De Stefano e Alberto Paradossi in una scena “Confetti Karaoke”, regia di Monica Nappo

A riportarci con apparente leggerezza ai giorni nostri è la brillante produzione “Confetti e Karaoke” scritta e diretta da Monica Nappo, debuttata febbraio scorso al Brancaccino di Roma. Al centro di un racconto veloce con i tempi e i riti di una situation commedy, una coppia d’attori perfetta nei ruoli assegnati dalla regista: l’ottima Roberta Lidia De Stefano e il preciso Alberto Paradossi. Storia di un amore dei nostri giorni iniziato per caso dentro un locale di karaoke, dove si va per sfoderare la propria ugola in motivi e canzoni.

Lei e lui, figli di genitori che sono stati un disastro. La prima ha un padre “coatto” e poco attento alla figlia, il secondo ha una madre settantottina che l’ha tirato su da perfetto femminista. Lei invece ama i tipi un po’ guasconi e sciupafemmine. Tutto il contrario insomma del tenero figlio della “figlia dei fiori”. Apparentemente inconciliabili, come per la madre di lui e il padre di lei che invece, con grande scorno dei due giovani, finiranno persino a letto. De Stefano e Paradossi sono bravi a vestire i panni di tutti i personaggi, mantendendo alto il ritmo di una pièce che usa parole chiare e semplici per parlare di problemi complessi legati alla nostra contemporaneità. E l’amore, fatto di alti e bassi, fughe e ritorni, abbracci e baci, accompagnato dai brani di Daniele Silvestri e Max Gazzè, finisce trionfalmente il suo slalom tra buoni sentimenti e divertenti gag.

Un’altra scena di “Confetti Karaoke”  con la regia di Monica Nappo in scena al festival “Family”

A fare breccia lasciando un segno forte nel cuore di chi l’ha seguito è stato “Mi sa che fuori è primavera”, straordinario esempio di docuteatro sviluppato con commovente e straordinaria intensità dall’attrice Gaia Saitta. L’atto teatrale che ha debuttato recentemente al teatro India di Roma, per la regia di Giorgio Barberio Corsetti, entra subito in medias res dentro una storia dolorosa, quella tratta dalla cronaca nera, ripresa dal libro omonimo di Concita de Gregorio, edito da Feltrinelli, che ha riproposto in modo asciutto e lineare l’intervista rilasciatale da Irina Lucidi, italiana trampiantata in Svizzera.

Un giorno del 2011 il marito dal quale si era appena separata, Mathias Schepp, lascia l’abitazione, portando con sé le due figlie gemelle. Finirà suicida, pochi giorni dopo una folle fuga per la Francia, la Corsica e l’Italia, buttandosi sotto un treno in una piccola stazione della Puglia. Delle bambine non si saprà più nulla. In un biglietto lasciato dal padre, la sinistra scritta rivelatrice : “Non hanno sofferto”. Irina, non ha mai smesso per anni _ purtroppo senza successo _di cercare e combattere solitaria e coraggiosa affinchè venissero compiute le indagini più accurate per scoprire i luoghi e le strade percorse dal marito, allo scopo di rintracciare anche un esile filo che riportasse alle gemelline.

Gli scarponi infangati di Mathias Schepp a “Mi sa che fuori è primavera”, regia di Giorgio Barberio Corsetti

Pochissimo sulla scena. Due scarponi infangati ricordano quelli che Mathias lasciò a casa prima di partire e una moltitudine di post it di carta. Gli stessi sui quali in maniera ossessiva e compulsiva scriveva in modo maniacale ordini e osservazioni negli ultimi tempi della vita in comune nella casa del cantone di Berna. Gaia Saitta/Irina inizia ponendosi le domande proprio su quell’uomo. Chi era Mathias? L’uomo che Irina incontra e diventerà il padre delle sue bambine è inizialmente una persona apparentemente normale e gradevole. Metodico, forse troppo.

La relazione, attraverso alti e bassi conoscerà la crisi e poi la separazione. E un giorno, dopo insistenti segni esploderà la follia. Come è possibile essersi sbagliati su di lui? L’attrice inizia da qui un lungo viaggio, coinvolgendo a tratti anche il pubblico, in veste di servi di scena allo scopo di aiutare e definire e precisare meglio quella che è una discesa all’inferno, dentro il dolore e la memoria. Irina dialoga con la nonna che compie 90 anni proprio il giorno in cui dà la vita alle proprie figlie, percorre i tortuosi meandri di una relazione che lentamente implode per via di una malattia mentale, scarsamente evidente dal principio e che sfocerà in un altro terribile e atroce caso di violenza su una donna. Ma “Mi sa che fuori è primavera” non è solo testimonianza del dolore o assedio dei ricordi, ma anche e soprattutto la precisa cronaca qutidiana di una donna che resiste, mantenendo religiosamente intatto dentro di sé l’amore per le figlie, il vero elemento che le regalerà nuova forza per trovare la voglia di vivere. Ed ecco il miracolo. Irina, contro tutto e tutti, riscoprirà anche l’amore dell’andaluso Luis che le conferma “Como en la vida todo cuadra”. Anche il diritto a riprendersi la propria felicità.

L’attrice Gaia Saitta in “Mi sa che fuori è primavera”  all’Ex Art di Cagliari, per il festival “Family”

TAG: cagliari, Ex Art, Gaia Saitta, Giorgio Barberio Corsetti, Lucido Sottile, Marguerite Duras, Massimo Temporini, Shining
CAT: diritti umani, Teatro

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