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Governo

Cara Lorenzin, non pensi ai bonus bebè. Ma alle donne licenziate perché incinte

di Stefano Iannaccone
16 Maggio 2016

Raddoppiare il bonus bebè. Portando i mitici 80 euro a 160. Il piano sostenuto dalla ministra alla Salute, Beatrice Lorenzin, è anche ammirevole, perché vuole mettere un po’ di soldi in tasca. Ed è sempre qualcosa di buono per una giovane coppia. Ma, purtroppo, la misura è difficile da attuare (il reperimento delle risorse è tutt’altro che facile), oltre che largamente insufficiente dal punto di vista pratico. Il motivo? Basta compiere una semplice operazione per avere una panoramica chiara: vedere il film Gli ultimi saranno ultimi – uscito al cinema qualche mese fa – con una strepitosa Paola Cortellesi nel ruolo di protagonista.

La trama è semplice nella sua tragicità: lei, nonostante sia una lavoratrice precaria, decide di avere un figlio. Con un risultato: perdere il posto di lavoro, perché il suo contratto non viene rinnovato. Così la gravidanza è una colpa agli occhi del datore di lavoro. E, per quanto possa essere un’opera di fantasia, racconta una realtà consolidata. Per carità, non tutti puniscono la maternità con il licenziamento (anzi per usare la corretta espressione bisogna dire “mancato rinnovo”). Ma sono numerosi i casi in cui alla fine del contratto e del congedo di maternità scatta… il congedo dal lavoro. Accade pure con i contratti a tempo determinato nell’epica era del Jobs Act. Una donna, appena è scaduta la copertura dell’Inps, resta senza un’occupazione, perché la madre lavoratrice – secondo una certa logica – non ha gli stessi stimoli e comunque ha altri pensieri, altri problemi (il figlio all’asilo o influenzato, per dirne qualcuna). Un approccio del genere non è propriamente un incentivo alla natalità. Perché la nascita di un figlio è vista come un problema per la vita economica.

Diventa chiaro pertanto che 80 euro in più di bonus bebè non possono risultare sufficienti di fronte a un intero stipendio che svanisce. La vera sfida del governo deve essere il contrasto a questi fenomeni, senza necessariamente investire nuove risorse pubbliche. Il “male” ha una radice culturale, ma che non trova un’adeguata risposta normativa. Beatrice Lorenzin, del resto, ha ammesso che serve un intervento a tutto tondo per risolvere la questione, sollecitando le coppie a non superare i 35 anni per avere un figlio. Con tutto il rispetto verso gli accorati appelli, nel mondo reale – posto al di fuori della politica – è molto complicato (in migliaia di esperienze è quasi impensabile) pensare a una gravidanza prima di quell’età. E non si tratta di “egoismo” o “mancanza di responsabilità”. Anzi. È un estremo pragmatismo, che si traduce nella mancanza dei soldi necessari a crescere un bimbo in condizioni dignitose. Al di là di una manciata di euro in più…

Beatrice Lorenzin
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