Governo
Poletti, i giovani e il lavoro: la politica che non ha capito il NO
Correva l’anno 2010 e l’allora ministro Renato Brunetta, in un suo discorso su giovani italiani, si era “lasciato sfuggire” il termine bamboccioni, per definire tutti quei “non più tanto giovani” ancora in casa di mamma e papà. Ragazzi di poca volontà, con troppe pretese, poco inclini al sacrificio e allo sporcarsi le mani per trovare un lavoro e farsi una vita. La dichiarazione aveva scatenato un caso nazionale e l’opinione pubblica si era divisa fra coloro (pochi a dirla tutta) che concordavano con la sua tesi e chi sottolineava come, in un contesto di forte crisi, accentuata da un mercato del lavoro – quello italiano – incapace di far davvero fronte al cambiamento, fosse molto difficile emanciparsi dal nucleo familiare.
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Anno 2015, il ministro Giuliano Poletti, che dall’età di 25 anni ha abbandonato i campi per dedicarsi interamente alla carriera politica e, a partire dal 1992 ad attività dirigenziali all’interno delle cooperative, dichiara che i giovani italiani trascorrono troppo poco tempo “inoperosi” durante le vacanze estive e che in un contesto di formazione sarebbe molto più utile dedicarsi ad attività lavorative di formazione. Come attività di formazione richiama quella dei magazzinieri, svolta dai suoi figli al mercato della frutta. Nel fare questa affermazione dimentica che:
- la riforma dell’alternanza scuola/lavoro in via di discussione sta sollevando enormi perplessità nel mondo della formazione perché inadeguata sotto il profilo dell’offerta formativa extracurricolare
- il lavoro di magazzinieri è assai ambito da molti giovani già diplomati perché, stante la situazione dell’economia italiana, è un’opportunità ghiotta non per “arrotondare” durante le vacanze, ma per tirare avanti
- che il compito del lavoro di tirocinio è formare e non sfruttare la manodopera. Per quanto la cosa sembri incredibile
Accortosi della gaffe cerca di riparare alla bell’e meglio, ma finisce, come dice il detto, per fare una pezza peggiore del buco.
Dicembre 2016. Dopo una sconfitta referendaria che ha il sapore di una bocciatura ad alcune riforme del governo Renzi, in particolare Buona Scuola e Jobs Act, il ministro Poletti, durante un colloquio con alcuni giornalisti in merito alla situazione dell’occupazione giovanile in Italia e su temi spinosi quali l’abuso dei voucher da parte dei datori di lavoro, dichiara che “Bisogna correggere un’opinione secondo cui quelli che se ne vanno sono sempre i migliori. Se ne vanno 100mila, ce ne sono 60 milioni qui: sarebbe a dire che i 100mila bravi e intelligenti se ne sono andati e quelli che sono rimasti qui sono tutti dei ‘pistola’ ” e aggiunge “Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi“. Inutile a quel punto la chiosa sull’importanza di offrire l’opportunità, a chi lo desideri, di rientrare, altrettanto inutile la nota sull’importanza per i giovani di viaggiare, fare esperienze, vedere il mondo. Il danno è fatto ed è un danno aggravato dalla recidiva.
La maggioranza di coloro che hanno votato NO allo scorso referendum sono giovani sotto i 35 anni. Il NO non è stato motivato solo da un disaccordo sul quesito costituzionale, ma anche da un disaccordo forte sulle politiche rivolte a chi questo voto l’ha espresso: giovani, disoccupati, precari, stanchi. Stanchi di vivere in un contesto di crisi rispetto alla quale le soluzioni proposte sembrano solo ricalcare schemi passati evidentemente inadeguati alla contemporaneità (com’è possibile infatti pensare di poter combattere un male con gli strumenti che lo hanno generato?), stanchi di essere – in aggiunta – presi in giro. Perché se una sparuta percentuale di coloro che migrano lo fa per “conoscere il mondo” e “fare esperienza”, la maggioranza lo fa con animo pesante e per disperazione. Perché qui non c’è prospettiva e coloro che, quantomeno, dovrebbero comprendere le loro difficoltà – prima ancora di pensare di risolverle – si pensano bene di attuare una strategia passivo aggressiva rovesciando loro addosso il problema. Bamboccioni, choosy, sfaticati: gente che è meglio perdere che trovare, si direbbe.
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Caro ministro Poletti, non c’è bisogno di sottolinearlo, questi giovani lei li ha persi. E non se ne sono andati perché troppo selettivi, ma perché questo paese ha politiche economiche e imprenditoriali inadeguate al futuro. E chi resta, su questo le do ragione, non è un pistola e ha capito perfettamente come vanno le cose. Con tutto il peso di un NO rivolto anche a lei. Solo che lei continua a fingere di non accorgersene.
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