Lavoro
Referendum sul lavoro: tra ritorno al passato e incertezze sul futuro
Quattro sì per liquidare con superficialità questioni complesse e lavare la coscienza alla sinistra post-renziana? Il rischio è quello di ritornare a soluzioni parziali e incerte per un mercato in cui chiarezza e confronto dovrebbero costituire le fondamenta dei rapporti.
La Corte di Cassazione ha autorizzato quattro referendum riguardanti il mondo del lavoro e uno in materia di cittadinanza, i quali saranno sottoposti all’elettore italiano nei giorni 8 e 9 giugno (i seggi sono aperti domenica, dalle ore 7 alle 23, e lunedì, dalle ore 7 alle 15). In questo articolo ci occuperemo di sollevare qualche dubbio solo in merito ai quesiti in materia di lavoro, sui quali vengono fatti, per ragioni spesso ideologiche o di semplificazione, accostamenti erronei con discipline non più applicabili, sia per via delle riforme precedenti al Jobs Act (v. Legge Fornero), che a causa degli interventi della giurisprudenza della Corte costituzionale (v. sentenze 22–128/2024).
Contratti a termine: basta un sì per dire addio alla precarietà?
«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1 -bis , limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?»
Il quesito sui contratti a termine mira a eliminare la possibilità di stipulare contratti a termine privi di causale per dodici mesi. Questo produrrà inevitabilmente un ostacolo in più all’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro e un incremento a forme di lavoro poco o per niente tutelate. Ma il problema è la tipologia contrattuale in sé o l’uso improprio di forme brevi o brevissime? La via principale resta quella della contrattazione forte che punti a risolvere il nodo delle causali, disincentivare gli abusi (ad esempio con il contributo addizionale maggiore per i rapporti brevi) e incentivare la formazione.
Indennità per licenziamenti nelle piccole imprese: servono sia le fondamenta che il tetto
«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?»
Votando sì al quesito sulle indennità, viene eliminato il limite massimo di sei mensilità per l’indennizzo in caso di licenziamento nelle piccole imprese, tuttavia, questa modifica non assicura che i giudici stabiliscano compensi più elevati. Per garantire una tutela più efficace, sarebbe necessario un intervento normativo che riveda sia il livello minimo che quello massimo, anziché limitarsi alla sola rimozione della soglia superiore. Senza dubbio, rappresenta un passo positivo l’introduzione di un indennizzo più equo che tenga conto di parametri quali età del lavoratore, carichi di famiglia, capacità economica aziendale ecc., ma anche qui, oltre all’equità (parametri), servono certezze (paletti).
Contratto a tutele crescenti e licenziamenti illegittimi: si ritorna alla Legge Fornero
«Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?»
Il quesito punta ad abrogare il contratto a tutele crescenti (CATUC), ma non implica il ritorno alla vecchia disciplina dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, bensì a quella ridimensionata dalla Legge Fornero del 2012. La possibilità del reintegro per i licenziamenti illegittimi esiste ancora, ma è stata limitata a casi gravi, come ad esempio le discriminazioni o le violazioni dei diritti di maternità/paternità. Inoltre, l’intervento del Giudice delle leggi ha prodotto un quadro che rafforza ulteriormente la posizione del lavoratore.
Sul fronte degli indennizzi, il sì provocherebbe un peggioramento per il lavoratore: con il Jobs Act l’indennizzo può arrivare fino a trentasei mensilità, mentre la Legge Fornero ne prevedeva solo ventiquattro. Sul fronte dei licenziamenti collettivi, invece, il sì implicherebbe il ritorno a criteri più rigidi per il datore di lavoro e dunque un rafforzamento della posizione del lavoratore ma anche un aumento del contenzioso legale.
Responsabilità solidale negli appalti: una soluzione più sicura?
«Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?»
La disciplina attuale (articolo 26, comma 4, del Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro) stabilisce che il committente ha una responsabilità solidale con l’appaltatore e i subappaltatori per i danni subiti dai lavoratori non coperti da INAIL e INPS, ma questa responsabilità viene esclusa quando il danno è provocato da rischi specifici legati all’attività dell’appaltatore o del subappaltatore, limitando così l’obbligo del committente.
La proposta referendaria mira ad abrogare tale esclusione, estendendo la responsabilità del committente anche ai rischi specifici dell’appaltatore. In pratica, si vorrebbe rendere il committente sempre corresponsabile degli infortuni, anche quando derivano da circostanze che attualmente rientrano esclusivamente nella sfera dell’appaltatore. I proponenti, in questo modo, sperano di ottenere maggiore sicurezza per i lavoratori attraverso il ruolo di sorveglianza più incisivo del committente responsabile.
Per un voto consapevole
Chi vi scrive non ricava nessun vantaggio nel sabotare la proposta referendaria. Quel che conta è il voto consapevole, ed è proprio per questo motivo che è legittimo domandarsi se, per i casi esposti, lo strumento referendario sia idoneo nel perseguire gli obiettivi prospettati dai proponenti (CGIL in primis), specialmente in un contesto politico in cui non c’è una maggioranza parlamentare in sintonia con la proposta referendaria, condizione utile per migliorare la traiettoria dei proponenti con ulteriori interventi cerniera che vadano in una direzione più unitaria e strutturata.
A questa obiezione si risponderà certamente che proprio per questo motivo è necessario che i cittadini approfittino dell’occasione per far sentire la propria voce al governo. Tuttavia, il referendum abrogativo resta, in tal caso, uno strumento poco efficace, poiché tende a semplificare questioni complesse che necessiterebbero di maggiore confronto tra sindacati, associazioni, imprese e governo.
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