Medio Oriente
La preghiera dell’impenitente
Le preghiere di guerra, se così possono essere definite, come quella del leader israeliano, sono state comuni in molte culture e tradizioni, dove si credeva che la vittoria fosse concessa dalla divinità a coloro che erano più devoti.
Si fa un gran parlare della bellezza, spesso infruttuosamente, e mai del disgusto, che dà il senso estremo della bruttezza. Ecco, viviamo in un’epoca culturalmente disarmonica, dove il disgusto si erge a dottrina, eppure si finge di non riconoscerlo, facendolo passare addirittura come un canone di civiltà. Céline, che non prediligo, ma una volta tanto voglio fare riferimento a un autore che non mi è caro, ha fatto del disgusto un elemento centrale della sua opera, utilizzandone la carica eversiva per scuotere il lettore, proponendogli la sua repulsione verso la condizione umana, la guerra, la società in genere. E ora la domanda che mi ha spinto a scrivere il pezzo: Benjamin Netanyahu, in preghiera al Muro del Pianto, dove ha implorato Iddio per la buona riuscita delle guerre intraprese da Israele e per la conservazione della buona salute del protettore Donald Trump, suscita disgusto? A me, sì. Diversamente, mi pare ovvio, neanche starei qui a scriverne. So che in qualche modo dovrò giustificare questa mia repulsione verso una persona che sta fortemente condizionando l’equilibrio politico mondiale. Ma, intanto, una certezza in merito: il mio ribrezzo per il capo del governo di Israele, che è in parte quello del mondo, non è dovuto a fattori culturali e religiosi, ma, evidentemente, alle violazioni morali, fuori dalla legge di Dio e degli uomini, che egli ha malvagiamente perpetrato sulla gente di Gaza, del tutto indifesa e abbandonata da chi avrebbe dovuto tentare di proteggerla.
La preghiera e la guerra, dunque si intrecciano, e non è certo la prima volta che vengono rivolte parole verso l’alto dei cieli per cercare sostegno e aiuto divino nella propria causa bellica, mentre Papa Francesco, per tutto il suo pontificato, ha insegnato l’importanza della pace, condannando aspramente la violenza e la guerra. Le preghiere di guerra, se così possono essere definite, come quella del leader israeliano, sono state comuni in molte culture e tradizioni, dove si credeva che la vittoria fosse concessa dalla divinità a coloro che erano più devoti. Questo tipo di preghiera può anche rafforzare il morale di chi combatte e ha dichiarato la guerra, “legittimandone” la causa, ma può anche alimentare un’avversione ancora più estesa, soprattutto in coloro che praticano la preghiera per scongiurare ogni conflitto. Molte religioni, in particolare quelle pacifiste, condannano la guerra come un male intrinseco. Insegnano che la pace è un valore fondamentale e che la risoluzione dei conflitti dovrebbe avvenire attraverso il dialogo, la negoziazione e la giustizia. In questo contesto, la preghiera può essere utilizzata per chiedere perdono per i peccati commessi in guerra e per invocare la riconciliazione. Rimaniamo sul piano teologico: tutte le volte che sentiamo proclamare un comandamento come «Amerai il tuo prossimo come te stesso», dal quale dipendono tanti paradigmi veterotestamentari, e, quindi, della stessa Torah ebraica, si viene tentati da un insidioso senso di scoraggiamento e di scetticismo. La cronaca, impietosa e cinica, mostra sofferenze, atrocità e devastazioni con una regolarità impressionante. Lo strazio più disumano e insopportabile, manco a dirlo, si sta consumando nella terra di Gesù. E succede che si ribalta la fede, la giustizia e finanche i comandamenti: «Ama soltanto te stesso e gli altri si arrangino pure.»
Naturalmente, non saranno pochi coloro che crederanno nella preghiera di Netanyahu e alla “buona battaglia della fede” (Tim 6,12). Tuttavia, al contrario di come molti ritengono, l’Ebraismo non esalta la guerra e non glorifica la violenza. Nonostante le espressioni aspre e cruente di molti passi biblici del Vecchio Testamento, è importante comprendere che la visione messianica descritta dai Profeti è incentrata sulla pace universale: “Forgeranno le loro spade in vomeri e le loro lance in falci. Una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione e non insegneranno più la guerra.” (Isaia 2:4; Michea 4:3); “Allontanati dal male e fa’ il bene, cerca la pace e perseguila” (Salmi 34:15); “Le vie [della sapienza] sono vie dilettevoli e tutti i suoi sentieri sono di pace.” (Proverbi 3:17). Io farò regnare la pace nel paese (Levitico 26:6); “L’effetto della giustizia sarà la pace, il risultato della giustizia tranquillità e sicurezza per sempre. Il mio popolo abiterà in una dimora di pace.” (Isaia 32:17). Le scritture, quelle sacre agli ebrei quanto ai cristiani, quelle inerenti al testo veterotestamentario della Bibbia e alla Tanakh ebraica, suggerirebbero un atteggiamento diverso da quello adottato dal governo israeliano di fronte alle esigenze del popolo palestinese e alla sete di pace del mondo. Credo sia venuto il momento di porre una questione meramente teologica, che potrebbe avere risvolti interessanti se indagata da studiosi esperti e di comprovata conoscenza: il sionismo disattende la stessa professione di fede degli ebrei?
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