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Medio Oriente

Redde Rationem

Lo spazio e il tempo dell’ordine delle relazioni internazionali nato nel 1945, di cui più volte si è lamentata la crisi, è finito.

17 Giugno 2025

Lo spazio e il tempo dell’ordine delle relazioni internazionali nato nel 1945, di cui più volte si è lamentata la crisi, è finito.
In un clima di totale anarchia, confermata e accelerata dal ruolo irresponsabile e delegittimante del presidente Trump verso tutte le istituzioni e i processi di governance internazionali, dal G7 al G20 alle Nazioni Unite. Una crisi alimentata prima con la genesi e la gestione dell’invasione dell’Ucraina e oggi con il nuovo ampliarsi della guerra medio-orientale alla resa dei conti con l’Iran.

Stiamo entrando con il corpo e la mente in un’era nuova, in cui ogni soggetto è tornato in competizione per la propria egemonia di spazi ed influenza, dove l’aspetto più grave è il rischio emulativo, in un tempo della storia nel quale ogni stato e potenza si sente ormai legittimato ed autorizzato a competere militarmente. Nessuno appare in grado di depotenziare e gestire il conflitto, perché ne manca il presupposto fondamentale: la capacità di definirlo. Si è ormai prodotta una progressiva alterazione di alleanze, attivate ovunque faglie di crisi e il protagonismo di attori statuali e non statuali, prima in sonno, che tentano di aprirsi la strada per cercare di imporre con la forza equilibri a loro favorevoli.

Ogni crisi ha caratteristiche sue specifiche. Ma c’è un filo rosso che lega i conflitti intrapresi e quelli che, temo, saranno minacciati in Estremo Oriente e nell’Indo-Pacifico. Perché è apparso evidente che molti e diversi regimi e attori hanno tentato e stanno cercando di massimizzare le opportunità, di aumentare il loro potere all’interno del disordine globale, saldandosi in una convergenza di interessi tra vari soggetti, stati e organizzazioni di varia natura e genesi, verso l’opportunità di mettere definitivamente fuori gioco il sistema internazionale uscito dalla Seconda guerra mondiale.

Un intero sistema di relazioni, di rapporti tra stati, di egemonie politiche ed economiche si è progressivamente dissolto, in un quadro di disordine che si sta accompagnando con la crisi e la caduta della legalità interna in alcuni Paesi. Una forma della politica, dell’organizzazione e rappresentanza degli interessi, un’idea e una prassi delle relazioni internazionali del secondo Novecento post guerra fredda, vischiosamente ereditata da chi ne ha preso le veci, si è chiusa definitivamente alle nostre spalle con un’accelerazione improvvisa.

Fomentare conflitti totali, con la superpotenza USA che interviene direttamente in Iran arrivando al redde rationem contro il certo insostenibile regime teocratico iraniano, non vorremmo, per il modo in cui si sta svolgendo e di cui in queste ore drammatiche si stanno definendo i contorni, non vorremmo abbia come contropartita legittimare ieri il militarismo putiniano e l’invasione dell’Ucraina e domani l’interventismo cinese, secondo una visione anticipata di neo-spartizione di spazi imperiali.

Perché appare evidente che, se finisse l’universalismo giuridico e il diritto internazionale conosciuto, l’unico criterio generale per rivendicare e legittimare il potere rimarrebbe solo quello di un diritto storico ancestrale, del suolo, del sangue e di guerra. In questo quadro noi europei ci troviamo a un bivio. Per rimanere un attore rilevante, costruttivo e credibile, la UE, tramite il nucleo dei suoi paesi fondatori, deve accelerare il processo di integrazione, partendo da quanto negoziabile e fattibile a trattati invariati, adottando una visione strategica unitaria e assertiva.

La capacità di agire all’esterno dipenderà in larga misura dalla sua coesione, affrontando e gestendo le sue sfide interne, le disuguaglianze economiche e sociali e la polarizzazione politica, la strumentalizzazione del fattore migratorio, che potrebbe trovare una nuova crescita dall’esacerbarsi dei conflitti nei paesi vicini, il tutto per evitare che venga minata la fiducia e la capacità di azione comune.

In un quadro di regressione a logiche di potenza, l’Europa, sostenitrice di un ordine basato sulle regole, si trova di fronte a una sfida storica epocale che ne definirà i suoi contorni e prospettive. Winston Churchill, parlando dei Balcani, una volta ebbe a scrivere che essi producevano più storia di quanta ne potessero consumare; noi oggi non possiamo permetterci lo stesso destino.

Non in un futuro indefinito ma sin dai prossimi mesi, oltre a una storica capacità di resilienza, dovremo avere il coraggio di costruire coalizioni, alleanze e politiche con quanti condividono lo stato di diritto e la democrazia, partendo dalla priorità di sapere proteggere i suoi valori e le sue istituzioni, attraverso una politica di sicurezza efficace e coesa. Questa, e non altra, sarà la principale garanzia e il presupposto per mantenere la pace.

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