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Medio Oriente

Sei Giorgia, amica di Netanyahu e obbediente dell’America

di Oscar Nicodemo

La servile fedeltà di Giorgia Meloni nei confronti dei suoi amici bellicisti non è rappresentativa di uno stato sovrano.

2 Luglio 2025

Non mi piace la satira che definisce la nostra Presidente del Consiglio una peracottara, una puzzona e una caciottara. Sono termini offensivi che prendono di mira un aspetto fisico e risultano anche classisti. Ogni persona, politica o non, ha lo stile, la dizione e il portamento confacenti a ciò che è e riflette dentro di sé. Si può essere, in maniera del tutto semplice e naturale, eleganti, ma si può anche avere meno fortuna e restare inesorabilmente lontani da ogni canone di grazia e finezza, sebbene gli sforzi per avvicinarvisi non manchino. La presenza, o la mancanza di un’allure portentosa non costituirà mai il punto centrale per risalire allo spessore di un capo di governo, che verrà convenientemente giudicato per l’operato svolto e le posizioni assunte durante il suo mandato.

E seguendo questo criterio si arriva ad addebitare a Giorgia Meloni una responsabilità politica per il genocidio di Gaza, non solo per non aver mai condannato l’azione del governo israeliano, ma anche per non aver bloccato la vendita di armi, ancora nel 2024, con cui l’esercito sionista ha assassinato migliaia di bambini e indifesi di ogni età. Una madre e una cristiana non si gira dall’altra parte mentre si sta massacrando un popolo, restando muta e ferma, per evitare ogni iniziativa diplomatica volta a determinare se non la pace, almeno una tregua che avesse consentito, senza correre rischi, gli aiuti umanitari. In quanto  sostenitrice della politica sovranista del suo amico Netanyahu, sul quale pende la condanna della Corte Internazionale, non si è mossa neanche per consentire ai feriti e ai moribondi palestinesi una briciola di umanità. Dopo aver negato ogni forma di solidarietà agli assaltati di Gaza, ha negato loro anche la pietà. In quale precetto della cristianità rientra un simile comportamento?

La pietà, quella che il blocco occidentale, nelle sue linee di comando, non è disposto a concedere ai gazawi è un tema che ricorre spesso nella letteratura. Wilfred Owen, un poeta e militare britannico, nato alla fine dell’Ottocento, non dedito a descrivere figure eroiche ed epiche come molti war poets, usando un linguaggio crudo e realistico illustra un paesaggio di trincee, relitti umani e metallici, in cui gli uomini vengono macellati in nome del militarismo, dell’onore della patria, delle chimere idealistiche. Un mondo, dunque, quello della Prima Guerra Mondiale a cui si riferisce, non affatto lontano dai nazionalisti di nuova generazione, che questa volta possono contare su armi micidiali per abbattere i nemici di turno. Nessuno chiedeva alla nostra Giorgia Meloni di trasformare la sua servile fedeltà nei confronti degli amici guerrafondai nella visone paciosa di Bertolt Brecht, che sin da subito ha guardato alla guerra e alle stragi come a un’assurdità che mortifica l’uomo e la sua vita, arricchendo invece militari e industrie. Ma, san’Iddio, avrebbe potuto almeno assumere una condotta politica più inerente alla realtà sociale ed economica del paese, e dimostrare la metà dell’audacia dignitosa e la fermezza composta adottate da Pedro Sánchez in occasione della richiesta trumpiana e trumpiesca di elevare al 5% del PIL la quota del riarmo. Le decisioni della signora Meloni, purtroppo, hanno trasformato lo Stato italiano in garante dell’economia bellica globale. Servire i potenti del mondo, anziché i propri connazionali non fa di lei una leader di spicco, men che meno una politica con i cosiddetti attributi (di genere opposto). Di maschile, a dirla tutta, ha il senso della doppiezza al servizio della convenienza, alla maniera di certi gerarchi fascisti, che si dimostravano forti con i deboli e deboli con i forti. Una indecenza francamente impensabile per una donna moderna, evoluta, libera.

 

conflitto israelo-palestinese giorgia meloni governo italia
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