L’Europa deve rinascere dalla ripresa di Atene, non dal sangue di Parigi
“L’Europa può rinascere dopo gli attentati di Parigi”. L’idea, ripetuta in varie salse, si è fatta largo sull’onda dell’emozione per la tragedia in Francia. Ogni volta che ci sono episodi di sangue, infatti, ci ricordiamo di essere europei, ci stringiamo intorno alla bandiera dell’Ue. Del resto l’Europa unita è stata sempre descritta come la più grande operazione culturale e politica che ha scongiurato lo scoppio di conflitti continentali dopo la Seconda guerra mondiale.
Insomma, l’Ue è soprattutto uno strumento pacifista. E si tratta anche di un fatto molto positivo: evitare le guerre fratricide è un risultato prezioso storicamente, poiché tutela il valore supremo della pace tra popoli. Eppure, la tesi – per quanto affascinante – non è del tutto convincente, almeno non sul lungo periodo, come testimonia il recente euroscetticismo. Un’identità solida non può essere costruita esclusivamente per “negazione della guerra” o per “opposizione al populismo”, ossia sulla paura di un conflitto o sull’avversione di ideologie estremiste: l’integrazione deve avvenire attraverso numerosi processi culturali, politici e ovviamente economici, in cui la solidarietà non viene manifestata esclusivamente in seguito a eventi luttuosi.
I traumi di una comunità possono sicuramente favorire il consolidamento di identità collettive, mediante il processo di unione generato dal dolore di una perdita. Tuttavia, tale dinamica si rivela funzionante se vi è una condivisione pregressa dei valori e degli elementi culturali sedimentati. In pratica i principali fattori costitutivi di un’identità. Una tragedia, seppur vissuta collettivamente, non può bastare a forgiarla, né tantomeno è sufficiente il generico richiamo a libertà e democrazia “contro” il fondamentalismo. E, aggiungo, non deve bastare, altrimenti si costruisce un’identità fragile, un qualcosa che assomiglia più a un’alleanza momentanea legata alla contingenza dell’emozione. Si forma un’identità “per necessità”.
Nell’era della velocità che fagocita anche gli shock più profondi, peraltro, l’emozione del dolore tende a evaporare in maniera repentina dinanzi alle ragioni della concretezza. Il discorso generale può essere applicato al caso francese ed europeo: la marcia repubblicana ha unito l’Europa, generando l’illusione ottica di un rilancio del progetto unitario. Le immagini che hanno immortalato i leader sottobraccio, in mezzo alla folla, sono state di grande impatto mediatico.
Ma tra pochi giorni ci saranno le elezioni in Grecia e lo spirito di fratellanza sarà solo uno sbiadito ricordo, quasi una caricatura, soprattutto in caso di vittoria di Syriza, il partito di sinistra contrario all’austerità. L’evocazione degli attentati a Parigi, in quel caso, sarà un’operazione dalle venature malinconiche, prive di un reale coinvolgimento.
Il voto ad Atene, infatti, è atteso come una resa dei conti tra Sud e Nord Europa per comprendere il destino greco all’interno dell’Ue. Sebbene risulti molto prosaico, quasi cinico, il futuro dell’Unione europeo sarà determinato più dalla tenuta dell’euro e dagli accordi su base economica, che sull’onda della tragedia che ha vissuto la Francia.
Se l’Europa rinascerà, avverrà dopo aver usato la calcolatrice, per fare i conti sui bilancio, e non con il fazzoletto usato per asciugare le lacrime versate a Parigi.
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