Finanza

Chiuso il referendum, vanno affrontate le sofferenze delle banche

4 Dicembre 2016

Il Sole 24 Ore del 3 dicembre, giorno prima del referendum, ha dedicato più pagine alle sofferenze bancarie ed ai problemi delle banche che al referendum stesso. Non può essere un caso. Qualunque sia l’esito del voto referendario , il problema principale resta quello della crisi del sistema bancario che sembra non avere fine né soluzione. Diceva giorni fa un esponente governativo: «Con il Quantitative Easing di Draghi, la speculazione internazionale non può più attaccare gli Stati e allora attacca le banche, che sono piene di titoli di Stato e di sofferenze». E poi aggiungeva: «Il Governo non prevede alcun intervento pubblico a sostegno delle banche perché sarebbe politicamente controproducente e minerebbe il consenso degli elettori».

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Steve Eisman, il manager della FrontPoint Partners diventato ricco speculando allo scoperto sui mutui subprime, avendo capito prima degli altri la crisi del 2007, ha sostenuto che lui «sta speculando al ribasso sui titoli bancari italiani, vendendoli allo scoperto, perché i bilanci delle banche non sono stati ancora ripuliti dagli NPL». Quando il giornalista Claudio Gatti gli ha contestato di essere considerato nemico dell’Italia si è difeso affermando: «Non ho certo creato io il problema degli NPL. Né sono stato io a consigliare il governo di aspettare a porvi rimedio. Se l’Italia l’ avesse affrontato anni fa , il problema non sarebbe ora così grande. Invece hanno continuato a rinviare la soluzione fino a quando si sono trovati con le spalle al muro».

Un esponente del Governo che io ho ascoltato è consapevole che Eisman e quelli come lui stanno speculando al ribasso sulle banche italiane e lo fanno perché non è stata ancora trovata una soluzione agli NPL? Evidentemente sì, ma sostiene che la soluzione il sistema bancario se la deve trovare da solo sul mercato. La Politica continua ad astenersi per paura di essere tacciata di “amicizia con le banche”. Eisman gongola e continua a speculare al ribasso sui titoli bancari italiani.

Strano che non ci si renda conto di alcune semplici considerazioni:

  • La stragrande maggioranza dei cittadini italiani ha interessi coincidenti con la messa in sicurezza del sistema bancario essendo depositanti, investitori, clienti affidati, mutuatari, ecc, di almeno una banca.
  •  Le banche non possono sostenere da sole tutto il peso delle conseguenze di una crisi economica e finanziaria decennale: i 350 miliardi di crediti deteriorati, di cui 199 miliardi sono sofferenze, sono un problema nazionale, non solo delle banche.
  • Se le banche non tornano efficienti, chi sosterrà la timida ripresa? Chi finanzierà imprese e famiglie?

È evidente che la salute del sistema bancario, quale infrastruttura portante di ogni economia moderna, non è un tema di cui la Politica possa disinteressarsi lasciando che “il mercato si auto-regoli”. Il “mercato” è (anche) Eisman, e per quelli come lui, gli speculatori, è indifferente che le cose vadano bene o male, loro fanno scommesse e, se sono bravi , ci guadagnano sia in un caso sia nell’altro, vendendo o comprando allo scoperto a seconda della situazione. Non risolvono il problema: lo sfruttano. Quindi il “mercato” ormai non è più la soluzione. E comunque non può essere l’unica.Ciò nonostante si continua a ritenere che le banche debbano vendere sul “mercato” i propri NPL per tornare efficienti.

La situazione è chiara da tempo. Banca d’Italia, già nell’aprile di quest’anno, in un documento totalmente condivisibile (“Quanto valgono i crediti deteriorati?”) dimostrava senza dirlo esplicitamente la sostanziale impossibilità tecnica di percorrere tout court la strada della cessione delle sofferenze per la differenza incolmabile tra il tasso di rendimento preteso dagli hedge fund (15-25%) e il tasso di attualizzazione delle banche (4%) che determina il valore netto al quale la banca vende i crediti in sofferenza senza perdite.

In quel documento Banca d’Italia negava che il SSM (Single Supervisory Mechanism), ovvero la Vigilanza bancarie europea, intendesse «forzare le banche a disfarsi rapidamente degli NPL sul mercato». E ,aggiungeva, «la riduzione dell’elevato stock di NPL sarà graduale», concludendo che un importante passo avanti è dato, tra l’altro, «dal varo del recente fondo privato denominato Atlante». Commentando questo documento, Prometeia, a giugno 2016, per la penna di Riccardo Tedeschi, perorava la creazione di un SPV (Special purpouse vehicle) di sistema che acquisisse gran parte degli NPL italiani per mitigare  in applicazione della legge dei grandi numeri, il rischio delle tranche junior della relativa cartolarizzazione e facilitare così la raccolta dei fondi necessari per acquistare le sofferenze dalle banche.

Condivido sia le valutazioni di Banca d’Italia sia quelle di Prometeia. Ma mi chiedo come si possa pensare di avere tempo di smaltire NPL senza acuire la crisi delle banche e come si possa pensare a una bad bank di sistema senza l’aiuto della Politica.

Il nodo è come comprare tempo, liberando le banche dal peso delle sofferenze. La soluzione Atlante, sulla quale avevo inizialmente riposto molte speranze perché aveva un target di tasso interno di rendimento del 6%, e non del 15-25% come i fondi speculativi, procede al rallentatore. E non solo perché Atlante è stata dirottata verso il salvataggio delle banche venete, cosa non prevista, ma anche perché è abbastanza improbabile che gli investitori liquidi siano disposti ad investire al 6% quando gli hedge fund investono almeno al triplo. D’altra parte la speranza di mettere insieme investitori pazienti (di lungo periodo e tasso di rendimento contenuto) e investitori impazienti (di breve periodo e tassi di rendimento elevati) è necessariamente legata a provvedimenti regolamentari, normativi e fiscali che allineino gli interessi degli uni e degli altri, ma anche delle banche venditrici.

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In altra occasione (WSI del 3 ottobre scorso) ho parlato, provocatoriamente, di “condono bancario”, cioè di mettere in condizione banche e clienti in sofferenza di “chiudere la partita” sulla base di reciproche concessioni concordate e regolamentate, ma anche favorite da regole fiscali adeguate (per esempio una sorta di super ammortamento delle perdite delle banche) e di favor debitoris per il cliente disponibile; ma anche di penalizzazioni per quelli, banche o clienti, ingiustificatamente recalcitranti. Questa soluzione ha bisogno della Politica. D’altra parte anche le considerazioni di Marco Onado, sempre sul Sole 24 ore del 3 dicembre (“Perché la soluzione deve essere europea”) , sono del tutto pertinenti, ma non possono prescindere da una chiara e concreta presa di posizione di regolatori e Istituzioni.

Temo però che l’Italia non possa attendere i tempi europei e che, almeno per una volta, debba prendere l’iniziativa proprio perché, come dice Eisman, è più in ritardo degli altri nell’affrontare il problema.

Allora ben venga la bad bank di Prometeia, che con la logica di Atlante mette insieme investitori pazienti e impazienti e consenta quello “smaltimento graduale” delle sofferenze auspicato da Banca d’Italia, BCE e SSM, utilizzando adeguati strumenti innovativi di sistemazione delle partite in sofferenza. Questo vuol dire, per esempio, mettere al primo posto la ricerca della soluzione transattiva tra banca e cliente secondo la regola del “quanto PUO’ pagare” e non del “quanto DEVE pagare”. Affidarsi a improbabili miglioramenti dell’efficienza della giustizia italiana è vano. Affidarsi solo alla cessione degli NPL ai fondi speculativi sarà solo uno spostamento del problema, non una soluzione, con gravi perdite per le banche e grandi guadagni per i fondi.

Non basterà. Bisognerà anche avere a disposizione (e lo scrive Banca d’Italia nel citato documento dell’aprile 2016 ) operatori specializzati  nella gestione degli NPL, dotati di modelli organizzativi e logiche operative industriali adeguate alle dimensioni della materia prima (le sofferenze) da trasformare in denaro (gli incassi) nei tempi non brevi, caratteristici di questa industria, con costi compatibili.

Anche questa non è una sfida impossibile. L’Italia ha già saputo dimostrare di saper realizzare una “macchina” di queste capacità che si è meritata l’apprezzamento massimo a livello mondiale. Peccato che oggi non sia più utilizzabile come servicer di sistema perché chi la possedeva ha pensato bene di cederla sul mercato al miglior offerente ed oggi è controllata da un player di massima grandezza che però investe in NPL al 15-25% di tasso di rendimento. Bisognerà, allora, ricrearla. Non ci vorrebbe molto. Sono italiane sia le idee che le professionalità, e l’investimento è sicuramente sostenibile.

Un altro spunto. Sempre sul Sole 24 Ore del 3 dicembre, Leonardo Maisano parla del mini calo di NPL in Europa. Il mini calo si è verificato anche in Italia: tra agosto e settembre, secondo il Supplemento al Bollettino statistico di Banca d’Italia, edizione novembre 2016. Le  sofferenze lorde sarebbero scese da 200,1 miliardi a 198,9 miliardi. Inutile gioire: a 198 miliardi ci eravamo arrivati anche a ottobre 2015, ma già a gennaio 2016 eravamo tornati a 202 miliardi, scesi a 196 miliardi a marzo per risalire successivamente. Il fatto è che le sofferenze nette sono scese di molto poco, circa 300 milioni (da 85,4 a 85,1 miliardi), ma erano arrivate a 83,6 miliardi già quando a gennaio 2016 avevamo raggiunto il picco ricordato di 202 miliardi lordi. Questo significa che gli accantonamenti non sono cresciuti in proporzione. Anzi.

C’è un altro dato di cui si tiene conto raramente: dei 63,6 miliardi di prestiti bancari cartolarizzati (cioè venduti sul mercato) e cancellati dai bilanci delle banche, 54,8 miliardi sono sofferenze. È verosimile che il totale delle sofferenze del sistema finanziario italiano ammonti quindi a 252,8 miliardi complessivamente.

Un’altra cosa dovrebbe impensierire: i 150 miliardi di crediti deteriorati, diversi dalle sofferenze, la cui copertura di rischio è compresa tra il 20 e il 30%, quasi la metà di quella applicata alle sofferenze vere e proprie. A rigore si tratta di prestiti ad andamento irregolare, relativi a clienti in situazione di difficoltà temporanea, che non dovrebbero permanere in questo stato per più di 24 mesi. Al termine, o sono tornati in bonis o debbono essere classificati a sofferenza.

Su questa classe di crediti deteriorati e sui relativi criteri di classificazione si è giocato il giudizio che, dando torto a Banca d’Italia, ha mandato assolti i vertici di Banca Etruria. Purtroppo non è facile avere i dati di questa asset class, ma la diagnosi corretta sullo stato di salute delle banche italiane andrebbe fatta proprio sulla qualità e l’anzianità di queste “inadempienze probabili” che una volta si chiamavano incagli. Ci sono banche che annoverano tra queste posizioni anche quelle con fidi già revocati, e che quindi non potranno tornare in bonis, altre che hanno incagli pari alle sofferenze, situazione inverosimile.
Quante di queste posizioni sono sofferenze non dichiarate e quante passeranno a sofferenza entro breve? Rispondere a queste domande ci dà la vera cifra dello stato di difficoltà prospettica delle banche italiane. È un esercizio che, volendo, si può fare e può riservare sorprese. Per il momento questa opacità alimenta l’incertezza, non giova all’andamento borsistico delle banche e favorisce gli speculatori alla Eisman.

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Anche per questo è arrivato il momento di prendere il toro per le corna e fare in modo che le banche e i loro clienti in difficoltà  vengano finalmente affrancati dal peso degli NPL, frutto molto più della crisi che della mala gestione, che pure non è mancata. Tutti ne trarremmo vantaggio.

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