Balcani: gli aiuti contro il Covid-19 e l’influenza politica sulla regione

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19 Aprile 2020

L’emergenza sanitaria per la pandemia in atto ha raggiunto anche i Balcani. La diffusione del virus nella regione è minore rispetto all’Europa occidentale, ma l’allerta e la preoccupazione restano molto alte, soprattutto perché molti Paesi non dispongono di una struttura medico-sanitaria brillante. In una situazione del genere, le donazioni dall’estero sono fondamentali e chi offre aiuto ha l’occasione di costruirsi una buona immagine nella classe politica e nell’opinione pubblica locale. Una donazione, soprattutto se ben sponsorizzata, può spostare la percezione, in positivo o in negativo, riguardo determinati Paesi esteri.

Come riporta il Guardian, la Serbia si è trovata subito al centro della discussione, dopo che il presidente Aleksandar Vučić ha reagito emotivamente al possibile divieto di esportazione di materiale medico dall’Unione Europea, che avrebbe danneggiato il suo Paese. Era il 15 marzo e Vučić dichiarava: “La solidarietà europea non esiste. Era una favola. Ho mandato una lettera speciale all’unico Paese che ci può aiutare: la Cina”. Il governo cinese non si è fatto pregare e presto all’aeroporto di Belgrado sono atterrati gli esperti per la gestione dell’epidemia provenienti da Pechino, insieme al materiale medico necessario. Nei giorni seguenti, nel Paese sono comparsi diversi cartelloni pubblicitari con l’immagine di Xi Jinping, accompagnati dalla didascalia in cirillico: “Grazie fratello Xi”. La popolazione serba ora sa chi ringraziare. Quello che invece è passato sotto traccia è che il volo che ha portato gli esperti e il materiale medico dalla Cina è stato finanziato dall’Unione Europea, che nei giorni seguenti ha donato 7,5 milioni di euro al Paese, oltre a diverso materiale utile per contrastare l’epidemia. La donazione dell’Unione Europea, che prosegue anni e anni di investimenti nel sistema sanitario della Serbia, non è stata accompagnata dalla stessa pubblicità della politica e dell’opinione pubblica locale. Lo ha notato l’ex Primo Ministro svedese Carl Bildt, che ha accusato Vučić di non avere sponsorizzato alla stessa maniera un aiuto molto più sostanzioso di quello cinese.

Da diversi anni la Serbia danza fra un ambiguo percorso verso l’Unione Europea, gli storici legami con la Russia e le amicizie con i nuovi giganti della scena internazionale. Mosca ha altrettanto inviato medici e materiale sanitario a Belgrado, a conferma delle buone relazioni fra Putin e la classe dirigente serba. Dalla Russia, però, sono arrivate anche donazioni dirette alla Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina (RS BiH), un’entità politica rappresentante la minoranza serba in un Paese a maggioranza bosniaco-musulmana. I flussi di donazioni e investimenti diretti dalla Russia alla Repubblica Serba non sono una novità e sono visibili negli ultimi anni, per esempio, attraverso la fitta rete di stazioni di servizio organizzata dalla Gazprom, che collabora con il governo dell’entità.

A Belgrado, però, sono arrivate anche le donazioni di Emirati Arabi Uniti e Turchia: due Paesi che immagineremmo più facilmente legati alla vicina Bosnia-Erzegovina, la cui popolazione è prevalentemente musulmana. La Serbia ha ottime relazioni commerciali e diplomatiche con Abu Dhabi già dal 2013, da quando Vučić e lo sceicco Khalifa bin Zayed Al Nahayan coltivano un legame di amicizia, che si è presto trasformato in una partnership commerciale. Gli Emirati Arabi Uniti hanno fatto diversi investimenti nel Paese, come l’acquisto di azioni della compagnia aerea nazionale serba e il finanziamento di una parte del progetto Belgrado sull’acqua. Pertanto, non sorprende che gli Emirati Arabi Uniti siano stati fra i primi a donare alla Serbia il necessario per fronteggiare l’epidemia, con tanto di riguardi a un “popolo fratello”, espressi dall’ambasciatore Mubarak Said Al Daheri.

Anche la Turchia, che sta sempre più guardando ai Balcani, non ha fatto mancare il proprio supporto a Belgrado, inviando materiale medico, accompagnato da un messaggio di vicinanza per “l’amica Serbia”. Molto significative le parole del Ministro dell’Interno, Aleksandar Vulin, che ha accolto la donazione all’aeroporto:

“Non solo questo è il momento in cui possiamo dire chi sono i nostri amici e quali Paesi percepiscono la Serbia come amica, ma tutto questo sarà riconosciuto anche in futuro. La Serbia saprà ricordare chi l’ha aiutata e dirigere le sue future politiche in accordo con questi fatti.”

La Turchia ha fatto la propria donazione anche alla Bosnia-Erzegovina, da tempo legata a Istanbul attraverso le importanti relazioni fra il partito leader a Sarajevo, la SDA (il partito bosniaco-musulmano fondato da Alija Izetbegović e diretto oggi da suo figlio Bakir) e l’AKP di Recep Tayyip Erdoğan. Probabilmente per questo una parte delle donazioni sono arrivate anche attraverso l’azienda edilizia privata Cengiz Insaat Sanayi ve Ticaret, proprietà di Mehmet Cengiz, strettamente legato all’AKP, secondo quanto riporta Cumhuriyet.

Questo legame, però, ha ancorato forse fin troppo strettamente la classe dirigente bosniaco-musulmana all’AKP, compromettendo i legami della Bosnia-Erzegovina con i Paesi del Golfo. Lo afferma Zijad Bećirović, direttore dell’Istituto Internazionale di studi sui Balcani e il Vicino Oriente, che spiega così la mancata solidarietà degli Emirati Arabi Uniti nei confronti di Sarajevo. Una mancata donazione che spicca ancor più se si considera che gli aiuti emiratini sono arrivati, oltre che in Serbia, anche in Croazia e Montenegro, storicamente contrapposti alla parte bosniaco-musulmana. Il fatto ha messo in difficoltà anche il Gran Mufti della Bosnia-Erzegovina, Husein Kavazović, che è stato interrogato dai media sulla questione. Kavazović, personaggio di spessore e cultura, ha dato, però, una risposta ambigua e vagamente contraddittoria, affermando che la mancata donazione si deve a un fraintendimento di natura politica, che non compromette la fratellanza fra il popolo degli Emirati Arabi Uniti e quello della Bosnia-Erzegovina. Ha poi aggiunto, però, che gli amici si riconoscono nelle situazioni di difficoltà e che ci sono comunque molti amici nel mondo disposti ad aiutare il suo Paese.

Il fraintendimento cui sembra alludere il Gran Mufti potrebbe essere quello relativo ai rapporti tesi fra l’alleanza dei Paesi del Golfo, guidata dall’Arabia Saudita, e la Turchia di Erdogan, cui è strettamente legata la classe politica di Sarajevo. Insomma, Sarajevo sconterebbe così il suo legame con la Turchia, ferma alleata anche del Qatar, che nel 2017 ha rotto con l’alleanza a guida saudita.

La Bosnia-Erzegovina stessa si divide fra un lento movimento verso l’Unione Europea, la crescente influenza della Turchia e l’interesse della Russia, che si concentra sulla parte a maggioranza serba del Paese. Sarajevo, però, è strettamente legata anche agli Stati Uniti, che per primi, il 23 marzo, hanno fatto un’importante donazione per contrastare l’epidemia. Anche l’Unione Europea non si è fatta attendere, scaricando in Bosnia-Erzegovina una grande quantità di materiale sanitario e diversi milioni di euro.

A conferma delle diverse influenze esterne che sono presenti (o ambiscono a esserlo) nel Paese, si può notare come l’Ungheria di Viktor Orban abbia mandato aiuti a Banja Luka, capitale della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina, e lo stesso abbia fatto anche la Serbia. Mentre l’interesse di Belgrado per questa entità della Bosnia-Erzegovina appare scontato, la donazione dell’Ungheria potrebbe essere abbastanza sorprendente. Gli aiuti, portati in persona dal Ministro degli Esteri Peter Szijjarto, sono stati diretti non alla Bosnia-Erzegovina, ma alla Repubblica Serba, come specificato dalla traduttrice dell’evento Eva Spitzer. Szijjarto è stato accolto da Milorad Dodik, massima figura dell’entità serba, con cui ha avuto un colloquio. L’Ungheria e la Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina hanno rafforzato i loro legami politici ed economici negli ultimi due anni: un’unione facilitata dalla politica nazionalista e violentemente antiislamica adottata sia da Orban che da Dodik.

Anche la Croazia ha fatto un’ampia donazione all’Ospedale di Mostar, maggiore centro dell’Erzegovina, virtualmente diviso ancora oggi fra croati e bosniaco-musulmani. L’aiuto di Zagabria andrà, però, all’ospedale cittadino, comune a entrambe le parti.

Un aiuto forse meno interessato è arrivato anche da uno storico e fedele amico della Bosnia-Erzegovina: la Malesia ha inviato due milioni di mascherine a Sarajevo. La Malesia, che stava vivendo un’ottima fase di sviluppo economico nel periodo precedente alla pandemia, è stata a fianco del Paese già dagli anni Ottanta, lungo il periodo della guerra, fino a oggi, con aiuti di ogni sorta. Il legame è stato forte anche grazie alla grande amicizia fra gli ex presidenti Alija Izetbegović e Mohamad Mahathir.

Tenuto conto, invece, che molte di queste donazioni non sono disinteressate, non sarebbe una sorpresa se, come annunciato da Vulin, alcuni dei governi della regione dirigessero le loro politiche verso quei Paesi che li hanno aiutati in questo delicato periodo. D’altronde, è esattamente quello che è successo nel dopoguerra, quando ogni parte si è volta verso coloro che l’avevano supportata e aiutata nel conflitto.

 

L’immagine di copertina è di De an Sun / Unsplash.

TAG: balcani, Bosnia, coronavirus, serbia
CAT: fondi di investimento, Geopolitica

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