La Serbia vuole l’Europa? Sì, ma senza abbandonare la sua “neutralità putiniana”

23 Giugno 2022

La visita di ieri 22 Giugno del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio a Belgrado si è focalizzata sull’ulteriore sviluppo della cooperazione bilaterale, partendo dall’integrazione europea della Serbia ci si è soffermati sul valore del territorio in ambito geopolitico.

I RAPPORTI CON L’ITALIA TRA PARTNERSHIP E PROTESTE

L’Italia è tra i primi investitori esteri in Serbia, sicuramente il primo partner per il valore degli investimenti, e il secondo per il numero di progetti realizzati.

Questa forte partnership non ha comunque inibito la protesta dei lavoratori della Fiat di Kragujevac che proprio il 22 Giugno in previsione della visita di DiMaio, hanno bloccato l’autostrada a Belgradoinsoddisfatti della politica sociale adottata dal governo serbo e dalla multinazionale Stelantis di proprietà della Fiat, che prevede il licenziamento di 1500 lavoratori su 2000 dipendenti, con la possibilità di un trasferimento nello stabilimento in Slovacchia entro il 2024.

Fino ad ora nei diversi incontri con il governo e con i rappresentanti aziendali non è stato raggiunto alcun accordo sull’importo del TFR, sulle condizioni di lavoro di coloro che andrebbero a lavorare all’estero, né sugli aiuti di Stato ai lavoratori il cui rapporto di lavoro cesserebbe.

Che fine ha fatto l’accordo stipulato il 28 Aprile da 190 milioni di euro che prevedeva la produzione di auto elettriche nello stabilimento serbo?

La protesta è cessata nel tardo pomeriggio, ma sicuramente sono previste numerose turbolenze in questa calda estate.

LA SERBIA E LE SANZIONI ALLA RUSSIA

La Serbia, in lista per l’adesione all’UE è in Europa il paese dissidente per eccellenza.

Punto nevralgico per definire i nuovi equilibri globali, evidenzia la fine del mondo unipolare dando voce nel cuore del vecchio continente agli echi putiniani, pur mantenendo fermamente una certa neutralità.

L’esito delle elezioni presidenziali del 3 Aprile che hanno decretato nuovamente vincitore al primo turno il presidente Aleksandar Vučić rappresentano per l’Unione Europea un motivo di preoccupazione nell’attuale crisi ucraina.

Secondo un rapporto dei servizi di intelligence europei per conto dell’Alto rappresentante agli Esteri, Josep Borrell, e divulgato da Radio Slobodna Evropa (Radio Europa Libera), Vučić sta tentando di intervenire sulla scena nazionale e internazionale per posticipare la rottura con la Russia, e nel frattempo continuare ad ottenere concessioni dall’ovest, al fine di prevenire implicazioni negative per la Serbia, ma soprattutto per preservare il proprio potere politico.

Nei giorni del viaggio in treno di Draghi, Macron e Scholza Kyev, il presidente serbo rinvia il più a lungo possibile la formazione del nuovo governo, procrastinando l’introduzione delle sanzioni contro la Russia.

LE FORNITURE ENERGETICHE

Infatti il non allineamento delinea dal punto di vista politico una presa di posizione neutrale, e soprattutto formalizza un ponte per le forniture energetiche.

Lo stato balcanico dipende all’89% dalla Russia, l’energia è distribuita tramite l’Industria Petrolifera Serba (NIS), controllata al 56% da Gazprom, e da sempre riceve garanzie sulla distribuzione e prezzi di favore su gas e petrolio.

Nel recente accordo del 29 Maggio la Serbia pagherà da 10 a 12 volte in meno del resto d’Europa per i prossimi tre anni, anche se non si riuscirà a coprire in toto l’intero fabbisogno energetico, che dovrà comunque trovare un ulteriore accordo con Gazprom.

Uno scenario totalmente in contrasto con il dimezzamento del rifornimento del gas russo nei confronti di Germania e Italia.

L’ESODO RUSSO

Dall’inizio del conflitto, in Serbia sono state aperte più di 1.000 società russe, con relativo esodo di cittadini russi soprattutto nelle aree della capitale, con conseguente lievitazione dei prezzi degli immobili.

Secondo Kharchenko, ambasciatore russo a Belgrado, i cittadini non lasciano la patria per disaccordo nei confronti del conflitto, come i media antagonisti vorrebbero far credere, ma puramente per questioni famigliari o economiche.

“Per quanto riguarda la Russia, a differenza di altri, ci fa davvero comodo costruire relazioni, e la situazione migliore per noi è costruire relazioni con un Paese che è sovrano, indipendentemente dal fatto che sia un Paese piccolo o grande”.

LA QUESTIONE DEL KOSOVO

Nella Serbia di Vucic l’UE rimane il partner essenziale per gli scambi commerciali con l’irrinunciabile 67% degli investimenti stranieri, ma la Russia rappresenta l’unico alleato affidabile nella comunità internazionale in grado di tutelare gli interessi nazionali serbi, tra gli altri la questione del Kosovo.

A rimarcare il divario di intenti con l’Unione e di contro a rinforzare il sodalizio identitario di una parte della cittadinanza con la Russia è stata la visita del cancelliere tedesco Scholz a Belgrado di qualche giorno fa.

La televisione nazionale RTS ha divulgato l’esito dell’incontro, riportando che l’accordo finale tra Belgrado e Pristina dovrebbe basarsi sul riconoscimento reciproco.

“L’abbiamo sentito dal cancelliere tedesco Scholz. C’è ancora una piena normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Pristina o Kosovo e Serbia nel quadro negoziale ufficiale, ma da nessuna parte si parla di riconoscimento reciproco. È nostro compito cercare di razionalizzare e normalizzare la situazione”, afferma Vucic.

Ribadisce di rispettare il diritto pubblico internazionale, e che difende con determinazione l’integrità territoriale di tutti gli stati, a maggior ragione quello serbo.

LO SCETTICO CAMMINO VERSO L’EUROPA

I colloqui sul futuro europeo della Serbia e di altri paesi dei Balcani occidentali si stanno tenendo in questi giorni di fine giugno in una conferenza che concluderà il semestre della presidenza francese dell’Unione.

Nel tentativo di sbloccare un arenato meccanismo di allargamento, la visione francese propone una “comunità politica europea” a sostituire le candidature, e dunque relazioni di partnership di cooperazioni senz’altro più generiche.

Ad oggi, anche a detta del Ministro per l’Integrazione europea Jadranka Joksimović sono confermati i dubbi sulla reale intenzione politica degli Stati europei di portare a compimento il pluridecennale processo di integrazione dei Balcani, proprio sulla base di un mancato rispetto del regime delle misure restrittive. Anche se la proposta di Macron permette a Vucic di altalenarsi tra le due parti, tirandosi fuori dalle effettive responsabilità in nome della salvaguardia nazionale.

L’oscillazione della Serbia tra Occidente e Russia quanto durerà? Se Belgrado vuole completare il suo decennale percorso verso Bruxelles, dovrà abbandonare la neutralità, o almeno riconoscersi in un solo modello politico di riferimento?

Un blando tentativo di allineamento è stato fatto apportando le sanzioni alla Bielorussia, ma ciò non è bastato ad attutire la levata di scudi degli stati confinanti e appartenenti alla Nato: Bulgaria, Macedonia del Nord e Montenegro hanno di fatto impedito la visita programmata del ministro degli esteri russo Serghei Lavrov del 5 Giugno, chiudendo il loro spazio aereo.

Una decisione più che legittima e in linea con le sanzioni UE che ha fatto adirare Lavrov, ma di fatto ha alleggerito le azioni diplomatiche serbe, servendo su un piatto d’argento la soluzione a Belgrado.

“Non vedevo una tale isteria e attacchi organizzati contro un piccolo paese come la Serbia da molto, molto tempo”, ha detto Vucic. “Noi non accettiamo di far parte del branco… è ciò fa venire il mal di testa a qualcuno”, ha aggiunto, riferendosi al rifiuto di Belgrado di seguire la linea Ue.

Il vertice in opera è forse il più importante degli ultimi 10 anni a livello europeo, e i Balcani Occidentali hanno un ruolo determinante nei nuovi assetti, sono una priorità strategica, lo ha twittato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel.

Andi Hoxhaj ne ha la certezza e fa un’osservazione: sarebbe più semplice per la Commissione occuparsi dei dettagli tecnici fino a quando il paese candidato non siapronto a discutere il Trattato di adesione, invece di dare a tutti gli Stati membri l’obbligo di sostenere all’unanimità o bloccarne l’ingresso, come è successo per la Macedonia del Nord e l’Albania che hanno subito il blocco della Bulgaria.

Ciò dimostra che gli Stati membri dell’UE in realtà non hanno un comune intento e consenso su quale sia la politica di allargamento dell’UE, e inoltre sottolinea come sia diventato troppo politicizzato e strumentalizzato per la politica interna.

L’anno 2025 è menzionato come una delle possibili date in cui il Montenegro potrebbe essere pronto per l’UE e il 2033 per tutti i Balcani occidentali.

Gli stati dovrebbero soddisfare una serie di regole e standard di 35 capitoli negoziali, il che non è un processo semplice, e per la Serbia il cammino si allunga di altri 10 anni.

LE PRESSIONI INTERNE E L’ONDATA DISEGNALAZIONI DI BOMBE NELLE SCUOLE E NEI PUNTI NEVRALGICI DELLA CAPITALE

Da metà maggio ad oggi, Belgrado è stata nel mirino per ben tre volte di centinaia allarmi bomba nelle scuole e nei punti nevralgici e di ricreazione della città: ponti, centri commerciali, giardino zoologico, e la sede della compagnia aerea nazionale Air Serbia.

False intimidazioni secondo la psicologa Aleksandra Janković per instillare la paura cronica soprattutto nella popolazione più vulnerabile, quella infantile appunto.

Un’azione sistematica volta a minare lo sviluppo spiritualee mentale, creando grande disagio e rendendo pericoloso tutto ciò che può risultare piacevole.

A causa di questi ripetuti allarmi sono state stravolte le dinamiche per i maturandi di terza media e scuola superiore, che si vedranno costretti come dichiarato dal Ministro dell’istruzione Branko Ružić a svolgere gli esami in un clima di controlli ferrei e soprattutto ad accorparsi in grandi spazi piuttosto che nelle proprie aule, così da ridurre il numero delle scuole da controllare, infatti saranno coinvolte 522 scuole su 1260.

Non sono chiare le dinamiche e il movente, né tantomeno i colpevoli di queste attività sovversive, si vocifera di hacker ucraini e polacchi, ma nulla è verificato.

Secondo le opposizioni la situazione potrebbe essere strumentalizzata dal governo per poter rendere una scelta obbligata quella della Serbia ad adottare le sanzioni, più che una decisione dettata dal suo leader.

Fatto sta che il Ministero degli Affari interni sta utilizzandoun ingente dispiegamento di forze per districare la situazione, dalla tecnologia avanzata ai contingenti di polizia per evacuare e ispezionare le aree colpite. Anche se secondo il dott. Slobodan Andjelković della Facoltà di politica e sicurezza internazionale di Belgrado lo stato non può fare molto per risolvere la situazione.

“Se scopriamo da dove viene la minaccia, la domanda è se possiamo eliminarla, perché se è arrivato dal territorio di un altro Paese, ed è quasi certo che sia così, allora l’unica cosa che possiamo fare è chiedere che questo problema venga risolto in un partenariato. E si dovrebbe anche verificare se in quel Paese c’è la volontà politica di risolvere questo problema”.

CONCLUSIONI E UNO SGUARDO ALLA BOSNIA

Ad alimentare tensioni sul fronte balcanico è la Bosnia-Erzegovina. Paese in cui gran parte della conflittuale leadership politica bosgnacca, croata e serbo-bosniaca è stata convinta da Bruxelles a siglare una sorta di patto per garantire la stabilità e la funzionalità del Paese.

Con lo scoppio della guerra in Ucraina, le dinamiche ostili del recente passato sono riapparse, con la chiamata alle armi di forze nazionaliste tendenti a cambiare i confini, e conseguente instabilità e minaccia per tutta la regione e per effetto domino anche per l’Unione Europea.

La situazione è stata evidenziata dal premier sloveno Robert Golob in un colloquio conoscitivo con la presidente Ursula von der Leyen.

Più incisivo l’intervento del presidente della Slovenia Borut Pahor che in una lettera al presidente del Consiglio europeo Jacques Michel, sostenendo di sforzi di annettere Ucraina e Moldavia ha chiesto che il Consiglio europeo del 23 e 24 giugno conceda alla Bosnia-Erzegovina lo status di Paese in via di adesione all’Ue.

I disordini in Bosnia-Erzegovina sono sinonimi di guerra, a dal momento che l’Europa ne ha già una in corso in Ucraina sarebbe opportuno evitarne una seconda, anche Belgrado ne sembra convinta.

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CAT: Geopolitica

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