Cutro, Di Benedetto (Save the Children): “Rimettere le persone al centro”

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6 Marzo 2023

Questa settimana abbiamo tutti seguito la tragica vicenda del naufragio sulle coste di Steccato di Cutro in Calabria. Giovanna Di Benedetto, portavoce nazionale di Save the Children, è sul posto e ci racconta la situazione.

 

 

Ciao Giovanna, raccontaci la situazione attuale e come si è attivata Save the Children.

Come Save the Children operiamo in Calabria, in partnership con Unicef, con un team rafforzato dall’agosto scorso per l’aumento dei flussi migratori. In questa situazione siamo intervenuti da subito per dare un sostegno, anche emotivo, alle persone sopravvissute e per rispondere ai bisogni primari immediati.

La situazione chiaramente è molto complessa perché sono tutte persone che hanno una grande sofferenza. Sono tutti nuclei familiari prevalentemente di nazionalità afghana, ma ci sono anche molti pakistani, alcuni somali, pochi siriani e pochissimi palestinesi. C’erano famiglie molto numerose e tutti hanno perso qualcuno, molti quasi l’intera famiglia.

I sopravvissuti hanno raccontato il viaggio, ma i loro ricordi si concentrano sulla partenza e sul boato che hanno avvertito nella notte. Quando si sono ritrovati in acqua molti purtroppo non sapevano nuotare e chi è riuscito a salvarsi ha visto sparire molti compagni di viaggio tra le onde. Chi sapeva nuotare ha cercato di salvare i propri cari e le persone che aveva vicino, anche a rischio della propria stessa vita. Oggi non pensano al fatto di essere sopravvissuti, ma anzi non si perdonano il fatto di non essere riusciti a salvare chi non c’è più.

Un superstite ci ha raccontato che proprio quando pensava di avercela fatta, ha visto sulla spiaggia i corpi senza vita delle persone amate. Parliamo evidentemente di una situazione di grandissima sofferenza, anche perchè ci hanno detto che nella barca c’erano moltissimi bambini che non sono sopravissuti.

 

Seguendo i tuoi social e quelli di Save the Children (Twitter @GB_SaveChildren) sono rimasto colpito dai bambini che non disegnavano da due anni.

Sì ci hanno raccontato che non disegnavano da due anni e ci hanno ringraziato per aver avuto questa opportunità. I disegni più duri sono quelli con le scene del naufragio. Questi disegni sono stati fatti dagli adulti che abbiamo coinvolto nelle nostre attività di sostegno emotivo, con lo scopo di farli staccare almeno per poco da questo immenso dolore.

Le scene del naufragio sono simili in tutti i disegni e raccontano della barca e delle persone in mare. Alcuni hanno scritto “eravamo 180, solo 60 persone sono vive, 120 sono morte”. In realtà i numeri non sono precisi, ma questa è la loro percezione.

Foto di Giovanna Di Benedetto

 

Save the Children ha una posizione ufficiale sulle dichiarazioni del Ministro Piantedosi? Te lo chiedo non per fare polemica politica, ma perché ho visto un tuo video in cui sottolinei che la popolazione ha accolto queste persone in maniera molto diversa dalla politica.

L’accoglienza della popolazione devo dire che è stata veramente commovente, ha riscaldato e ha dato un senso di calore perché c’è stata una grandissima partecipazione.

L’affetto è stato espresso tramite i cartelli che sono stati appesi all’esterno del PalaMilone di Crotone, ma anche da tutti i fiori e i pupazzi lasciati per i bambini. Nei cartelli accorati le persone chiedono scusa per non essere riusciti a salvarli e per queste politiche di chiusura.

La nostra posizione è la stessa da anni. In tutti i luoghi di sbarco accogliamo e incontriamo migliaia di persone che vengono da scenari differenti e che ci raccontano storie di sofferenza. Vengono da guerre, da regimi autoritari, da situazioni di povertà estrema, da zone vittime di siccità o catastrofi naturali e da grandi crisi umanitarie. Tra l’altro proprio pochi giorni fa abbiamo pubblicato un rapporto sui minori in zone di conflitto in cui emerge che alcuni dei paesi in cui è più difficile essere bambini sono proprio l’Afghanistan, la Somalia e la Siria, che sono alcune delle nazioni di provenienza delle persone che erano su questo barcone.

Quindi la questione è questa: le politiche europee restrittive di chiusura degli ultimi anni (che in alcuni casi nei confini diventano proprio dei respingimenti illegali e violenti) non scoraggiano queste persone a partire, ma semplicemente li fanno morire di più mettendo maggiormente a rischio le loro vite così come quando si ostacolano le operazioni di ricerca e salvataggio in mare.

Per noi è fondamentale rimettere le persone e i diritti al centro delle decisioni politiche, e che ci sia un’assunzione di responsabilità collettiva e individuale di ogni stato membro dell’Unione Europea. Tutti devono collaborare per creare questo meccanismo di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, affinchè si possano salvare queste persone. Non si puo assistere ancora a drammi di questa portata e bisogna fare in modo di non ostacolare l’attività di ricerca e soccorso di quelle navi, private mercantili o umanitarie, che operano per salvare le persone in mare. Occorre garantire vie legali di accesso all’UE.

 

Quindi andrebbero rivisti gli accordi che sono stati fatti con Erdogan. Chiaramente non potendo passare da terra attraverso la Turchia, vanno in mare rischiando dieci volte di più.

Le soluzioni sono complesse però per noi passano dal garantire le vie legali e di accesso sicuro all’Unione Europea, e dal creare questo meccanismo di ricerca e soccorso nel Mediterraneo.

 

Un’ultima cosa. Avrai sicuramente seguito il caso legato alle dichiarazioni del Dottor Amodeo e di Don Morrone. Secondo te, basandoti su quello che hai visto lì e su quello che hai sentito in loco, si poteva fare qualcosa di più?

Non voglio entrare in questa polemica perché ovviamente ci sono delle indagini in corso.

Torno allo stesso concetto del sistema di soccorso che ho fatto prima. Aiutare queste persone riduce il rischio di morte in mare. Troppe volte abbiamo assistito in questi anni a questi drammi. Questa gente parte perché quello che lascia alle spalle è una casa che brucia e vede come unica possibilità di salvezza affrontare questa rischiosissima attraversata del Mediterraneo. Un viaggio per cercare un futuro di pace in Europa.

 

Secondo la posizione “patriottica” di Piantedosi, che dice “io non sarei partito”, dovrebbero rimanere a casa.

Se stessero bene nel proprio paese non affronterebbero tutto ciò. Questo è un dato di fatto. Poi i motivi possono essere diversi, però certamente sono persone che nei loro paesi sentono la loro vita a rischio e non vedono alternative al cercare, per se stessi e per i propri figli, un futuro di pace in Europa.

 

Grazie a Giovanna Di Benedetto per il lavoro che svolge con Save the Children e l’ha portata ad impegnarsi negli scenari più difficili, da Lampedusa e dall’Africa sino all’Ucraina.

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CAT: Geopolitica, immigrazione

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