L’Europa è circondata: le 7 aree strategiche dove Mosca può destabilizzare la UE

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11 Gennaio 2022

Poco più di trent’anni fa – nel dicembre 1991 – l’Unione Sovietica cessava formalmente di esistere. Si concludeva così il maggior esperimento politico e sociale del XX secolo, scaturito da una delle rivoluzioni più importanti della storia: la Rivoluzione d’ottobre, le cui conseguenze pratiche “furono più grandi e durature di quelle del 1789”, per citare Eric J. Hobsbawm. La seconda superpotenza del mondo si dissolse, e a parte alcuni suoi frammenti (la Lituania, l’Estonia e la Lettonia), che si sono integrati con successo nella UE, dal 1991 a oggi nessun paese post-sovietico ha raggiunto i livelli di benessere economico, salute e libertà personale della Germania, della Francia, dell’Italia o anche soltanto di nazioni ex comuniste come la Cechia, la Polonia o la Croazia.

Dal dicembre del 1991 sono accadute molte cose. Una delle più significative è che negli ultimi trent’anni la Russia non aveva mai avuto una tale capacità di influenzare e destabilizzare l’Asia centrale, il Medio Oriente, il Nordafrica e l’Europa. Nelle Americhe, in Africa australe, in Estremo Oriente e in Asia meridionale la Russia non ha certo l’influenza che aveva l’Urss, ma nelle regioni più rilevanti per l’Italia (l’Europa e il bacino del Mediterraneo) Mosca ha molte più leve di quante ne avesse nel 1999, nel 2003 o nel 2011.

Dal Baltico al Mediterraneo, la Russia ha la capacità di alterare, anche in modo significativo e/o irreparabile, la situazione politica, sociale e militare in senso sfavorevole all’Italia (e agli interessi italiani), ad altri paesi europei, e alla UE nel suo complesso. Tale capacità, che media e politici russi non soltanto tendono a sottolineare ma addirittura a ingigantire, induce parte dell’opinione pubblica russa (e straniera) a pensare che la Russia sia tornato allo status, se non di superpotenza come ai tempi sovietici, almeno di grande potenza (in russo, derzhava).

Le aree dell’Europa, del Levante o del Nordafrica dove la Russia può effettuare azioni di pressione e destabilizzazione sono sette, da nord a sud:

1 – L’AREA BALTICA: il rafforzamento del dispositivo militare russo a Kaliningrad, semi-exclave russa ritagliata in quella che un tempo era la Prussia ducale, preoccupa tutti i paesi dell’area baltica, a partire dalle piccole Estonia, Lituania e Lettonia ai paesi nordici, passando per la Polonia (che è il vero gendarme NATO nell’area). Poiché si tratta dell’unico porto russo sul Baltico a non ghiacciare mai, nella città di Kaliningrad e nella vicina cittadina di Baltijsk hanno sede il quartier generale e la principale base della Flotta del Baltico, recentemente potenziata. Non solo: Mosca ha dispiegato nella semi-exclave i sistemi missilistici balistici tattici Iskander (che possono lanciare anche testate nucleari tattiche), e ulteriori forze di terra. Grazie poi al rafforzamento dei sistemi di guerra elettronica, di difesa aerea ecc., attraverso Kaliningrad la Russia potrebbe rallentare il soccorso NATO a favore di Estonia, Lituania e Lettonia in caso di sua invasione delle tre piccole repubbliche; sono stati inoltre installati sistemi missilistici di difesa costiera Bal e Bastion nella zona di San Pietroburgo, che danno alla Russia un maggior dominio sul Golfo di Finlandia.

Questo, e l’atteggiamento sempre più aggressivo di Mosca nell’area, hanno spinto i paesi nordici, la Polonia e i paesi baltici al riarmo. La Svezia, paese non-allineato che non fa parte della NATO, ha per esempio rafforzato il suo dispositivo di sicurezza nell’isola strategica di Gotland, la “chiave del Baltico”. Nel settembre 2021 Svezia, Danimarca e Norvegia hanno firmato un accordo di cooperazione in materia di difesa, e precedentemente un accordo simile era stato firmato da Svezia, Norvegia e Finlandia. Secondo il ministro della difesa svedese Peter Hultqvist, la Russia è pronta a usare la forza militare per raggiungere obiettivi politici.

Il 2 dicembre 2021 il presidente della Finlandia Sauli Niinistö, con un comunicato irrituale (conseguenza della richiesta russa di garanzie legali da parte della NATO a non espandersi ancora a est, Finlandia inclusa), ha dichiarato che mantenere uno spazio nazionale di manovra e libertà di scelta è il fondamento della politica estera, di sicurezza e di difesa della Finlandia, e ciò include la possibilità di presentare richiesta di adesione al Patto atlantico. Helsinki negli ultimi anni ha rafforzato la cooperazione anche con gli USA, e oggi è uno degli Enhanced Opportunities Partners della NATO al pari ad es. della Svezia e dell’Ucraina. La recente decisione finlandese di acquistare gli F-35A della Lockheed Martin è stata letta da diversi analisti come un modo per rafforzare il legame con gli USA.

Spingendo paesi piccoli o molto piccoli come la Danimarca o l’Estonia ad aumentare la spesa per la difesa (nel 2020 la Danimarca spendeva in difesa l’1,43% del suo PIL [stime] contro l’1,11% nel 2015; l’Estonia, confinante con la Russia, il 2,33% [stime del 2020] mentre nel 2013 ne spendeva l’1,90%), e inducendo per es. nazioni come la Svezia o la Finlandia a mutare la loro politica di sicurezza e difesa (con effetti anche sugli assetti politici interni) la Russia sta già alterando il sistema di sicurezza baltico-nordico. Tuttavia Mosca può influenzare, sollecitare e destabilizzare la regione in molti modi: potrebbe per es. spingere la Bielorussia (ormai uno stato-satellite russo) a isolare via terra Estonia, Lettonia e Lituania bloccando con qualche stratagemma la cosiddetta “breccia di Suwalki” (Suwalki Gap), area boscosa che collega la Polonia alla confinante Lituania; ancora, Mosca potrebbe ricorrere a forme di terrorismo cibernetico (i paesi baltici sono ormai da anni vittima di attacchi hacker russi), e “attacchi ibridi” (dai tentativi di manipolazione delle cospicue minoranze russe in Estonia e Lettonia, a nuove ondate di fake news; dalla corruzione di alti dignitari ad azioni di lawfare e PR – si vedano per es. i tentativi di etichettatura del porto di Klaipeda come “dono di Stalin” alla Lituania).

2 – L’AREA BIELORUSSA: dopo le massicce proteste popolari scoppiate nel maggio 2020 in Bielorussia, e continuate sino ai primi mesi del 2021, il regime profondamente autoritario del presidente Aljaksandr Lukašėnka ha scelto di bilanciare la sua crescente debolezza interna appoggiandosi alla Russia, divenendone de facto uno stato-satellite; come è stato non solo notato da diversi analisti, ma esplicitato dal presidente Lukašėnka, l’esercito della Bielorussia è ormai pienamente integrato in quello russo.

Dal luglio 2021 è in atto la cosiddetta crisi dei migranti al confine tra la UE e la Bielorussia; nel tentativo di costringere la UE a ritirare le misure restrittive nei confronti della Bielorussia, Minsk strumentalizza i migranti africani e asiatici giunti nel paese con la speranza di arrivare in Polonia, Lettonia, Lituania (e da lì in altri paesi UE), commettendo gravissime violazioni dei diritti umani (purtroppo anche i paesi europei coinvolti, specie la Polonia, respingendo con brutalità i migranti, si stanno macchiando di gravi violazioni). Riguardo alla condotta strumentalizzante della Bielorussia nei confronti dei migranti, si parla di “weaponization”, ossia di usare i migranti come arma. Ancora, le azioni di Minsk sono state definite “attacchi ibridi” dal primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, dalla cancelleria tedesca Angela Merkel e dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, e vari analisti sembrano considerarle tali. Non è chiaro tuttavia il ruolo della Russia nella crisi, ma diversi indizi fanno supporre che Mosca stia supportando Minsk nelle sue azioni di strumentalizzazione dei migranti (e del resto si pensi all’arrivo di migranti al confine russo-norvegese nel 2015).

Come è già stato notato sopra, Minsk potrebbe isolare via terra i paesi baltici bloccando la “breccia di Suwalki”, ma a meno di non voler rischiare una guerra con la NATO, il blocco dovrebbe avvenire non con mezzi militari, ma grazie a uno stratagemma, ad es. appiccando incendi in estate. Incidentalmente, l’allineamento di Minsk con Mosca dopo le elezioni presidenziali del 2020 ha trasformato il confine bielorusso-ucraino in un’ulteriore fonte di stress per Kiev.

3 – L’AREA UCRAINA: l’invasione russa dell’Ucraina nel 2014, con l’occupazione della Crimea e il sostegno dei separatisti del Donbass, ha destabilizzato il continente, alterando l’architettura della sicurezza europea, e ha costituito un vero shock per numerose cancellerie (si è parlato in merito della “più grande crisi di sicurezza in Europa dalla Guerra fredda”). L’Ucraina ne è uscita forse più coesa da un punto di vista interno, e in questi anni ha saputo modernizzare le sue forze armate (che sono tra le più ingenti d’Europa), ma l’invasione del 2014 l’ha resa molto più vulnerabile a livello geostrategico, e da mesi gli analisti temono una seconda invasione del paese da parte della Russia nei mesi più freddi del 2022, quando il terreno è congelato e i carri armati possono spostarsi con agio: è stato persino ipotizzato il rischio di un’occupazione russa della capitale Kiev e di altri centri di rilievo, a partire dalla città portuale di Odessa, nel sudovest del paese.

L’Ucraina confina con la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria e la Romania (oltre che con la Moldavia); se un’occupazione russa delle regioni nordoccidentali dell’Ucraina è improbabile, a causa di fattori orografici (l’altitudine media è superiore ai 200 metri in Volinia e Galizia, e a ovest del Nistro si superano i 1.300 metri [regione montuosa dei Carpazi]) e politici (l’ovest del paese è la storica roccaforte del nazionalismo ucraino), un’ipotetica occupazione russa dell’oblast di Odessa è resa possibile dalla geografia (assenza di colline o montagne, il Mar Nero), e resa desiderabile dal fatto che attraverso il porto di Odessa transitano oltre due terzi di tutte le merci ucraine. Nel passato Odessa è stata oggetto di operazioni anfibie di successo (ad es. quella dell’estate 1919 da parte dei russi bianchi). La conquista di Odessa infliggerebbe un colpo estremamente duro all’economia ucraina. Inoltre una nuova invasione dell’Ucraina scatenerebbe un’ingente ondata di rifugiati ucraini verso la UE, provocando forti tensioni politiche e sociali.

La vulnerabilità dell’Ucraina del sudovest, e la crescente assertività russa nella regione del Mar Nero, hanno spinto la Romania ad affrontare le nuove minacce alla sicurezza attraverso un rafforzamento dei legami con Stati Uniti e NATO, lo sviluppo dell’industria rumena della sicurezza e soprattutto un aumento della spesa militare, allo scopo di modernizzare le forze armate rumene: un impegno finanziario rilevante, specie per un paese tra i meno ricchi della UE. La Romania è passata dal dedicare alla difesa l’1,29% del PIL nel 2013, al 2,07% [stime] nel 2020.

In ogni caso l’annessione illegale della Crimea da parte di Mosca, e il massiccio sostegno ai separatisti del Donbass, stanno creando pressioni anche su altri Stati dell’Europa centrale. La Slovacchia nel 2013 dedicava alla difesa solo lo 0,98% del suo PIL; nel 2020, secondo le stime, il 2%. Anche la Polonia, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, ha aumentato il suo budget per la difesa: dall’1,73% del PIL nel 2013 al 2,31% [stime] nel 2020: in Europa solo la Grecia (alle prese anche con la crescente assertività turca, e da sempre big spender militare), l’Estonia e il Regno Unito spendono di più.

4 – L’AREA BALCANICA/ LA BOSNIA ED ERZEGOVINA: la situazione in Bosnia ed Erzegovina è sempre più tesa. Si teme una disgregazione dello Stato, principalmente a causa delle azioni della leadership serba, che ha in Milorad Dodik, ex presidente della Repubblica Srpska nonché attuale membro della Presidenza della Bosnia ed Erzegovina, il suo campione. Nel dicembre 2021 l’Assemblea nazionale della Repubblica Srpska ha avocato a sé competenze cruciali quali la difesa, il fisco, la giustizia, la sicurezza ecc., e ha avviato un processo per riorganizzare su base regionale tali settori; Dodik, che negli ultimi anni si è trasformato da riformista moderato in ultranazionalista, parla apertamente di secessione della Repubblica Srpska e definisce Ratko Mladić “una leggenda”; etichetta la Bosnia ed Erzegovina come “una repubblica di carta”. Gode del sostegno della Russia e del presidente Putin, di cui tesse le lodi, e accusa l’Occidente di non rispettare l’Accordo di Dayton.

In realtà sono Dodik e i suoi colleghi della coalizione alla guida della Repubblica Srpska a mettere in pericolo l’Accordo di Dayton. I rappresentanti diplomatici di Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Francia, Italia e UE hanno messo in guardia il governo della Repubblica Srpska, rilevando come continuare a sfidare l’Accordo di Dayton «sta danneggiando le prospettive economiche dell’entità [Repubblica Srpska], minacciando la stabilità del paese e dell’intera regione, e mettendo a rischio il futuro della Bosnia ed Erzegovina nella UE”; e facendo seguire i fatti alle parole, l’amministrazione Biden ha annunciato sanzioni contro Dodik. E in effetti è evidente che la secessione della Repubblica Srpska, la costituzione di un esercito autonomo, l’aumento delle tensioni tra le diverse nazionalità potrebbero destabilizzare non solo la Bosnia ed Erzegovina (che peraltro è un’area di transito dei migranti diretti verso gli Stati membri più ricchi della UE), ma anche altri paesi come il Montenegro e il Kosovo, con conseguenze sulla UE a livello politico, sociale e di sicurezza. Incidentalmente, si noti che l’estrema destra europea (che vanta storici legami con la Russia putiniana) da tempo celebra Dodik e critica la Bosnia ed Erzegovina.

5 – L’AREA BALCANICA/ IL MONTENEGRO: i rapporti tra il Montenegro, regime ibrido dominato da Milo Đukanović (attuale presidente e “uomo forte” del piccolo Stato, da molti anni presidente o primo ministro), e la Russia sono da tempo tempestosi. L’intelligence militare russa è stata accusata dalla giustizia locale di aver contribuito a orchestrare un tentativo di golpe nel 2016, per impedire l’entrata dello Stato nella NATO (il procedimento giudiziario tuttavia è stato aspramente criticato, e la giustizia montenegrina ha annullato il verdetto ordinando un nuovo procedimento). La grave crisi scatenata dall’insediamento del metropolita serbo Joanikije II a Cettigne è una conferma sia della vulnerabilità del piccolo Stato alle interferenze esterne (serbe e russe), che delle divisioni all’interno della società montenegrina.

A parere dell’ambasciatrice statunitense in Montenegro Judy Reinke, “la Russia, con i suoi fiancheggiatori politici e religiosi della regione e all’interno del paese, ha trovato terreno fertile in una società montenegrina profondamente divisa per sostenere i suoi sforzi di invertire la traiettoria occidentale del paese e farlo deragliare dal suo futuro euroatlantico”. La Russia da parte sua accusa l’Occidente di aver “trascinato” il Montenegro nella NATO.

La stabilità del Montenegro è fondamentale non solo per l’intera regione, ma per l’Italia: la distanza tra Bari e Antivari è meno di 250 chilometri, e un ulteriore indebolimento dello Stato montenegrino (o un suo collasso, a causa delle tensioni tra l’etnia montenegrina e la cospicua minoranza serba del paese, che gode dell’attivo sostegno del governo di Belgrado nonché del presidente serbo, sempre più nazionalista e autoritario, Aleksandar Vučić) rafforzerebbe le organizzazioni criminali presenti in Montenegro, già molto radicate e potenti, attive nel contrabbando di sigarette, nel traffico di droga ecc., e in buoni rapporti con le organizzazioni criminali italiane (non a caso la magistratura italiana ha definito il Montenegro di fine XX secolo-inizio XXI secolo come “la vera Tortuga adriatica”). La Russia, grazie alla sua partnership speciale con la Serbia, è senz’altro nelle condizioni di destabilizzare il piccolo paese balcanico, e contribuire a farne un pericoloso “Stato fallito”, a scapito della sicurezza e degli interessi adriatici dell’Italia e della UE.

6 – L’AREA SIRIANA: la Russia è il principale alleato del regime sanguinario di Bashar al-Assad, presidente della Siria, che grazie al supporto militare russo (e iraniano) è riuscito a recuperare il controllo di due terzi del paese, dove vive gran parte della popolazione siriana [dati inizio 2021]. Già in passato il regime di al-Assad e Mosca sono stati accusati di strumentalizzare i migranti e farne un’arma contro la UE (la già menzionata weaponization), sia da esponenti politici che analisti, e dal generale statunitense Philip Breedlove, SACEUR NATO; in caso di aggravamento dei rapporti tra la UE e la Russia, su richiesta di Mosca il regime siriano potrebbe provocare nuovi flussi migratori verso la UE, generando nuove crisi umanitari e forti tensioni politiche e sociali nei paesi europei.

Infine, si tenga a mente che Mosca ha un’importante base navale a Tartus, e una base aerea a Hmeimim; strutture permanenti che rafforzano la sua capacità di proiezione sia nel bacino del Mediterraneo che in Medio Oriente.

7 – L’AREA LIBICA: la Russia è tra i principali sostenitori del signore della guerra Khalīfa Haftar, che con il suo Esercito Nazionale Libico ha contribuito in modo decisivo a destabilizzare e devastare il paese nordafricano; la sua lunga offensiva per conquistare Tripoli, sede del Governo di Accordo Nazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite, ha provocato migliaia di morti e ulteriormente peggiorato le già difficili condizioni di vita del popolo libico. Il sostegno russo ad Haftar, e la presenza di mercenari russi in Libia, concorrendo in modo decisivo a ostacolare la nascita di “un governo unico e funzionale”, fomentando il caos e favorendo altresì la proliferazione di bande criminali, hanno contribuito ad alimentare i flussi migratori dal paese nordafricano, con drammatiche conseguenze umanitarie, sociali e politiche.

In un’intervista al Corriere della Sera dell’aprile 2019 l’allora primo ministro libico Fāyez al-Sarrāj fu chiaro: “Ci sono oltre 800mila persone, migranti africani e cittadini libici […] che potrebbero cercare di raggiungere le coste italiane per fuggire all’incalzare dell’attacco delle forze di Haftar”. Sinché Haftar rimarrà uno degli uomini più potenti della Libia, e il paese non si sarà pienamente stabilizzato, la Russia avrà la capacità di strumentalizzare i migranti, come in Siria, generando nuove crisi umanitarie e forti tensioni politiche e sociali nei paesi europei (Italia e Malta in testa).

In conclusione, quando il governo russo accusa l’Occidente di circondare la Russia attraverso la NATO, tali dichiarazioni non corrispondono alla verità dei fatti: in realtà è la Russia che sta circondando l’Unione europea, dal Mar Baltico al Mar Mediterraneo, ed è nelle condizioni di destabilizzarla politicamente e socialmente, nonché di gravarla di ingenti oneri economici e militari.

 

Questo post è tratto da un Commento uscito sul blog dell’Osservatorio Geopolitico e Geostorico del Nordest per l’Impresa e il Lavoro (OGGNIL), corredato di note.

 

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CAT: Geopolitica, Russia

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