Animal Welfare: cosa sappiamo davvero sul benessere dei nostri animali?

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28 Febbraio 2023
Ne abbiamo parlato con l’Avvocato Filippo Portoghese esperto di diritti degli animali ed appassionato del loro universo che ci ha fornito una prospettiva d’insieme sul tema

 

 

Avvocato, si sente parlare molto di Animal Welfare, cosa si intende in generale e come questo viene tradotto poi concretamente in ambito europeo?

“Credo che questa sia una espressione che, al pari di altre, ci faccia sentire bene solo a pronunciarla. Nell’ ambito dell’Unione Europea il benessere animale credo sia finalizzato alla tutela del mercato interno di ogni paese e della salute umana, nei confronti dei quali ha una valenza strumentale. Lo spiega bene il mio amico Enrico Moriconi (“Il dolore degli innocenti”) quando scrive di quel supremo interesse umano che riduce l’attività legislativa, nazionale e internazionale, ad una attività di mediazione. Accettato il principio della sofferenza degli animali quella (la legislazione) si limita (solo) a gestirla indicando quei comportamenti da utilizzare affinché non si raggiungano eccessivi livelli di afflizione o strazio in danno degli animali stessi. La ritengo una sintesi perfetta.

E così, aggiungo io, abbiamo messo in sicurezza il tanto rivendicato benessere animale. A condizione di metterci d’accordo su quale sia il riconosciuto benessere. Probabilmente  quello di alcuni settori industriali, come anche la nostra sicurezza, quando parliamo di animali da reddito e selvatici. 

Talune modalità di trattamento all’ interno degli allevamenti intensivi appaiono ormai ai più oltremodo estreme. Anche agli onnivori. Le condizioni di allevamento industriale non possono rispecchiare l’esigenza di garantire il miglior benessere animale possibile e sono visibilmente sbilanciate a favore delle esigenze della produzione. Siamo quindi ben lontani dalla definizione più evoluta di benessere, secondo cui l’animale dovrebbe essere posto in condizione di vivere “una vita degna di essere vissuta”. Siamo anche lontani dalla definizione più mitigata di benessere, inteso come possibilità dell’animale di vivere in un ambiente ricco di stimoli e interazioni, nel quale esprimere compiutamente le proprie necessità etologiche. Le normative di protezione ritengo proteggano soprattutto la nostra coscienza assicurando il benessere (economico) di allevatori e consumatori (salute pubblica)“.

 

Quali le libertà e diritti fondamentali che debbono essere garantiti agli animali e quali, invece, i reati perseguiti dalla legge in caso di lesione degli stessi?

Potrei risponderle, alla prima parte della domanda, compendiala con la possibilità di vivere una vita dignitosa. Perché gli animali, tutti gli animali, prima di ogni altra considerazione anche giuridica, sono soggetti della vita. Di una vita che dovrebbero vivere. Venendo alla seconda parte del quesito, quale che sia la distanza da noi, gli animali, sono quotidianamente tutti sotto assedio, minacciati, violentati. Tra i comportamenti più ignobili vi è, guarda caso, lo stordimento. Cortesia riservata agli animali da reddito. Si appoggia in un punto preciso del capo dell’animale (da reddito) una pistola il cui proiettile perforerà la scatola cranica della “bestia” provocandone la parziale distruzione del tessuto cerebrale e l’incoscienza dell’animale stesso. A tanto dovrebbe seguire, e vi è davvero da augurarselo, la cessazione delle funzioni vitali ma, se vi fosse qualche dubbio sul fatto che l’animale sia stato effettivamente stordito, chi dovrà, non esiterà a sparare un secondo e definitivo colpo.

Gli animali domestici non sono esclusi. Mi riferisco al maltrattamento etologico o selezione delle razze canine che conduce ad avere cani affetti da gravi patologie sin dalla nascita. Diversamente da quanto avviene in medicina umana, dove alcune patologie e le relative correzioni chirurgiche insorgono solitamente e statisticamente in età avanzata, in medicina veterinaria, invece, un numero importante di chirurgie di protesi all’anca interessano animali assai giovani e di età compresa tra il primo e il quinto anno. Un interessante libro di un altro mio caro amico veterinario, Massimo Raviola (“Che razza di bastardo”) lo racconta molto bene. Quanto ai selvatici, credo che le ultime bizzarre iniziative del governo parlino da sole.

La guerra agli orsi (ai lupi, cinghiali) si ripropone ciclicamente in tutta la sua drammatica ridicolezza, scatenando le immancabili faide tra chi è per un loro totale sterminio e invece chi ne rivendica una lunga vita. I primi preferiscono -come spesso accade- fare prevalere l’interesse umano a quello animale, dimenticando però che in gioco vi è la sopravvivenza del nostro pianeta. I secondi tifano per la biodiversità. Le parti più direttamente coinvolte, dal canto loro, non prendono in considerazione neanche per un solo istante la possibilità di individuare un punto comune e lavorare su quello. E vanno avanti a colpi di (sole) ordinanze. Li abbiamo cacciati e perseguitati, quindi reintrodotti per poi pentircene amaramente e tornare così a ripudiarli. Gli orsi, si dice, costituirebbero, oltre che una minaccia per l’uomo, una terribile minaccia per le economie locali. Negarlo sarebbe sciocco. È sufficiente leggere qualche pubblicazione di settore per rendersene conto. Potenzialmente e concretamente i danni possono essere importanti. Esistono però norme che prevedono il finanziamento di sistemi di protezione (esattamente come avviene per la grandine in danno dei raccolti) come anche il rimborso o risarcimento per i danni causati dalle loro eventuali (e sporadiche) intrusioni. Sono previsti stanziamenti a livello europeo proprio a ciò dedicati. È anche vero che, verosimilmente, sia il numero degli esemplari che i confini entro i quali si son spinti, sono mutati negli anni e questo potrebbe avere determinato una certa inidoneità delle misure normative previste. Non rimane dunque che adeguarle. Ma questo presuppone dialogo, conoscenza dei problemi reali e delle possibili soluzioni. In altre parole, occorre limitare l’ignoranza, nella consapevolezza che ciascun diritto rivendicato ha come inevitabile conseguenza la limitazione di un altro diritto. Bisogna cercare di bilanciare gli interessi in gioco. Certamente non occorre sparare”.

 

Come mai un avvocato, coniuga in modo così appassionato la propria professione con un amore autentico per il mondo degli animali? Da quanto si occupa di questo e quali concetti cerca di portare avanti nella sua attività di divulgazione e sensibilizzazione sul benessere animale?

Non ho una risposta alla prima domanda. Potrei rispondere che ogni volta che incrocio lo sguardo dei miei cani, capisco che sto facendo una cosa giusta. Mi occupo a tempo quasi pieno di problemi riconducibili agli animali da almeno 10 anni. Ricordo che ho iniziato occupandomi di diritto di famiglia e mi trovavo a discutere di ragazzini contesi. Oggi, quelli contesi sono spesso cani e gatti. In entrambe le situazioni purtroppo possono venire fuori i peggiori istinti.

Personalmente credo che condividere un tratto della nostra vita con un animale sia un’esperienza meravigliosa, per me credo irrinunciabile, a patto che sia vissuta con senso di responsabilità. Non solo etica, morale o etologica, ma anche giuridica. Non farlo comporterebbe una serie di irreversibili danni. Verso di loro, gli animali. Verso di noi, loro compagni. Ciascuno di noi ha il diritto e allo stesso tempo il dovere di rivendicare l’applicazione di queste regole. Le istituzioni e le autorità preposte hanno il dovere di applicarle. Ma, cosa più importante, è conoscerle”.

 

Gli animali  sono soggetti di diritto? Come descrivere la loro sfera giuridica e rispettarla?

“Il tema che si va ad affrontare non è riassumibile in poche battute. Potrei risponderle in modo volutamente provocatorio, di quali diritti dobbiamo parlare? Per l’art. 810 del codice civile, esiste il soggetto e l’oggetto, non è previsto un terzo genere. E oggetto del diritto è tutto ciò che non è umano. Il diritto, in altre parole, è un affare tra e per gli uomini. Per alcuni, se la tutela è un fatto acquisito pur se perfettibile, di soggettività non si può neanche discutere. Il discorso è chiuso, salvo non volere porre in discussione le tradizionali categorie giuridiche che riconducono alla “azionabiità”, la caratteristica principale dei diritti. Il tema della (eventuale) soggettività in capo agli animali è senza dubbio affascinante. Confesso che non ho ancora deciso da che parte stare o forse non ho ancora individuato quale argomentazione appare più accoglibile. Certo, una chiave di lettura è quella di porsi la domanda di quale sia la concreta utilità di parlare di diritti in capo agli animali.  E di capire se, quando si parla di diritti riferiti agli animali, ci riferiamo ai diritti o interessi propri dell’animale oppure agli interessi dell’umano, al rapporto con quell’animale. Di una cosa però sono più che convinto. Le questioni che riguardano gli animali dovrebbero trasferirsi dalla periferia del diritto al centro. Si tratta ormai di ambiti sempre più rilevanti del dibattito giuridico e che con ricorsiva frequenza si presentano al giurista. Sarebbe però da ingenui dolercene più del dovuto e accusare il legislatore di essere sordo o cieco rispetto all’evolversi della società. Il legislatore sente e vede molto bene. Il trasferimento di una situazione soggettiva dall’uomo all’animale significa affermare l’uguaglianza di quella situazione giuridica e questo può creare non pochi problemi. Quando una certa situazione è attratta nell’orbita del diritto, un giudice ne deve imporre la sua applicazione. Ecco che in qualche caso, è meglio che si continui a parlare di promesse, piuttosto che di nuove norme o nuovi diritti. Soggettivizzazione significa selezionare (quali animali e quali diritti) e individuare quali curatori di questi soggetti non umani sono idonei al loro compito”.

 

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CAT: Giustizia, Legislazione

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