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Governo

Il fascino discreto (del partito) della Borghesia

di Paolo Manfredi
3 Giugno 2018

Mentre assisto allo spettacolo circense della formazione del Governo Orban – Gava – Togni, non so voi a me é venuta una gran voglia di Borghesia, anzi di partito della Borghesia.
Avete presente la classe di mezzo? Il Terzo Stato? Ecco proprio quella.
In un Paese dove nemmeno Casa Pound si dice conservatrice, la Borghesia ha perso di smalto e di riconoscimento sociale. Definirsi Borghesi è quasi esotico e soprattutto la Borghesia ha perso la vis che ne ha fatto la forza motrice dell’eccezionalità occidentale (Occidente, concetto così straordinariamente Borghese…).
Se fosse stata in forma, la classe che ha fatto la Rivoluzione Inglese, quella Francese e le rivoluzioni industriali non solo non avrebbe tollerato la paccottiglia neomedievale su vaccini e scie chimiche, ma avrebbe proscritto gli untori dalle mura cittadine. Il fatto che oggi gli untori stiano al Governo la dice purtroppo lunga sullo stato di salute della ex classe egemone.
Altro che pacati, i Borghesi hanno fatto le uniche due rivoluzioni politiche che hanno prodotto salti in avanti della civiltà e non catastrofi. Hanno tagliato teste, abbattuto palazzi, fatto guerre e cambiato costumi, ma sempre con la cazzimma della classe del Fare. Perché la Borghesia è sempre stata contemporaneamente compassata e un po’ sborona. I borghesi, quelli belli, hanno pianificato intere città e hanno edificato palazzi, monumenti, fabbriche, templi laici che ne celebrassero la virtù come classe dei produttori, proprio quello che manca nei giorni del Governo dei flaneur.
Da troppo tempo questo ottimismo ha ceduto il passo al suo contrario, e l’Occidente vive uno stato paradossale di Borghesia in denial. La vecchia piccola Borghesia (cit.), era già la caricatura di una classe stanca e delegittimata dai suoi figli che giocavano a fare i proletari. Mentre altrove questa moda è presto passata, e la Borghesia si è rinnovata (ché la Borghesia è tale se è capace di rinnovarsi e allargarsi), da noi lo spread sociale ha continuato ad aumentare. La debolezza della nostra Borghesia è anche, pensandoci bene, quello che più ci differenzia dall’Europa e ci avvicina, ahinoi, a Paesi nei quali vorremmo andare in vacanza ma di cui non vorremmo mutuare classe dirigente e PIL.
Quali sono le virtù perdute di questa classe in affanno? Intraprendenza, ottimismo, pragmatismo, dinamismo, responsabilità, capacità di includere, apertura, decoro, amore per il progetto.
La Borghesia è sempre stata una classe ampia e piuttosto accogliente, ottimista per il futuro perché sapeva caricarselo sulle spalle, responsabile della cosa pubblica in quanto storicamente ruling class.

La Borghesia è sempre stata attenta a che l’ascensore sociale funzionasse, perché il suo spirito mercantile aveva bisogno di nuovi ricchi, non di nuovi poveri. La Borghesia è poi soprattutto opinione pubblica, scrutinio attento dell’opera del Governo, ed elettore razionale, che premia chi fa crescere il PIL e asfalta le buche. La Borghesia ha votato Merkel in Germania e Macron in Francia perché l’alternativa era un salto nel buio che la classe che ha inventato la partita doppia non poteva permettersi.
La partita doppia nasce a Genova ma noi la Borghesia, che già aveva una base ristretta, ce la dobbiamo essere persa, sennò non sia spiega l’insediamento di un Governo con il motto, per nulla Borghese, di “Straccioni a casa nostra!”. Un Governo che è gestito da imprenditori della paura e programmaticamente guarda in basso per difendersi dagli attacchi veri o presunti di chi sta dietro, invece di pensare a raggiungere chi sta davanti.
Per quanti borghesi possano farne parte, il Governo Conte non ha nulla di Borghese.
Non è Borghese l’aria frusta di incompetenza che lo circonda (per nulla scalfita dagli ottuagenari Capitan Fracassa che si sono prestati per regolare qualche conto in seno a burocrazie e accademie), né il rodomontismo da quattro soldi del giochino la sparo grossa, i miei capiscono il messaggio, i sinistri si incazzano, i giornali ci campano, qualcuno smentisce, io attenuo, tutti si scordano e intanto è passata un’altra settimana senza fare una minchia.
Soprattutto non è per nulla Borghese l’idea che la seconda economia manifatturiera d’Europa sia governata da chi non ha il tema della sviluppo economico nemmeno in agenda e ha in mente di occupare i Ministeri chiave per il benessere di un Paese (Lavoro e Sviluppo, appunto) per tenere buone le plebi a forza di regalie.
La Borghesia italiana però non se la sono mica mangiata Di Maio e Salvini, che sono invece l’ultimo prodotto della sua degenerazione, era già piena di acciacchi.
La crisi mondiale dei ceti medi ha impoverito i piccoli Borghesi e grippato l’ascensore sociale, mentre l’età media sempre più avanzata ha tolto vigore e aggiunto paure a quella che è sempre stata la “classe giovane”. Le fonti dell’opinione pubblica, che hanno sempre alimentato l’ethos e l’azione della Borghesia, si sono disseccate, aprendo varchi inattesi all’informazione stracciona (tipo La Gabbia, il cui conduttore è stato giustamente premiato con uno scranno parlamentare per i meriti acquisiti nel rendere il dibattito pubblico italiano una gara di rutti) a cui si sono prontamente aggregati i traditori di classe (citofonare in via Solferino).
Le classi digerenti meridionali hanno nella quasi totalità abbandonato ogni velleità di progetto e di politica e soffiano per conservare calde le braci della disperazione. Da Roma (inclusa) in giù la Borghesia è una classe minoritaria, che guarda più alla famiglia Uzeda che a Adriano Olivetti. Se a Roma esistesse una Borghesia degna di tal nome non ci sarebbe lo scempio di Virginia Raggi e del suo governo ideologicamente pezzente, che ha risolto la disparità fra il Centro e le borgate rendendo tutto una borgata. Lo spread crescente tra Milano e Roma (tacendo per carità di patria quello tra Milano e il resto) è innanzitutto uno spread di Borghesia.
Soprattutto, la Borghesia italiana ha smesso in larga parte di pensarsi come classe del dinamismo per accontentarsi di sposare la simbologia esteriore della propria classe e diventare solamente gli alfieri della buona educazione. L’educazione e il decoro borghesi erano funzionali ad una classe che doveva differenziarsi dalla licenza aristocratica e dall’anarchia proletaria e attraverso le regole imponeva la sua primazia, ma non erano mai fini a se stesse come sono diventate ora. Rincoglioniti da più di vent’anni di Ciampi, Prodi, Lerner, Repubblica e Fabio Fazio, la Borghesia progressista (quella conservatrice è semplicemente evaporata) è diventata una Signorina Rottermaier del rispetto di tutte le regole.
Quando ho scritto qualche settimana fa un pezzo in cui dicevo di invidiare il radicalismo della coppia Di Maio – Salvini ho ricevuto molti commenti che hanno confermato questa piena Sindrome di Stoccolma, a cagione della quale non si può nemmeno dire che Oettinger è un (po’) stronzo, ma soprattutto che l’Italia deve avere il coraggio di difendere le proprie prerogative in Europa senza cialtronate ma con Borghese fermezza e convinzione dei propri interessi.
Mentre attonito mi domando se Danilo Toninelli sarà o meno in grado di trasformare tutte le nostre autostrade in mulattiere, mi scopro a fantasticare quanto sarebbe bello sostenere un partito sinceramente Borghese perché ottimista e produttivista e alla bisogna anche un po’ rude sui propri interessi, senza però mai essere tamarro.
Un partito di chi ha ragione perché non ha paura e pensa che ingenerare paure negli altri e specularci politicamente sia una cosa disdicevole. Un partito che non solo voglia la TAV ma anche l’alta velocità a unire il triangolo industriale Milano-Torino-Genova (dove c’è un’assessore bravissima anche perché molto Borghese come Elisa Serafini, che sta ridando decoro ad una città decaduta per deandreismo deteriore). Un partito che tenga aperta l’ILVA perché non c’è alternativa e tagli gli ulivi malati di Xylella senza chiamare lo sciamano. Un partito che pensi che se redistribuisci ricchezza senza crearla o stai assaltando i forni o stai fregando qualcuno. Un partito Borghese insomma, perché serio, gentile e cazzuto.
Si potrebbe dire che i confini del partito Borghese vadano dal PD a Forza Italia, ma unire Sassuolo e Crotone non fa il Real Madrid.
Allora più che di sigle esauste è meglio parlare di classi sociali produttive, di artigiani e piccoli imprenditori, di manager e insegnanti, ma anche di immigrati che hanno ancora un sogno Borghese di riscatto sociale.
I leader seguiranno, anche se un ex Ministro, un sindacalista con due narici, qualche parlamentare e qualche amministratore locale fanno ben sperare, mentre il Gatsby di Rignano sembra aver finito il fiato. Soprattutto, fare cominciare il partito dai leader ci riporta nella trappola della democrazia dei tweet da cui un serio partito Borghese deve rifuggire.
Meglio, molto meglio iniziare da quei pezzi di Paese che si può e si deve convincere e per questo ci vogliono “idee chiare, uomini nuovi, amore per i problemi concreti”. Lo diceva un grande Borghese come Carlo Rosselli, per la cui citazione ringrazio Giuseppe La Ganga, ché sto rivalutando il PSI non foss’altro per dare fastidio a Travaglio.

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