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Governo

Siamo andati talmente veloce che ora siamo in ritardo

di Chiara D'Ambros
25 Ottobre 2020

Quando si trattiene il fiato, appena possibile si fa un lungo respiro. Per noi l’estate è stato questo. Ma non ci è bastato un respiro. Abbiamo tirato un sospiro di sollievo e pensato che tutto fosse alle spalle. Respirare è necessario per la vita ma soprattutto i malati di Cov-Sars2 sanno quanto possa essere difficile e oggi sono tanti, sempre di più, troppi.
Dopo il lockdown della scorsa primavera i contagi erano molto bassi. Ma non a zero. C’è da chiedersi se negli scorsi mesi non si sia ricreato lo stesso iceberg in cui abbiamo impattato a marzo. Piano piano il contagio è cresciuto, restando poco tracciato, tanto che ora la situazione è così grave da richiedere nuove chiusure?
E’ noto che il contagio nel mondo è partito da una persona, che anche una sola persona infetta più portare al contagio di milioni se non viene arginata subito la diffusione.
In Cina, a Qingdao, sono stati fatti 9 milioni di tamponi in una settimana per l’insorgere di un focolaio di 6 casi.
Non abbiamo la forza di tale tracciamento, ma non abbiamo nemmeno sufficiente personale per curare chi si ammala per mancanza di prevenzione. Tutto questo inserito in un contesto economico traballante.
Siamo punto e a capo. I vertici discutono sul dilemma tra il salvare vite o il lavoro, vengono snocciolate cifre, si parla di chiusure, per poi poter così riaprire, ricominciare una vita “normale”.
Ma è evidente che questa “normalità” tanto rincorsa, quasi ripristinata nei mesi estivi non è sanitariamente sostenibile e comunque siamo troppo in ritardo rispetto al numero dei contagi per poterla garantire. Più che trovare o mettere in atto “misure” restrittive o di contenimento si dovrebbero pensare a “nuove forme”, nuove prospettive, perchè ne va della salute collettiva psichica in senso lato.
Non c’è più l’attenuante dell’effetto sorpresa per chi governa, le persone hanno delle aspettative e chiedono risposte vengono date a fatica. Di nuovo è comparso il dilemma su chi deve fare cosa. Deve agire il governo? Le regioni? I comuni? Ma non ci è bastato quanto accaduto ad Alzano e Nembro? Ci sono di nuovo malati lasciati soli, non c’è supporto per chi è positivo e vive in famiglia, in promiscuità assoluta senza possibilità di stare isolato.
Oltre al dramma di chi sta male, di chi perde il lavoro, c’è un dramma emotivo legato alla paura, all’incertezza e allo sconvolgimento delle vite private di micro e macro rituali cui si contrappongono divieti e chiusure che creano traumi e smarrimento.
Oggi si decide la chiusura di cinema e teatri ma visto che ci si basa sui numeri, ci sono dati attendibili rispetto al numero di contagi in questi luoghi? O ci si può permettere di chiuderli perchè non ci si contrappone ad alcun potere forte? Se questa è la spia di una logica con cui ci si sta muovendo, non è la più rassicurante.
Abbiamo corso talmente veloce all’uscita dalla prima ondata che ci siamo schiantati dritti, dritti nella seconda e come quando sbatti in casa la testa sullo spigolo dell’armadietto resti frastornato, provi dolore e rabbia per non essere riuscito a evitarlo.
Ora ci vuole più che un ammonimento al prestare attenzione, più dei divieti. E’ più che mai necessaria una visione, non una corsa per poter ripartire ma un passo alla volta per poter dare vita a forme di convivenza, lavoro, istruzione e comunicazione sostenibili e che sostengano.

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