Il mito della casa di proprietà a Genova è finito male

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27 Agosto 2018

Il crollo del ponte Morandi è l’apice di una tragedia che ci accompagna da 50 anni cioè da quando è stato inaugurato. Le alluvioni avvenute dal 1970 ad oggi, quelle del 1992 e del 2011 per ricordare quelle più devastanti hanno avuto una cadenza ventennale che sconcerta per la regolarità con cui si sono riproposte, non sono figlie del riscaldamento globale, delle pioggie eccezionali o delle bombe d’acqua, la natura non è la causa, la natura ha un effetto sulle nostre azioni e sulla nostra pianificazione.

L’urbanistica e l’edilizia del dopoguerra durante il boom economico furono guidate dallo spirito dell’emergenza e della ricostruzione a discapito di una riflessione che tenesse in considerazione anche gli effetti delle azioni che si stavano compiendo, realizzando tutto quello che sembrava fattibile in quel momento per crescere e diventare finalmente un paese industriale e moderno.

Quartieri interi di Genova, Marassi è solo quello più noto per le cronache, sono l’esempio di come una pianificazione poco lungimirante, che ignorava o semplicemente si girava dall’altra parte rispetto alle questioni idrogeologiche ritenute meno urgenti dell’emergenza casa, ha avuto esiti catastrofici di cui acora oggi stiamo pagando le conseguenze, la natura aveva dato un segnale con l’alluvione del ’70 del Bisagno, dopodiché si è continuato a costruire palazzine e a deviare corsi d’acqua perché ritenuti non pericolosi e ovviamente anche le relative infrastrutture, strade ponti e viadotti sono passate sopra a tutto.

La vicenda della palazzina di Via Portazza 65 nel quartiere di Quezzi e dei suoi abitanti è già dimenticata dopo i tragici eventi del 14 agosto scorso, ennesimo avvenimento che avrebbe dovuto avviare una riflessione seria sul valore della casa di proprietà vero ed unico obiettivo del nostro passato.

Nella notte tra il 26 e il 27 Novembre 2016 sono state evacuate 60 famiglie, circa 160 persone, che vivevano in questo condominio costruito negli anni settanta con un lato confinante con il Rio Ferreggiano, proprio il muro di contenimento che reggeva l’edifico coincidente con l’argine è crollato fortunatamente senza portarsi dietro anche la palazzina. Gli abitanti si sono svegliati a causa del fragoroso cedimento, i Vigili del Fuoco hanno tempestivamente constatato l’erosione delle fondamenta dell’edifico e quindi hanno dichiarato il rischio di crollo e il contestuale abbandono immediato.
Possiamo solo provare ad immaginare la vita all’interno degli appartamenti, a quell’ora della notte quasi tutti probabilemente dormivano. Non possiamo immaginare invece i momenti successivi al crollo quando chi dormiva è stato svegliato di soprassalto, l’agitazione, le urla probabilemnte che hanno sconvolto la quiete notturna, i vicini che si trovano sul pianerottolo per capire cosa stesse succedendo. Le persone anziane e spesso anche sole che abitavano qui sono molte, e avranno avuto bisogno di assistenza fisica e morale prima di rendersi conto di dover abbandonare la propria abitazione senza un posto dove andare.

Finita l’emergenza, l’edificio è stato dichiarato agibile, e le famiglie sono potute tornare nelle proprie case certo non più sicure come prima, ed è iniziato un processo legale per determinare le responsabilità, al termine del procedimento civile, lo scorso 30 novembre 2017, il giudice ha chiamato in causa anche Comune e Regione e ha passato le carte alla Procura affinché si verifichi l’eventuale omissione di condotte di protezione della pubblica incolumità, infatti l’ordinanza del tribunale, inizialmente chiamato a dirimere nel merito della diatriba tra i condomini e i proprietari del versante franato, ha finito per chiamare in causa Comune e Regione, che fino ad allora non si erano pronunciate.
I proprietari per poter tornare nelle proprie abitazioni hanno dovuto provvedere a proprie spese all’installazione di sensori che captano ogni movimento e innescano il piano di evacuazione in caso di emergenza, l’edificio risulta in sicurezza ma la situazione potrebbe precipitare da un momento all’altro, in quanto i pilastri sono direttamente esposti agli agenti atmosferici. Il consulente tecnico ha specificato che i teloni in plastica non eviteranno la rapida accelerazione nel processo di disgregazione che potrà interessare in tempi non prevedibili, ma anche immediati, le opere fondali del fabbricato, a discapito della sua stabilità. Tale evenienza negativa avverrà sicuramente nel lungo periodo, a causa delle normali azioni degli eventi meteorici. Non sono necessarie grandi piogge, chiarisce la perizia  in quel punto il torrente si restringe, a causa della presenza di un altro stabile costruito sull’alveo, determinando una pressione tale da erodere le fondamenta che reggono la palazzina.

Oggi, in Via Valter Fillak ci sono 600 sfollati, le loro case probabilmente saranno demolite, anche loro oggi guardano il cielo non per questioni metereologiche ma perchè sopra le loro abitazioni pende quello che resta del Ponte Morandi.

Il ponte è stato costruito quando le case già c’erano, condizione che a Genova non è certamente unica, tutta l’autostrada A10 nel tratto urbano ha le stesse caratteristiche. La costruizione del ponte è stata oggetto di discussioni in un’epoca profondamente diversa, oggi sarebbe quasi impossibile costruire una tale opera sopra delle case, un ponte che è stato realizzato con una tecnica particolare di precompressione del cemento armato per realizzarne i tiranti. Si dovevano saltare delle case, un parco binari delle ferrovie e un fiume con pochissimi appoggi, la soluzione di Morandi è stata certamente eccezionale, viste le condizioni e i limiti, talmente eccezionale da poterla esportare anche all’estero. Per realizzare i piloni del viadotto fu necessario troncare le gronde delle palazzine di Via W. Fillak, all’epoca dei fatti poteva apparire un’inezia, come anche modificare gli argini dei molti Rii che solcano i quartieri di Genova per poter costruire ancora e sempre più stretti fino a toccarsi.

Il calo di abitanti a Genova negli ultimi 50 anni è stato del 30% da oltre 800.000 a meno di 600.000, eppure il numero di residenze non è diminuito in proporzione, anzi sono state realizzate molte nuove residenze all’interno del comune ampliando ancora l’offerta, l’occasione di una contrazione demografica è stata vissuta come negativa, come decrescita mentre poteva essere una risorsa, l’occasione che Genova aspettava per demolire quello che non si doveva costruire, insomma per porre rimedio dove possibile.

Un cittadinanza attiva dovrebbe affrontare questo problema sotto diversi punti di vista, non solo quello idrogeologico o manutentivo che oggi ci appaiono più urgenti, ma anche rispetto alla programmazione affrontando il tema della demolizione della casa o del condominio insomma della proprietà privata perchè migliorerebbe sia la situazione dei vicini che quella che degli inqulini stessi che troverebbero certamente un’abitazione migliore meno pericolosa, energicamente efficiente.

Genova potrebbe rappresentare un esempio efficace e promettente, anche per l’offerta di alloggi che ha a disposizione che permetterebbe di travasare abitanti da quartieri ad alta densità ad altri meno costretti, potrebbe essere avanguardia urbanistica e sociale, tale da diventare un laboratorio di esperienze sotto molti aspetti da quelli più strettamente tecnici cioè energetico, strutturale, idrogeologico e architettonico fino a quelli educativi, sociologici e legali.

La politica in passato è stata incapace o peggio sorda a questo tipo di interventi per paura di perdere le successive elezioni, oggi bisognerebbe avere il coraggio per chi governa di sapere perdere le successive elezioni avendo posto delle basi al miglioramento dell’ambinete in cui viviamo che in questo caso si chiama Città e che non potrà certo accontentare tutti.

Giacomo Summa, architetto, socio fondatore dello studio Baukuh

 

 

TAG: genova, Ponte morandi
CAT: infrastrutture e grandi opere

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