I tassisti, Uber, la letteratura e la filosofia
Le generalizzazioni sono pericolose? Si dice “i tassisti” e uno immagina una categoria di persone così e cosà. Come dire “i siciliani”, “gli arabi”, “i postelegrafonici”. Le categorie sono necessarie, come abbiamo appreso dai primi rudimenti filosofici: ci consentono di “processare” i dati acquisiti con i sensi, i quali non vanno al di là di “questo tassista”, “questo siciliano” e spesso non ci danno una loro “idea” trattabile nei “processi” mentali, che talora operano in “recessi” mentali, hanno ossia angoli bui dove non si rispecchiano idee chiare e distinte, ma altre idee sospettose, malamente processate in passato, veri e propri pre-giudizi, che interagiscono con i nuovi arrivati. A farla breve nella vicenda degli Uber io in linea di principio sono con l’innovazione tecnologica e con l’abbassamento dei prezzi, contro il particolarismo corporativo dei tassisti.
Poi la mia mente va al tassista del mio condominio, abitato da piccolo borghesi come me. E’ ancora giovane, non oltre i quaranta, ha una moglie e una figlia adolescente; lo vedo uscire tutte le mattine con il suo taxi bianco della compagnia milanese, affrontare una giornata di lavoro durissimo in quella bolgia di città. Lo vedo anche durante il week end, correre lungo il naviglio per tenersi in forma, per arginare l’adipe del lavoro sedentario, riuscendoci peraltro benissimo. Ora, la sconvolgente innovazione tecnologica di smart+internet+app farebbe carne di porco in men che non si dica, di lui, di sua moglie, della figlia adolescente che si affaccia alla vita. Il dramma che stiamo vivendo è tutto qui. Migliaia di mestieri, di consuetudini a volte millenarie sono o stanno per essere travolti da una fitta trama di freddi bit, di un silicio inerte e dagli occhi verdi di ghiaccio.
Ho amato sempre la letteratura, a dispetto della mia formazione filosofica, perché pur trattando dello stesso mondo dell’uomo che il pensiero “processa” in forme universalì e astratte, essa lo vede qui e ora nel particolare e nel concreto. Non dice: “L’UOMO”, dice “quest’uomo” Julien Sorel, Ulrich, Ciccio Ingravallo. Da questa prospettiva tutto diventa più problematico e meno assertivo. Si apprende per intanto che la carne e il sangue hanno delle ragioni che la ragione non comprende, e inoltre che le tragedie non nascono quando uno ha ragione e l’altro torto, ma quando tutti hanno ragione: le proprie ragioni. Perché, forse, ciò che è vero in filosofia, non è sempre vero in letteratura, e se lo è non è sopportabile lungo l’arco di un’esistenza singola. C’è un momento tragico in cui un’esistenza precipua non supporta o meglio non sopporta un’idea solo in sé ma non per sé giusta.
Occorre che un’idea muoia perché un uomo (una famiglia) viva?
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