Il marketing e la zuppa di sasso

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10 Marzo 2021

 

Il lupo della favola de “I tre porcellini” era semplicemente un analfabeta in termini di marketing strategico.

Davvero non si capisce cosa pensasse di ottenere annunciandosi come il lupo cattivo e minacciando di distruggere tutto a sbuffate se il suo target di clientela non si fosse sacrificato spontaneamente.

Un tuffo nel calderone bollente. Non meritava di meglio.

Quel lupo rappresenta un buon esempio di ciò che il Codice del Consumo definisce e sanziona come pratica commerciale “aggressiva”.

Esistono, tuttavia, anche altri tipi di lupi, padroni di strategie più sofisticate, che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, informalmente chiamata Antitrust, definirebbe “ingannevoli”. I lupi abili nel preparare zuppe di sasso.

Narra la fiaba per bambini che, durante una fredda notte d’inverno, un vecchio lupo bussò alla porta di una terrorizzata gallina, e quando lei si rifiutò di aprire, lui la convinse con una scusa originale.

Le disse che era vecchio, ormai senza denti, che non aveva nulla da temere e che voleva soltanto riscaldarsi un po’ davanti al camino, giusto il tempo di cucinarsi una zuppa di sasso.

La gallina, impietosita e incuriosita (cos’era mai questa zuppa di sasso?) fece accomodare il lupo ed egli, come promesso, si limitò ad infilare un grosso sasso dentro un pentolone pieno d’acqua e ad aspettare pazientemente che l’acqua bollisse.

Rassicurata dall’atteggiamento pacifico del lupo, la gallina gli fece presente che la zuppa sarebbe sicuramente risultata più saporita se vi avesse aggiunto qualche ortaggio. Generosamente, ne tirò fuori un discreto quantitativo dalla propria dispensa e li aggiunse al pentolone.

Un apprezzabile contributo della gallina alla riuscita della ricetta.

Pian piano, attirati dal buon profumo proveniente dalla casa della gallina, anche gli altri animali della fattoria si avvicinarono. Superati i timori derivanti dalla presenza del lupo, ognuno aggiunse al pentolone qualche provvista, patate, sedani, porri, carote e così via.

Alla fine, tutti gli animali intorno al fuoco – e il lupo per primo – gustarono la zuppa, davvero gustosa grazie al contributo che ognuno le aveva volontariamente offerto.

Quando venne il momento di gustare anche il sasso, il lupo tirò fuori un coltello appuntito, lo infilzò e disse “non è ancora cotto, se permettete me lo riprendo per la cena di domani”. Così dicendo fece per andarsene, provocando in tutti gli animali un grande dispiacere, perché proprio grazie al lupo e alla sua originale zuppa di sasso avevano trascorso una serata indimenticabile in compagnia.

Sazio e contento, lasciandosi una malinconica gallina alle spalle, il lupo partì, senza mai più tornare.

Altro che lupo! Quello era un maestro delle strategie di marketing: individuare l’obiettivo, elaborare la strategia, creare il bisogno, trovare il modo di trarne un utile.

Si tratta di una tipologia di lupi che mette in grande difficoltà, perché è molto complicato definirne le condotte come lecite o illecite. Forse, ancora prima, addirittura di classificarle come eticamente corrette o scorrette.

È facile capire che il lupo che costringe i porcellini a chiudersi terrorizzati in casa mentre minaccia di distruggere tutto pur di mangiarseli debba essere adeguatamente punito.

Ma come comportarsi con quello che si lascia alle spalle una fattoria di animali tristi per la sua partenza, entusiasti per la zuppa di sasso – che pure non hanno gustato – e desiderosi di una nuova esperienza simile?

Pensiamo alla più comune definizione di marketing, quella che ne individua le finalità nel soddisfacimento dei bisogni dei consumatori, con reciproco vantaggio, sia per i consumatori medesimi che per l’impresa.

L’assetto tradizionale, quello che anche il nostro ordinamento giuridico riconosce con una certa facilità, è semplice: a partire dal consumatore che esprime un bisogno, l’impresa crea un prodotto o un servizio, lo propone e, in caso di vendita, sono tutti felici. Felice il consumatore che ha soddisfatto il proprio bisogno, felice l’impresa che ne ha tratto un utile.

La degenerazione “ingannevole” di questo sistema è altrettanto semplice da individuare. Il punto di partenza è sempre il consumatore al quale, però, questa volta, l’impresa propone un prodotto o un servizio non adeguato, mentendo sulle sue caratteristiche oppure omettendo informazioni essenziali. Il consumatore è quindi spinto verso un acquisto che mai avrebbe considerato se avesse potuto disporre di informazioni corrette.

All’esito del processo, anche se l’impresa ne ha tratto un utile, il consumatore si scopre impoverito e insoddisfatto.

L’ingannevolezza, quindi, è solitamente rinvenuta nella condotta di un’impresa che miri a convincere il potenziale cliente di essere in grado – mentendo – di soddisfare i suoi bisogni.

Il punto di partenza del ragionamento è il consumatore, e soprattutto i suoi bisogni.

Alcune strategie di marketing, tuttavia, si sono talmente evolute da consentire l’inversione del paradigma iniziale. Il marketing moderno non parte da un bisogno dei consumatori: come il lupo della zuppa di sasso è abilissimo nel crearne uno dal nulla.

Si tratta di una condotta decisamente più complicata da interpretare, non fosse altro perché conduce al conseguimento di quel reciproco vantaggio, solitamente posto sulla linea di confine tra la correttezza e la scorrettezza di una condotta commerciale.

In assenza di un consumatore insoddisfatto che si professi vittima d’inganno, a ben vedere, rischia di non esserci controversia, e quindi nessun motivo che giustifichi un intervento giudiziario in chiave ortopedica.

La questione è delicata.

Le imprese che sanno sfruttare le risorse del web e le potenzialità offerte dalla tecnologia, dai big data, dai sistemi di intelligenza artificiale e dai social non hanno più motivo di mentire ai consumatori. Possono direttamente suggerire loro di cos’hanno bisogno, prima ancora di proporsi come coloro che saranno in grado di soddisfarne le richieste.

Il punto di partenza non è più il consumatore e nemmeno i suoi bisogni. Tutto ruota intorno al prodotto (o al servizio), che si fa in modo di trasformare in bisogno, per irretire il consumatore. Quest’ultimo, ahimè, non di rado finisce per fare la fine della gallina della fiaba.

Come deve porsi il nostro ordinamento giuridico di fronte a queste strategie, prevedibilmente destinate a diventare, con il tempo, ancor più sofisticate ed efficaci?

Il tema, come molti altri che riguardano il posizionamento dell’individuo nella società dell’informazione, non presenta implicazioni unicamente giuridiche, e probabilmente va affrontato più ad ampio raggio, risolvendo preliminarmente alcuni nodi di matrice culturale.

Come di consueto, viviamo in tempi in cui è piuttosto facile porre domande, non altrettanto fornire le risposte.

Uno dei quesiti che faremmo senz’altro bene a porci, in definitiva, è senz’altro questo: cosa ne pensiamo davvero dei lupi e delle zuppe di sasso?

 

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CAT: Innovazione

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