DaD e didattica

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5 Settembre 2020

L’emergenza Covid ha impresso una accelerazione ad alcuni processi già in atto nella scuola, ed è opportuno avviare una riflessione in tal senso, in ragione dell’importanza che la Scuola Pubblica riveste nel nostro ordinamento, sia come strumento di formazione e crescita per i giovani cittadini, che come strumento cardine per ridurre gli ostacoli alla piena realizzazione degli individui.

Le indicazioni nazionali

 

Partiamo dalle Linee guida per la Didattica Digitale Integrata.

Didattica digitale integrata e Didattica a Distanza non sono esattamente la stessa cosa. Leggendo le “Linee guida per la Didattica digitale integrata” si nota costantemente una sovrapposizione dei due concetti, quasi a voler intendere che l’uso di tecnologie digitali sia esclusiva pertinenza della didattica svolta a distanza. Ciò viene addirittura esteso alle scelte metodologiche. Lascia, infatti, molto perplessi l’affermazione contenuta a pag. 6 delle citate linee guida:

La lezione in videoconferenza agevola il ricorso a metodologie didattiche più centrate sul protagonismo degli alunni, consente la costruzione di percorsi interdisciplinari nonché di capovolgere la struttura della lezione, da momento di semplice trasmissione dei contenuti ad agorà di confronto, di rielaborazione condivisa e di costruzione collettiva della conoscenza. Alcune metodologie si adattano meglio di altre alla didattica digitale integrata: si fa riferimento, ad esempio, alla didattica breve, all’apprendimento cooperativo, alla flipped classroom, al debate quali metodologie fondate sulla costruzione attiva e partecipata del sapere da parte degli alunni che consentono di presentare proposte didattiche che puntano alla costruzione di competenze disciplinari e trasversali, oltre che all’acquisizione di abilità e conoscenze

Questa affermazione è praticamente priva di fondamento. L’utilizzo di tecnologie digitali, sia per presentare che per mettere a disposizione materiali didattici che per fornire ambienti di simulazione è prassi ormai consolidata da anni nella scuola italiana. Personalmente utilizzo da 15 anni una piattaforma, Moodle, per mettere a disposizione dei miei studenti tutti i materiali didattici che fanno parte del corso, compresi molti link a fonti esterne, molte delle quali sono veri e propri laboratori on-line per la simulazione/applicazione dei concetti di teoria. Utilizzo dal 2009 Cisco Packet Tracer per simulare con i miei studenti apparati di network, con un grado di realismo paragonabile a quello che si avrebbe se disponessimo fisicamente, in laboratorio, degli stessi apparati. Utilizzo ambienti di sviluppo sia per personal computer che per microcontrollori, ad esempio tutto quanto concerne l’utilizzo di Arduino. Tantissimi miei colleghi, da anni, ricorrono a strumenti per creare presentazioni, video, tutorial. Tantissimi ricorrono a materiali reperibili su Internet. Tanti altri utilizzano Padlet, oppure creano mappe concettuali on line, o condividono materiali utilizzando Google Drive, Edmodo e mille altre tecnologie. Si sono sviluppati in questi anni, anche in Italia, decine di siti dove si possono ritrovare materiali ordinati. Ad esempio, famosissimi sono i video del Prof. Barbero che arricchiscono tantissimo gli strumenti a disposizione di un docente di storia.

Tutto ciò è utilissimo! Ma non è assolutamente correlato con la DaD. Sono semplicemente materiali o strumenti di lavoro che possono essere utilizzati da un docente sia durante attività in presenza che durante attività a distanza.

La stessa affermazione “Alcune metodologie si adattano meglio di altre alla didattica digitale” è di per sé vera, ma non rilevante nel discorso. Così come la “didattica digitale” non implica la DaD, alla stessa maniera Flipped classroom, Debate, e così via non implicano la DaD. Argomentando sul puro piano della logica proposizionale, abbiamo la seguente situazione:

  1. “Didattica digitale” IMPLICA “metodologie che utilizzano il digitale”
  2. “Didattica digitale” NON IMPLICA “didattica a distanza”
  3. “metodologie che utilizzano il digitale” NON IMPLICA “didattica a distanza”

E’ poi tutto da dimostrare che certe metodologie, di per sé, abbiano strettamente bisogno del digitale (certo possono avvantaggiarsene, è indubbio).

Prendiamo ad esempio il “Debate”: non è necessario essere in videoconferenza per poter far dibattere due studenti davanti ad una platea. Anzi, forse il dibattito “dal vivo” riesce meglio, si riescono a cogliere quel “linguaggio del corpo” degli oratori, quelle vibrazioni nella platea, che sono impensabili “in videoconferenza”. Che poi questo stesso termine, “videoconferenza”, utilizzato dagli estensori delle linee guida, rappresenti un ossimoro rispetto alla successiva locuzione “partecipazione degli alunni”… presumo che sia una svista di chi le ha scritte.

Analogamente la Flipped Classroom, metodologia didattica in uso da anni, non ha nessun bisogno della DaD per essere messa in atto.

L’affermazione citata in apertura risulta ancor più infondata se pensiamo all’apprendimento cooperativo o al protagonismo degli studenti o allo sviluppo di percorsi interdisciplinari: chi ha scritto quella affermazione tenta di classificare come esclusive della DaD caratteristiche che invece sono proprie di un moderno, corretto, modo di intendere la didattica, sotto qualsiasi forma essa si presenti, sia a distanza che in presenza.

Quando leggo nelle linee guida “introdurre la DDI” nelle scuole secondarie, la mia risposta non può che essere: “la didattica digitale è già ampiamente introdotta, ed anche in modo integrato, ma la DaD è un’altra cosa”.

Per quanto detto sopra, le argomentazioni che mi accingo a portare non sono assolutamente rivolte alle tecnologie digitali o alle moderne metodologie didattiche, ma esclusivamente alla possibilità che la DaD possa, e in che misura, sostituire la didattica in presenza.

 

La DaD serve sì o no?

 

Durante la fase di lockdown la DaD è stata una soluzione di emergenza che è sicuramente servita a garantire un minimo di continuità nel rapporto degli studenti con l’istituzione. Aver evitato di chiudere tout-court è stato importantissimo. Questo è un merito della DaD che deve essere riconosciuto, così come deve essere riconosciuto ai docenti il merito di essersi impegnati nel tentare di portarla avanti.

La DaD è parzialmente riuscita a supplire alla mancanza della tradizionale didattica in presenza.

Ha offerto un sostituto abbastanza valido nei casi in cui già la didattica in presenza era impostata in modo tradizionale, frontale, e quindi risultava abbastanza agevole sostituire la comunicazione trasmissiva in presenza con quella mediata da una connessione telematica.

In alcuni casi la DaD ha addirittura migliorato la situazione, soprattutto, anche se questo può sembrare paradossale, quando ci si trovava in presenza di docenti non molto avvezzi (ma non del tutto digiuni) all’utilizzo di tecnologie digitali. Questi sono stati costretti a migliorare la propria capacità di utilizzo delle tecnologie digitali più di quanto non sentissero l’esigenza di fare precedentemente alla DaD, quando la lezione consisteva perlopiù nel recarsi in classe e parlare o interrogare.

Se invece consideriamo gli insegnanti che già da tempo erano abituati ad utilizzare in modo sicuro le tecnologie digitali, quindi, ad esempio, anche ambienti di virtualizzazione o simulazione, vediamo che per costoro la DaD non ha comportato particolari problemi nell’erogazione della lezione, pur avendo comunque perso quella dimensione empatica che scaturisce dal clima della classe. Possiamo dire che per questi docenti la DaD non ha aggiunto nulla, o quasi, mentre la mancanza della presenza ha tolto parecchio. Soprattutto rispetto alla didattica laboratoriale, come vedremo più avanti.

La DaD ha consentito agli studenti di disporre di materiali con cui rivedere la lezione (nei casi in cui veniva registrata) o, perlomeno, una maggiore quantità di materiali di studio, senz’altro molto più che non gli appunti cartacei presi sul quaderno o il tradizionale libro di testo (anch’essi comunque importanti nel processo di apprendimento). In questo senso la DaD ha consentito agli studenti di migliorare le proprie competenze nell’utilizzo degli strumenti digitali.

In alcuni casi, per studenti particolari, la “mediazione della tastiera” ha consentito addirittura una maggiore partecipazione: non è stato infrequente il caso dello studente più introverso che tramite la chat è riuscito ad intervenire più di quanto non riuscisse a fare in classe. In questo caso la possibilità di una partecipazione asincrona, attuata anche durante lo stesso svolgimento della lezione, è stata un inaspettato risultato positivo.

La DaD ha mostrato oggettivamente dei limiti, alcuni dei quali non facilmente superabili o, forse, non superabili del tutto.

La didattica laboratoriale è stata praticamente ridotta ai minimi termini e per alcuni settori resa praticamente impossibile. Questo è un aspetto molto importante, vista la centralità che essa riveste nel nostro sistema di istruzione, e merita un approfondimento, anche normativo. La didattica laboratoriale è più volte richiamata nelle riforme degli ultimi anni. Uno dei documenti forse più importanti in tal senso è il DPR 88 del 15 marzo 2010, dove, nell’allegato A, descrive, in diversi punti, il ruolo della didattica laboratoriale negli istituti tecnici:

2.1 Risultati di apprendimento comuni a tutti i percorsi.
A conclusione dei percorsi degli istituti tecnici, gli studenti – attraverso lo studio, le esperienze operative di laboratorio e in contesti reali, la disponibilità al confronto e al lavoro cooperativo, (…)

2.4 Strumenti organizzativi e metodologici
(…) Gli aspetti tecnologici e tecnici sono presenti fin dal primo biennio ove, attraverso l’apprendimento dei saperi-chiave, acquisiti soprattutto attraverso l’attività di laboratorio, esplicano una funzione orientativa. (…)
Le metodologie sono finalizzate a valorizzare il metodo scientifico e il pensiero operativo; analizzare e risolvere problemi; educare al lavoro cooperativo per progetti; orientare a gestire processi in contesti organizzati. (…) Tali metodologie richiedono un sistematico ricorso alla didattica di laboratorio, in modo rispondente agli obiettivi, ai contenuti dell’apprendimento e alle esigenze degli studenti, per consentire loro di cogliere concretamente l’interdipendenza tra scienza, tecnologia e dimensione operativa della conoscenza.

Un altro importante riferimento lo troviamo lo troviamo nell’allegato tecnico alla direttiva n. 4 del 16 gennaio 2012, che faceva seguito al DPR 88:

Il miglioramento della qualità dell’offerta di istruzione e formazione si realizza, inoltre, con l’adozione di metodologie didattiche innovative – altro punto chiave della Raccomandazione europea – fondate sia sull’ampio uso delle tecnologie informatiche (IT), sia sulla valorizzazione del metodo scientifico e dell’approccio laboratoriale, diffuso non solo alle discipline tecnologiche, ma a tutte le discipline del curricolo. Si fa riferimento, (…) ad una didattica laboratoriale, non legata ad uno specifico luogo fisico, attraverso la quale lo studente è chiamato ad affrontare le diverse problematiche disciplinari con metodologie di tipo induttivo, improntate alla pedagogia collaborativa del compito condiviso e del progetto che lo rendono protagonista degli apprendimenti. Per una trattazione più ampia di questo approccio si rimanda alle Linee Guida del primo biennio.

Analoghe considerazioni le troviamo sia nei DPR 87 e 89, rispettivamente relativi al riordino dei Professionali e dei Licei, che in successivi atti normativi, non ultima la legge 107 del 2015.

In tutti i casi viene ribadito un concetto fondamentale: la didattica laboratoriale, cardine del sistema di istruzione, si avvale di tecnologie e strumenti adatti ed è indissolubilmente connessa ad una didattica partecipativa. Tradotto in termini operativi significa, per gli studenti, lavorare insieme, in un luogo in cui disporre di strumenti, scambiarsi opinioni al volo, provare soluzioni; per il docente significa monitorare contemporaneamente diversi gruppi di lavoro, intervenire nelle diverse situazioni, approfittare di episodi significativi per richiamare l’attenzione della classe e riflettere insieme su alcuni aspetti teorici chiamati in causa dall’attività che in quel momento, in quella classe, si sta svolgendo. E, si badi, non è affatto detto che ciò possa o debba avvenire solo “in laboratorio”. La norma è chiara: la didattica laboratoriale non (è) legata ad uno specifico luogo fisico. Ogni disciplina, in ogni momento, può, e dovrebbe, essere affrontata con tale approccio.

Per descrivere la relazione che si instaura nello scambio di informazioni di una corretta attività laboratoriale, noi informatici usiamo l’espressione “molti a molti”, anche se, ovviamente, al docente resta il delicato ruolo di organizzare la lezione e dirigere tutta questa frenetica attività.

Al contrario la DaD, perlomeno come la si può concretamente realizzare oggi, con le tecnologie di cui disponiamo, consente tuttalpiù una comunicazione “uno a molti”.

Per quanto interattiva possa essere, la DaD comporta sempre una centralità del docente che resta il dispensatore di conoscenze, anche se presentate nei modi più avanzati. Sicuramente è possibile, anzi, auspicabile, che il docente con la DaD possa assegnare agli studenti lavori da svolgere in gruppo, e che gli studenti si organizzino autonomamente, ed è anche possibile che ciascun gruppo sia costantemente connesso con il docente, ma ciò non è assolutamente paragonabile alla presenza contemporanea di più gruppi di lavoro nello stesso luogo, unica condizione che consente immediatezza di comunicazione, consente al docente di cogliere situazioni interessanti sulle quali intervenire, consente l’interazione fra studenti dei diversi gruppi, crea quel clima di sana competizione e collaborazione nello stesso tempo.

Si badi, fino ad ora ho descritto i limiti della DaD esclusivamente in relazione ad una generica didattica laboratoriale che potrebbe andar bene per qualsiasi disciplina che non necessiti di tecnologie particolari, come, ad esempio, Italiano, Storia o anche, al limite, l’insegnamento di Informatica, che tramite gli strumenti di simulazione o di comunicazione consente di lavorare su apparati di rete simulandoli su un singolo PC, senza necessità di acquistarli, oppure di sviluppare programmi sul semplice PC di casa senza bisogno di nulla di speciale.

Proviamo a pensare invece allo studio della Fisica, o della Chimica, oppure ad un istituto alberghiero, dove si insegna “cucina”, o ad un professionale meccanico, dove si utilizzano torni a controllo numerico. E gli esempi da fare sarebbero tanti, perché sono tanti gli indirizzi di scuola in cui la didattica laboratoriale implica la necessità di attrezzature e spazi che non possono essere disponibili a tutti e ovunque.

In estrema sintesi, l’idea di DaD, che in questi mesi sta venendo sbandierata come la grande innovazione per la scuola pubblica, implica un forte ritorno ad una didattica frontale, un deciso arretramento rispetto alla riforma del 2010 e a tutti i successivi progressi in tema di introduzione delle tecnologie digitali nelle scuole, tecnologie intese come strumenti di lavoro utilizzabili nelle più svariate metodologie didattiche a disposizione del docente.

La DaD ha escluso dall’accesso al sapere tantissimi studenti. Questo è ormai sotto gli occhi di tutti, e non intendo dilungarmi. Le cause sono le più svariate, dal divario digitale alle differenze nell’ambiente familiare, fino a semplici problemi tecnici, ma è un dato certo che per molti studenti, soprattutto coloro che necessitavano di maggiore attenzione per attuare una vera inclusione, la DaD non ha funzionato. Se la scuola ha il compito di unire, integrare, facilitare, non possiamo certo affermare che la DaD possa operare in tal senso meglio di quanto non possa fare la didattica in presenza.

La DaD ha portato alla luce grossi problemi nella valutazione degli studenti. Questo è un aspetto molto interessante, che fa emergere un annoso problema del rapporto dei docenti con la valutazione.

Con la DaD molti docenti si sono posti il problema della attendibilità delle misurazioni delle prove dei ragazzi, e quindi della successiva valutazione. Sicuramente strumenti come i test a risposta chiusa o anche altri tipi di prove semistrutturate possono essere più facilmente “alterati” senza un controllo fisico, in presenza, del docente.

Tuttavia questo non è un limite della DaD, bensì dello strumento utilizzato per la valutazione. Non si deve ritenere che certi strumenti, come, ad esempio, la batteria di 30 domande a risposta chiusa, siano strumenti perfetti in classe e non funzionino in DaD. Questi strumenti presentano grossi problemi di attendibilità, spesso anche rispetto alla stessa costruzione degli indicatori, sicuramente rispetto alla possibilità che i risultati possano essere “inquinati”. Detta brutalmente: gli studenti sanno benissimo come copiare quando devono fare “una verifica con le crocette”. Semmai la DaD rende tutto ciò più facile, se usata in modo inappropriato, ma non è un limite della DaD. Sarebbe decisamente più utile ricorrere ad altri strumenti per valutare, basati sull’osservazione strutturata dei lavori dei ragazzi, oppure sulla loro presentazione di argomenti o progetti. Tutta una serie di strumenti di valutazione ben noti che andrebbero maggiormente inseriti nella tradizionale didattica in presenza e che, questo sì, potrebbero funzionare bene anche in DaD.

Quindi, grazie DaD per aver costretto molti docenti a meditare sugli strumenti per la valutazione!

 

Conclusione del discorso.

 

Quello che ho cercato di dimostrare è che la DaD non fornisce alcun contributo migliorativo al funzionamento della scuola. Può costituire una soluzione di emergenza, ottiene anche risultati interessanti in merito alla diffusione di metodologie e strumenti importanti, che comunque andrebbero perseguiti a prescindere dalla DaD.

Potrebbe benissimo essere utilizzata per un ampliamento dell’offerta scolastica, come, ad esempio, per gestire sportelli pomeridiani di recupero, interventi ad personam o per piccoli gruppi, per attività su progetti che fanno parte del POF. Può essere utilizzata, in casi ben precisi e senza generalizzazioni, per interventi di supporto a studenti BES o per gestire problematiche di inclusione. In tutti i casi in cui si tratta di andare oltre il tradizionale orario di lezione, la DaD può consentire di farlo con efficienza e senza un eccessivo impiego di risorse.

Per estensione, penso allo smart-working, la comunicazione a distanza può andare bene anche per riunioni di dipartimento, consigli di classe e tanti altri momenti di incontro.

Ma non può sostituire la didattica in presenza. Rispetto a questa, la DaD perde il confronto, offre molto meno, e sarebbe una menomazione delle potenzialità che offre la scuola.

E tutto ciò a prescindere da dati scientifici, che spero arrivino presto dalla ricerca pedagogica, in termini di effetti sull’apprendimento, sullo stress, sull’efficacia del lavoro di docenti e studenti.

Eppure, nonostante tutto, alcuni istituti italiani stanno interpretando l’indicazione contenuta nelle linee guida come un obbligo di introdurre alcune ore di didattica a distanza in sostituzione della didattica in presenza.

Niente di più sbagliato: questo obbligo non solo non è contenuto nelle linee guida, ma non è neanche una buona idea affermare il principio che la DaD possa tranquillamente sostituire la didattica in presenza. E’ un principio pericoloso, che non sappiamo dove possa condurre.

Sicuramente è importante che le scuole sperimentino (magari una settimana a quadrimestre) momenti di DaD che riguardino tutte le discipline e per l’intero quadro orario, ma solo allo scopo di essere pronti a fronteggiare un possibile nuovo scenario di lockdown, non certo per affermare che la DaD possa sostituire la didattica in presenza.

Se una tale sostituzione fosse possibile, se le “videoconferenze” potessero veramente sostituire la vita in classe, non sarebbe forse più economico e conveniente sostituire gli insegnanti di Storia con i documentari della Rai, e magari ridurre la scuola solo a qualche esperienza pratica in qualche laboratorio attrezzato? Però a quel punto il lavoro a scuola resterebbe senza più nessun nesso interdisciplinare e nessuna didattica partecipativa, con buona pace della grande Scuola Pubblica che ha costruito l’Italia e gli italiani!

Io, al contrario, la penso come il Presidente Mattarella: “le scuole chiuse sono una ferita per tutti”  (27 aprile 2020, in pieno lockdown) oppure “La comunità della scuola è risorsa decisiva per il futuro della comunità nazionale, proprio in quanto veicolo insostituibile di socialità per i bambini e i ragazzi: ne comprendiamo ancor più l’importanza dopo le chiusure imposte dalla pandemia.” (31 agosto 2020, discorso per celebrare i 150 anni di Maria Montessori).

 

 

TAG: coronavirus, Cultura, dad, Didattica, didattica a distanza, innovazione, scuola
CAT: Innovazione, scuola

Un commento

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  1. marcoguastavigna 4 anni fa

    Il ragionamento si fonda su tre presupposti poco fondati e assolutamente non condivisibili.
    1. Le tecnologie digitali non sono strumenti tutti uguali a intenzionalità indifferente, perché vi sono quelle vocate al capitalismo di sorveglianza e quelle vocate allo sviluppo umano. Quelle il cui impiego è adattivo e quelle il cui impiego può essere emancipante.
    2. Di conseguenza “la didattica digitale” è un concetto vuoto, troppo generico e del tutto subordinato alla retorica mainstream del ministero.
    3. “La” DAD a sua volta non esiste: hanno avuto luogo distanziamenti di pratiche didattiche anche molto diverse tra loro. Molte affermazioni, inoltre, sono ovvie. Servirebbero ben altri livelli di analisi prima e di elaborazione poi.

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