dall’est europeo il vento autonomistico spira verso ovest

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9 Maggio 2022

Il clima geopolitico europeo registra una recente attivazione di venti autonomistici al pari di quanto verificato nell’Europa dell’Est e le rivendicazioni  che covano  sono molto più pressanti di quanto i media non lascino trapelare. Naturalmente nessun approfondimento è nato dopo l’intervento in aula a Strasburgo dell’eurodeputato belga Guy Verhofstadt che, rivolto ai cittadini e spalle alla presidenza dell’emiciclo , ha chiesto una profonda riflessione sull’ipotesi di riformare i Trattati Europei, TUE e TFUE. Verhofstadt ha comunicato che “Il Parlamento europeo attiverà l’articolo 48 e chiederà l’avvio di una convenzione per cambiare i trattati fondanti dell’Ue”.  Episodio non rimasto isolato. Nella penultima mattinata dei lavori della Conferenza sul Futuro dell’Europa (CoFuE) le 178 raccomandazioni emerse dai panel dei cittadini sono state riassunte in 49 proposte. Alcune implicano modifiche radicali delle regole di funzionamento dell’Ue, basti citare il superamento dell’unanimità per le decisione del Consiglio (che rappresenta i 27 Stati membri), la creazione di una difesa comune e l’istituzione di liste transnazionali. Non solo: dall’esercizio di democrazia partecipativa emergono anche istanze sociali come il salario minimo e l’abbandono dell’allevamento e dell’agricoltura intensiva. In pratica, finalmente,  richieste utili e pratiche  per riformare l’Europa promosse a gran voce in questi mesi dai cittadini che non sono rimaste metaforiche e di cui questo giornale si era fatto interprete nel recente passato.http://Ferrara A. Autonomia, Indipendenza, Secessione. GliStatiGenerali.com, 17 ottobre 2017  L’indicazione, insomma, è chiara: l’Europa deve essere più vicina ai suoi cittadini.

Va posta subito la differenza tra strade diverse da seguire per vitalizzare il sentimento di auto decisionalità dei territori.

Si possono perseguire tre strade:

quella della Autonomia, ordinaria o a statuto speciale, cavalcata nello Statuto Siciliano che individuava ragioni di indipendenza non separatista, una volta messi da parte Finocchiaro Aprile, l’Evis e la banda Giuliano che volevano fare dell’Isola la 51ma stella americana. Autonomia amministrativa con Statuto speciale volto alla risoluzione dei principali problemi normativi e legislativi su ogni tematica, anche quelle non comprese nel Titolo V. Alla base resta però l’uniformità di comportamenti politici internazionali e sovranazionali comunitari che rendono la Regione parte integrante del contesto Europeo. Agonismo sinergico dunque con lo Stato di appartenenza, secondo il modello del Comitato Europeo delle Regioni.

Quella della Secessione che significherebbe rottura e antagonismo politico con frattura insanabile, balcanica come è avvenuto in Kossovo, Cecenia e paesi in cui il dettato costituzionale non c’è o stenta ad avvalersi.[1] Sempre nel Regno Unito, alle elezioni del maggio 2022, l’Irlanda del Nord, definita anche come Ulster, ha registrato la vittoria del Sinn Fein, il partito cattolico di sinistra, nato sulle ceneri del suo braccio armato l’IRA, che ha condotto una campagna elettorale puntando sulla forte spinta autonomistica, se non addirittura secessionista con la prospettiva di riunificarsi alla nazione irlandese. È notizia di queste ore della vittoria elettorale del Sinn Fein in Irlanda del Nord, guidato da . Un territorio della cui guerra ci siamo dimenticati. Braccio politico dell’IRA, il Sinn Fein, guidato da  Michelle O’Neill  con il concorso della leader dei nazionalisti repubblicani Mary Lou McDonald, ha conquistato la maggioranza relativa superando il maggiore dei partiti unionisti protestanti, il Dup, sia in percentuale di voti (29% contro 21,3), sia in  numero di seggi. Riemergeranno le ipotesi scissioniste?  Da ricordare che Irlanda del Nord e Scozia sono gli avamposti territoriali britannici protesi verso il le aree di estrazione del Brent e, come per l’Ucraina che era frapposta tra le arre di estrazione gas russo e le aree di distribuzione commerciale, anche in Gran Bretagna potrebbe porsi il problema delle royalties di passaggio. Una miccia che il Sinn  Fein non si lascerà scappare.

Il percorso più praticabile appare quello della Indipendenza o Autodeterminazione, amministrativa, fiscale, legislativa e su ogni fonte di cespite. E’ il caso della Catalogna che vanta il 20% del PIL iberico, che ha tradizioni culturali, linguistiche ed economiche differenti ma non discostanti da quella spagnole.

E’ anche il caso della Scozia che vuole far valere il principio di primogenitura sul mercato del Brent, imponendo i suoi prezzi e non quelli del governo della Regina. Certo gli scozzesi hanno tradizioni differenti da quelle britanniche ma non discostanti al punto da entrare in competizione. Antagonismo paritario dunque con lo Stato di appartenenza.

Le rivendicazioni autonomistiche della Scozia muovono da premesse antiche che si embricano con le più moderne necessità socio-economiche e culturali. Come scrive Simone Furzi[2] la Scozia non è mai stata conquistata dall’Inghilterra, è sempre rimasta quasi delimitata dal vallo di Adriano che continua ad avere una sua funzione delimitativa ma non certo ostativa. I due paesi si sono contaminati nel corso dei secoli ma la traccia culturale primigenia scozzese è rimasta tale. La stessa lingua è di derivazione celtica, distinta dal celtico irlandese ma sempre di matrice gaelica. Dal 2006 la lingua ufficiale della Scozia è il gaelico scozzese, derivato dal gruppo delle lingue celtiche la cui diffusione è in prevalenza nel Nord del Regno Unito (Irlanda e Scozia). Gli scozzesi sembrano aver superato il problema della identità nazionale, questo è rilevabile nei numerosi referendum che si sono succeduti negli ultimi anni. In particolare, dei favorevoli all’indipendenza il 77% si definisce “Scottish not British”, con un aumento del 33% rispetto al 2010 e il 72% di loro vota per lo SNP.[3]

La galassia britannica ha nella Scozia un segmento molto importante anche se è riconosciuto che il riferimento all’Unitary State dovrebbe essere mutuato in Union State. È questo un concetto molto caro agli Inglesi (con questo termine intendiamo inglesi, e più complessivamente britannici con i gallesi, irlandesi e scozzesi). Ritroviamo il concetto di “Union” anche molto lontano geograficamente nella nazione apparentata, quel Nord America che oggi chiamiamo USA United States of America. Negli ultimi tempi gli stessi sondaggi e soprattutto le elezioni hanno dimostrato che le tendenze francamente separatiste sono sostenute dalla metà degli scozzesi. Lo Scottish National Party (SNP), il partito a capo del processo secessionista non è riuscito a conquistare la maggioranza e è dovuto ricorrere ad un governo di coalizione con i verdi locali (Scottish Green Party). Al di là del percepito, una vera rivendicazione secessionista non esiste perché poco conveniente. Un’ipotesi secessionista riproporrebbe un quesito più consistente: uscire dalla Gran Bretagna significherebbe entrare nella UE. E questo scenario appare francamente foriero di problemi. La Scozia dovrebbe rinunciare a 39 miliardi di sterline di trasferimenti e dovrebbe versare alle casse UE un contributo consistente dato che gode di un PIL molto alto. La stessa gestione del petrolio del mar Artico e del pescato sarebbe più complessa avendo l’UE come interlocutore piuttosto che Downing Street. Oltretutto la gestione della risorsa fossile è messa in discussione dai verdi che sono una forza essenziale del governo di Nicola Sturgeon l’attuale Prime Minister. Quindi l’intera tendenza scozzese verso la secessione è fatta più di deterrente che di fattuale impegno.

Il primo Ministro, a seguito della Brexit, ha voluto approfondire lo scenario con una commissione istituita per una previsione secessionista (Sustainable Growth Commission) ha indicato in circa 10 anni il periodo di assestamento con il mantenimento della sterlina, sopportare un deficit annuo del 6% circa, adottare una politica restrittiva e poi pagare al Regno unito 5 miliardi di sterline l’anno per onorare l’impegni assunti di partecipazione al debito britannico[4]. Il bilancio allora detta le regole di un mantenimento dello statu quo pur con le rivendicazioni di rito gaelico scozzese.

Nelle elezioni locali del 2022, il Labour Party guidati da Anas Sarwar, un odontoiatra di Glasgow, ha messo in discussione la storica maggioranza dello Scottish National Party di Nicola Sturgeon, dichiarandosi contrario ad ipotesi di referendum secessionista, che, dopo quello perdente del 2014-  appare programma politico sempre più rarefatto.

Dopo il fallimento dell’ultimo referendum del 2014 (55.3% di NO contro il 44.7 di SI) il governo britannico ha istituito una Commissione per una più concreta devoluzione di poteri che ruota su una problematica assai simile a quella italiana della concorrenza legislativa Stato-Regioni ( art. 117 Co.). La questione, nota come West Lothian, riguarda il diritto di voto dei parlamentari delle Regioni con un governo decentrato ( Irlanda del Nord o Ulster, Scozia e Galles) su leggi esclusive dell’Inghilterra. Il problema fu posto nel 1977 da Tam Dalyell, deputato laburista del West Lothian con il celebre richiamo “For how long will English constituencies and English Honourable members tolerate … at least 119 Honourable Members from Scotland, Wales and Northern Ireland exercising an important, and probably often decisive, effect on English politics while they themselves have no say in the same matters in Scotland, Wales and Northern Ireland?”.  [5]

Un richiamo a una maggiore devoluzione di poteri legislativi alle Regioni nelle quali le tendenze autonomistiche sono suffragate anche da spinte minoritarie.

Last but not least, in Europa è ancora sotto traccia il dibattito sulle Minoranze. I numerosi Consensus sull’argomento hanno contribuito a focalizzare più che risolvere i problemi. Va dato atto che il  primum movens fu voluto dall’Amministrazione Carter che lanciò un forte segnale per i diritti umani e per il riconoscimento delle minoranze. Su questo punto c’è da ribadire che i precedenti Consensus sulle Minoranze avevano stabilito i criteri distintivi: etnici, religiosi e linguistici. Da quel momento nasce invece una maggiore attenzione alle Minoranze i cui caratteri sono ancora in via di definizione, arrivando alla conclusione che non esiste Paese che non abbia un gruppo sociale minoritario ma identitario che richiede non solo attenzione giuridica ma il suo pieno riconoscimento. Anche per queste istanze venne predisposto un Gruppo di lavoro, da cui poi scaturì  la Federazione internazionale di Helsinki e degli  Human Rights Watch.

Tab. 1 Le Convenzioni e i Consensus sulla questione delle Minoranze

Dalle prime Conferenze su questo problema (Carta delle Nazioni Unite, adottata a S. Francisco il 26 giugno 1945, Convenzione UNESCO, firmata a Londra il 16 novembre 1945,  Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata a New York il 10 dicembre 1948, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, adottata a Roma il 4 novembre 1950, Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966) il quadro normativo e giuridico è stato implementato da documenti risolutivi quali la Dichiarazione universale dei diritti linguistici nell’ambito della Conferenza mondiale dei diritti linguistici, approvata a Barcellona il 6 giugno 1996 e la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze, 1998.

 

Ma ci sono Minoranze emergenti con problemi ancora poco risolti in tema di diritti civili. Basti pensare ai nuovi cittadini migranti, agli LGBT, agli emarginati funzionali senza pensare alla condizione sociale minoritaria delle povertà emergenti. Su questi temi l’Europa sta fallendo la sua missione di integrazione, democratizzazione e perequazione dei diritti pronunciati ma non attuati. Su questo argomento si sviluppa il recente volume sulla Economia alveolare interregionale che potrebbe far transitare le Regioni Europee dal problema dell’Indipendenza al progetto dell’Interdipendenza economica.[6] L’Europa, come l’abbiamo vista e vissuta, negli ultimi 50 anni dal Trattato istitutivo di Roma ad oggi, non funziona, è ingessata e non ascolta il ” grido di sofferenza ” di popolazioni emarginate. La proposta è quella di rivedere il Manifesto di Ventotene in chiave federalistica Europea ad impianto macroregionale.

[1] Ferrara A. Autonomia, Indipendenza, Secessione. GliStatiGenerali.com, 17 ottobre 2017
[2] Furzi S. Scozia. In bilico ai confini del Regno. Centro Riforma dello Stato, 10.03.2022
[3] Scholes, A., Curtice, J.,The Changing Role of Identity and Values in Scotland’s Politics, ScotCen Social Research,November 2020,pp. 5 e ss..
[4] Scotland – the new case for optimism. A strategy for inter-generational economic renaissance, Sustainable Growth Commission, May 2018.
[5] BBC News. Tv debat on “Labour rules out talks on English votes for English laws”, 14 ottobre 2014.
[6] Ferrara A., Planetta E. Next UE. Prefazione di Felice Besostri. In press

TAG: economia alveolare, interdipendenza regionale, TFUE, Trattati europei, TUE
CAT: Istituzioni UE, Politiche comunitarie

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