Riparte il treno delle riforme: farle non basta, bisogna farle bene

9 Gennaio 2015

Archiviato un 2014 fatto più di propositi e procrastinamenti, che di fatti e riforme vere, è il 2015 il vero annus horribilis per il governo di Matteo Renzi. Nei mesi che verranno lui e la sua squadra dovranno dimostrare di poter fare quello che hanno promesso agli italiani, quelle riforme istituzionali che potrebbero contribuire a far ripartire dalla polvere un Paese stremato. Ma soprattutto dovranno convincere di saperle fare davvero.

Ieri, con l’approdo dell’Italicum alla discussione del Senato, viene aggiunto un importante tassello al progetto di revisione dell’assetto istituzionale del Paese, ma che di certo, da solo, servirà a ben poco. Non saranno sufficienti né l’Italicum né la revisione del Titolo V, promossi dal governo Renzi, a far ripartire il motore ingrippato dell’economia e, più in generale, dalla fiducia nelle istituzioni.

Che l’Italia abbia bisogno di una legge elettorale e di un nuovo sistema di ingegneria istituzionale – per dirla alla Sartori – più efficiente e moderno è incontestabile, ma non è la prima che renderà il Paese più stabile e governabile, né tantomeno la riforma della seconda basterà per far ripartire il Pil.

L’Italicum, così come è stato approvato il 14 marzo dalla Camera dei Deputati, non è affatto in grado di assicurare la governabilità auspicata, garantendo, come vorrebbe il Presidente del Consiglio, di «conoscere chi ha vinto già la sera delle elezioni». Per raggiungere quel risultato, bisognerebbe procedere alla riforma della forma di governo, più che della legislazione elettorale: si dovrebbe consegnare al Paese una forma di governo presidenziale, che, però, a tutela della minoranza e degli interessi locali, come avviene negli Stati Uniti, manterrebbe in vita un sistema bicamerale elettivo.

A questo l’Italicum non pensa, concentrato com’è ad attribuire una potenza immensa, che la Corte costituzionale dovrà dire in seguito se legittima, al vincitore e al governo che saprà esprimere. Chi vince, prende tutto, ma non è certo se riuscirà a governare il Paese. La riforma del Titolo V della Costituzione è stata presentata dal Ministro Boschi come la panacea di tutti gli antichi mali italici, la riforma delle riforme insomma, ciò che, secondo il consigliere economico di Renzi Yoram Gutdgeld farà ripartire la crescita.

È davvero difficile pensarlo, dopo aver letto il testo del disegno di legge, che complica, anziché semplificare. Scompaiono i confini fra la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, perché scompare il comma 3 dell’art. 117 relativo alla competenza concorrente: da domani nessuno saprà cosa e quanto potrà fare, aprendo nuovamente la strada a controversie costituzionali. Più che ripensare l’articolazione funzionale dei livelli di governo territoriale, si supera in un colpo solo più di un ventennio di regionalismo con una spinta centripeta verso Palazzo Chigi. Si elimina il Senato elettivo, ma non lo si trasforma in una vera Camera delle Regioni.

E che dire del pasticcio delle Province? Prima abolite e poi reintrodotte, ma senza poter esercitare, d’ora in poi, alcuna funzione rilevante. Ancora una volta si chiede alle regole di supplire là dove la politica più non riesce: governare.

Ma non basta dimostrare la voglia di fare le riforme.

Oggi il governo è chiamato a farle bene, a mettere in campo un progetto di ricostituzionalizzazione serio e condivisibile e a dimostrare a noi tutti di non stare navigando a vista.

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Per aiutare una riflessione in chi fa politica e in chi ne vive le conseguenze, cioè tutti noi, iniziamo oggi un ciclo di interviste curate dal nostro Enrico Ferrara con esperti di vari campi e generazioni. I primi due sono Mattia Diletti e Massimiliano Mezzanotte

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foto di copertina tratta da Flickr, profilo di Palazzo Chigi, Creative Commons

TAG: bicameralismo, maria elena boschi, Matteo Renzi, riforme costituzionali
CAT: Legislazione

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