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Letteratura

Comprare una macchina

di Filippo Cusumano
21 Settembre 2018

L’avevo desiderata. L’avevo attesa. All’inizio non avevo le risorse per potermela permettere.
Poi mi aveva trattenuto il pensiero che forse la mia famiglia aveva altre priorità.
Avevo finito per considerare la mia ossessione per quella macchina come il riflesso di una condizione infantile non del tutto superata, come un errore da correggere.
Negli ultimi tempi avevo persino smesso di pensarci.
Non che la cosa mi rallegrasse, archiviare i desideri senza essere riusciti, per un motivo o per l’altro, a soddisfarli, è sempre una sconfitta, una cosa triste, persino umiliante.
Avevo finito però per convincermi che, data la natura quasi infantile di quel desiderio, la rinuncia a soddisfarlo rappresentasse un traguardo di maturità, una piccola conquista interiore.
Poi c’ero cascato con tutte le scarpe…
Colpa anche dell’apertura, a due passi dal mio ufficio in centro, di quell’autosalone.
L’oggetto dei miei desideri era lì, in vetrina.
Bellissima, luccicante, una specie di Paese dei Balocchi allestito lì, sotto il mio naso, tutte le volte che scendevo in strada a prendermi un caffè.
Così ho ceduto.
“E’ la cosa che desideri di più da sempre”, mi sono detto, “questo è il momento! Se sei un uomo, entra in quel salone e fai quello che devi fare!”
Così un giorno mi sono deciso e sono entrato.
Un’ora dopo sono uscito con il contratto in tasca.
“Ci vorranno almeno sei mesi perchè arrivi la sua macchina”, mi aveva detto il venditore, “come può immaginare c’è molta richiesta e macchine come queste le fanno artigianalmente, mica in catena di montaggio!”.
Avevo annuito, già meditabondo e perplesso.
Ma il venditore aveva subito provveduto a rincuorarmi: “Ha fatto la scelta giusta, vedrà che non se pentirà. Questa è la macchina che tutti le invidieranno. Ogni volta che tornerà a prenderla al parcheggio, troverà sempre qualcuno in ammirazione di questo piccolo capolavoro…”
Il più difficile é stato dirlo a mia moglie.
Quando gliene ho parlato, quella sera, era sbalordita.
Non soltanto per la spesa.
“Non ti ci vedo sopra quella macchina”, ha detto.
Sei mesi dopo mi hanno chiamato dal salone per dirmi che la Morgan era arrivata.
Il giorno dopo mi sono precipitato a ritirarla.
Mi è bastato fare la decina di chilometri che mi separavano da casa per capire che, come aveva intuito, e immediatamente sentenziato, mia moglie, quell’auto non era per me.
Troppo bassa da terra, troppo lunga davanti, troppo scomoda.
Bella da morire, ma adatta al me stesso che aveva cominciato a desiderarla molti anni prima, quando non pensavo che sarei mai stato in grado di permettermela.
Un’auto di lusso per un giovincello.
O per un uomo maturo con delle velleità giovanilistiche, il che è peggio…
A casa non sono nemmeno salito.
Arrivato lì sotto, ho fatto manovra e sono tornato al salone.
“Nessun problema”, ha detto subito il venditore, quando l’ho informato del mio pentimento, “c’è un signore che ne vuole esattamente una come questa, la daremo a lui…”
Così ho preso una grossa berlina.
Alta da terra. Comoda. Veloce.
Roba per uno della mia età.
Mia moglie quella berlina la chiama Canossa…

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