Il nuovo romanzo di Marco Drago e l’importanza del primo amore

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29 Marzo 2023

Gli amori più intensi e le passioni più forti per molte persone si manifestano durante l’adolescenza e la prima giovinezza. Spesso si tratta di esperienze sentimentali così radicali da caratterizzare il panorama emotivo e relazionale di una persona a lungo, e forse per sempre, anche se con il passare del tempo sono ibridate, integrate e corrette da altre vicende. Questi amori trasformano lo scenario interiore, segnano un prima e un dopo, diventano, se non un modello, un elemento di paragone per le relazioni affettive che seguiranno. E questo accade sia quando sono più o meno felici e risolti sia quando sono dolorosi e oscuri. Probabilmente, il senso, o il fine, non sta nella qualità, o nella forma, di queste esperienze. Il centro della faccenda, più che il merito, sembra essere l’intensità. Ammesso che sia possibile dare un senso a un grande amore adolescenziale, questo forse sta proprio nella sua ontologia, nel suo esistere e agire nel percorso di formazione che inevitabilmente determina.

È proprio questo il nucleo di Innamorato, il nuovo romanzo di Marco Drago, pubblicato da Bollati Boringhieri. Al riguardo c’è un paragrafo della storia chiarissimo e illuminante: “Quel che resta dell’adolescenza è in verità tutto, le impronte sul cemento fresco possono scurirsi, possono consumarsi, ma non possono sparire, la pressione che le ha create, una volta che è stata esercitata, non può essere eliminata, non esistono strumenti che riescano a succhiare via il segno di quella pressione, di quel peso che ha determinato la forma e la profondità dell’impronta”.

In un memoir dallo stile paratattico, evidente sia nel continuo susseguirsi di frasi principali accostate le une alle altre sia nell’avvicendarsi di brevi paragrafi ciascuno dei quali restituisce una variazione, una sfumatura diversa e particolare, del tema che domina tutto il libro, l’autore racconta il suo primo amore, un’ossessione sentimentale ostinata e pura, che ha origine durante gli anni ’80 del secolo scorso nelle aule di un liceo linguistico del Piemonte.

La passione irrompe all’età di quindici anni, apparentemente dal nulla, ovvero in assenza di una conoscenza anche soltanto embrionale o di una conversazione, sia pure elementare e frammentaria. Perchè avvenga la folgorazione sentimentale è sufficiente che l’autore-protagonista, iscritto al primo anno del liceo, veda la giovane donna – “lei”, mai chiamata per nome nel romanzo, come, del resto, tutti gli altri personaggi –, sua coetanea. Un rapido e accidentale scambio di sguardi in un’aula della scuola e il nostro è già innamorato, “completamente ribaltato”. Il manifestarsi, irrazionale e inspiegabile, di una passione assoluta e atemporale, ovvero capace di vivere nello spazio senza tempo della psiche e indifferente alla cronologia, del resto, viene rappresentato anche in numerose opere scritte in epoche e contesti lontani tra loro, quasi che si trattasse di una costante letteraria ed esistenziale. Tra queste ha un’originalità archetipica la Vita Nova di Dante Alighieri. L’opera del grande poeta fiorentino nel 2021 è stata ripubblicata da il Saggiatore con il commento di Antonio Moresco, che si è prefisso l’obiettivo meritorio di scontornarla dalla sua indubbia e preziosa aura letteraria e di riconsegnarla ai lettori in tutta la sua potenza visionaria e rivoluzionaria.

Moresco nella sua introduzione spiega bene come nella Vita Nova realtà e letteratura, esistenza e trascendenza, coesistano: “Questa lacerazione tra esistenza ed essenza, questo strappare la donna ideale da quella reale, con tutti i suoi aspetti di concettualizzazione culturale e stereotipi letterari via via replicati, in Dante, come dicevo, nasce anche da un’esperienza personale bruciante e da una morte reale. In lui si sente lo strappo fondativo originario. La cosa è avvenuta davvero, mentre tante altre figure femminili idealizzate, come Vanna di Cavalcanti, Fiammetta di Boccaccio o Laura di Petrarca non ci arrivano con la stessa verità umana e pregnanza. Beatrice gli è stata strappata via davvero, prima da un matrimonio e poi dalla morte a soli venticinque anni, pagando così il tributo per essere stata una donna reale, in carne e ossa”.

E ancora: “Con la Vita Nova Dante scrive un’opera che, fin da subito, possiede un’originalità e bellezza imparagonabili, per la compresenza di ingenuità e sofisticatezza, di trauma e di trascendenza, di allegoria e stigma, di amore e morte, per la sua natura scorticata e autobiografica che diviene parte integrante di una mossa poetica ulteriore, per l’invenzione dell’amore scaraventato come una bomba nell’immaginario di un’epoca, di una cultura e di un popolo. Anche il suo titolo è straordinario, insurrezionale, tanto più in pieno Medioevo”.

Una analoga ambivalenza, o duplicità dell’esperienza, è riconoscibile in altri importanti testi di formazione sentimentale e, se così si può dire, spirituale. E anche qui, introducendo il capolavoro giovanile dell’Alighieri, Moresco attraversa e sintetizza con lucidità secoli di scrittura: “L’amore, questa dimensione impalpabile, indefinibile, questa lacerazione psicofisica, questo tramortimento e squarciamento biologico-psichico, questo traboccamento che è stato chiamato amore e che è stato via via caricato di mille altri significati e portenti è alla base di molte letterature, ne è in molti casi il materiale originario fondativo e irradiante, il brodo primordiale, l’invenzione prima che sta all’inizio della vita e del mondo e anche del suo immaginario culturale. È stato così in Francia, con i romanzi cortesi, il mito di Tristano e Isotta, di origine celtica ma ripreso da poeti normanni, e poi La pricipessa di Clèves, e poi ancora i grandi e tormentati romanzi d’amore di Balzac, Stendhal, Hugo, Flaubert… E anche nella letteratura russa l’amore è alla base della sua moderna esplosione poetica e romanzesca, con Evgenij Onegin di Puskin, con Lermontov, Tolstoj, Dostoevskij, fino a Pasternak e a Bulgakov con il suo meraviglioso Maestro e Margherita, dove l’amore è il passaggio, l’oltrepassamento del chiuso e disperato presente e la prefigurazione di un nuovo mondo. E così nella moderna letteratura tedesca, con il Werther di Goethe, Kleist, Novalis, i romantici… E così in quella inglese, con John Donne, Romeo e Giulietta e le molte altre comiche e tragiche vicende d’amore di Shakespeare sospese tra la vita e il sogno e con i suoi successivi poeti. E così – in sempre nuove, diverse e paniche forme – in quella americana con i suoi grandi e fondativi opposti, Emily Dickinson e Walt Whitman e poi con i suoi romanzieri moderni. E così in molte letterature orientali, come quella giapponese con La storia di Gengij il principe splendente e in quella cinese con Il sogno della camera rossa. E così in molte altre letterature e, prima ancora, nelle narrazioni bibliche e nei suoi poemi, come Il cantico dei cantici, nei miti antichi e nelle primigenie invenzioni di fiaba. E così anche in quella italiana, con gli stilnovisti e Dante, che consegnano questa invenzione d’amore a una nuova lingua, che uniscono vertiginosamente basso e alto. Ma persino il precedente Cantico delle creature di Francesco è un canto d’amore universale. E poi c’è l’esplosione elitaria di questo gruppo di poeti toscani che però scrivono in volgare e perciò hanno una forte tensione all’allargamento del proprio pubblico e che, come Dante, sperimentano la forma romanzo, un canale narrativo in prosa e in versi capace di moltiplicazione, di far arrivare a un maggior numero di lettori il proprio pensiero, la propria passione e la propria invenzione. Ma in questa prima opera compiuta Dante fa qualcosa d’altro e di più, si pone da subito come portatore di qualcosa di trascendente. Se infatti si paragona questo piccolo e spiazzante romanzo alle opere cortesi del suo tempo, alla poesia amorosa e concettuale di Cavalcanti – di dieci anni più vecchio di Dante ed eletto dal giovane poeta a suo maestro – si vede subito non solo la superiore potenza narrativa e figurale di Dante, non solo l’ulteriore messa in gioco personale dell’autore, non solo l’estremismo e persino la violenza del primitivo sorprendentemente unita a una quasi miracolosa naturalezza e raffinatezza, ma anche la tensione a esorbitare e a traboccare al di fuori del calco culturale da cui pure prende le mosse. Però da parte di un giovane uomo che ha vissuto veramente, sulla sua pelle, il trauma dell’incontro ustionante con la bellezza, il desiderio e l’illusione di una fusione totale con un altro essere separato e vivente della propria specie e il doloroso scarto tra esistenza e arte, che fa arrivare al lettore la ferita primeva, con immagini e accenti che nascono sì da stilemi cortesi ma che li oltrepassano per l’eccezionale e straziante sincerità, crudezza e tensione escatologica. Dante, attraverso l’avatar messianico di Beatrice, si pone da subito come figura a sua volta messianica, come esploratore e profeta, come tramite tra due dimensioni, umana e ultraumana, creando con questo sconfinamento, fin dall’inizio, le premesse per la futura Commedia. E lo fa senza nascondere la propria debolezza e fragilità umana, con il gesto disarmato dei profeti, dei santi, mostrando anche la battaglia che ha dovuto combattere per il loro superamento. Peccatore e profeta. Peccatore, inventore e profeta. Peccatore, inventore, mistificatore e profeta”.

L’ambivalenza, la doppia dimensione, la compresenza di realtà e fantasia, nel romanzo di Drago è rappresentata dal fatto che a fronte di una relazione effettivamente vissuta, e perfino felice, per un periodo di circa trenta mesi tra l’ultimo anno del liceo e i primi due dell’università, la storia immaginata e solipsistica abbraccia un arco temporale molto più ampio, quattro anni tra i banchi e le aule del liceo, e quindi i decenni successivi alla separazione, in cui “lei” rimane presente nei pensieri e nei desideri, come un’ossessione continua e di intensità variabile, anche se non dannosa né disturbante per nessuno, che si protrae in assenza di legame, oltre che di comunicazione e di frequentazione, mentre il “lui” della vicenda attraversa fasi diverse della vita e incontra altri amori.

Un aspetto importante di Innamorato è poi la capacità di cogliere, facendo propria una delle intuizioni di Pier Vittorio Tondelli, lo spirito del tempo, quel cambiamento d’epoca e di antropologia, individuato nella provincia piemontese in cui è ambientato il romanzo, ma che attorno alla metà degli anni ’80 era visibile anche altrove lungo la penisola, a partire da cui la politica quasi all’improvviso diventa meno importante per i giovani e i temi della contestazione studentesca vengono sostituiti da altri interessi. Per Drago l’evasione dalle logiche anguste e ripetitive della provincia e l’emancipazione culturale arrivano grazie alla musica new wave, all’ascolto di Frank Zappa, degli Smiths, dei Cure, dei Duran Duran, dei Talking Heads e di molti altri e grazie alla letteratura, e in particolare alla lettura dei grandi autori americani e tedeschi.

Viene da domandarsi perchè in certi amori ci sia uno scarto così grande tra realtà esteriore e immaginazione, tra relazione ed esperienza interiore. Drago ipotizza che si tratti, in sostanza, di un condizionamento culturale: “Dai poeti provenzali a Claudio Baglioni, passando per quel coglione del giovane Werther, è tutto un bombardamento di cazzate che non stanno né in cielo né in terra”. E, ancora, l’autore, in un passaggio in cui si avverte il riverbero, o la proiezione, della disperazione dell’amante che non ha potere né margine di reazione nei confronti di un sentimento inestinguibile, chiama in causa il possibile ruolo del marketing di un’industria musicale che sulle pene amorose degli adolescenti ha costruito imperi economici.

È probabile che questa componente giochi un ruolo. Ma forse conviene considerare anche un’ipotesi più finalistica. Forse ci sono amori che hanno il fine, o il compito, di farci vivere determinate esperienze. In questo ordine di idee, l’altro, la persona amata, diventa l’occasione per una sorta di trascendenza sentimentale nonché, in senso lato, spirituale, un modo, potente e concreto, alla portata di tutti e straordinario al tempo stesso, per farci sperimentare e comprendere che cosa può sentire un essere umano, dove può arrivare la nostra capacità di immaginare e di desiderare. Va da sé che la relazione, la coppia, che può esserci, formarsi, o meno, non sia il fine o la questione principale. Verosimilmente, esistono amori primordiali e speciali che sono, per natura e necessità, contemporaneamente realtà e letteratura. Molto spesso letteratura privata, interiore, destinata ad alimentare la funzione desiderante del singolo, della persona a cui è toccata quell’esperienza, quel miracolo sentimentale. Poco importa che il prodigio amoroso sia gravoso, oppure luminoso, o che contempli entrambe le situazioni. Altre volte, assai fortunate, queste esperienze si trasformano in letteratura collettiva, ovvero di tutti e universale.

 

 

 

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