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Letteratura

Sud e magia

di Luigi Vergallo
25 Giugno 2017

Oggi fa caldo. Ricordo il caldo che faceva nel giorno del suo funerale. Mamma e papà avevano convocato i parenti – e tutto il paese – per il tardo pomeriggio, come si usava e, soprattutto, come lui aveva chiesto e ottenuto. La mattina la mamma mi aveva svegliato con i soliti baci e, solo per quella volta, pure con qualche lacrima. Avrei voluto toglierle, quelle lacrime, ma non osavo toccarla. Non avevo mangiato. Non mi ero lavato la faccia. Giusto il tempo di infilare i pantaloncini e una maglietta ed ero uscito di casa, di corsa, come se volessi arrivare per primo. Ma ero da solo e non c’era nessuno.
Feci tutto il paese correndo in salita, stranamente felice. Superate le ultime case mi fermai, chiedendomi solo per un momento se lui l’avrebbe gradita, quella mia felicità, e mi risposi di sì. Dunque ripartii, ma un poco più lento di prima. Correvo e guardavo il mare. L’azzurro del mare nel mese di giugno somiglia all’azzurro degli occhi del nonno. Mio nonno, non tanto grosso ma forte. “Il più forte di tutti”, si diceva in paese. Secondo qualcuno, oltre che forte era pure cattivo. È azzurro, il mare di giugno, ma non è azzurro come gli occhi delle persone che sono bionde e hanno gli occhi celesti, no, è un colore diverso. È l’azzurro che hanno poche persone, quelle come mio nonno, ad esempio, che fino a pochi giorni prima di morire ancora sollevava chili e chili di pietre e poi le rompeva, una per una, pietra per pietra, fino a formare un muretto. “Tu devi studiare”, mi ripeteva quando capitava che lo raggiungessi in campagna per spiare lui, vecchio e mai stanco, e quel suo antico lavoro. “Studierò, nonno”, ma non ero sicuro che avrei mantenuto quella immatura promessa. Volevo fare il calciatore. Oppure il sosia di Adriano Celentano. Intanto, ancora, correvo. Arrivai presto in cima al paese. Lì, a quell’ora, c’ero io solamente, ma il cimitero era aperto. Era lì che lo avrebbero portato dopo poche ore soltanto. La tomba del nonno non avrebbe visto il mare. La tomba del nonno, mi aveva detto la mamma, sarebbe finita in fondo e poi a destra, sotto gli alberi più belli di tutto il paese. Il mare era calmo. Lo guardavo ed era come guardare dentro agli occhi del nonno, ma non fu in quel momento che capii che avrei mantenuto la mia vecchia promessa.
Dopo essermi seduto per qualche minuto su un muretto, che naturalmente aveva costruito mio nonno, e dopo aver guardato il mare e gli uccelli e le nuvole bianche, ripresi il cammino. A quel punto piangevo. Mio nonno aveva danzato con le streghe, aveva combattuto ed ucciso, aveva protetto i suoi amici. Non aveva rubato, mai, nemmeno la frutta in campagna. Non aveva pregato per un solo istante in tutta una vita. Non aveva mai chiesto favori. Poteva bere litri e litri di vino. Aveva forse picchiato sua moglie, almeno una volta. Oppure no. Nelle famiglie come le nostre la verità non esiste. Tutto diventa racconto e, stranamente, non si racconta mai niente. O quasi. Perché un momento per il racconto esiste, ma è impossibile prevedere quando arriverà. Però, quando finalmente arriva, tutti lo riconoscono. E allora il capofamiglia comincia a parlare, e può parlare per ore. Recupera tutti insieme i lunghi silenzi di un anno. E intorno a lui lo ascoltano tutti. Qualche volta recupera anche un racconto dell’anno precedente e quel racconto è ormai – in buona parte – diverso. Quel momento è sacro, e tutti lo succhiano con tutte le loro forze perché sanno che non tornerà più, un momento così, per parecchio altro tempo. Poi pian piano il racconto si spegne. I bambini hanno gli occhi spalancati e sono ammaliati. Qualche volta hanno pure paura. Da grandi si sentiranno confusi e, per un po’, persino traditi. Poi arriverà il loro turno e tutto ricomincerà da capo. Sarà il turno dei loro figli, di sentirsi ammaliati e poi offesi.
Io non ho conosciuto un nonno soltanto. Ho conosciuto il nonno raccontato da sé stesso e poi ho conosciuto il nonno raccontato dai figli e dai compagni dei figli. Ho conosciuto il nonno raccontato e temuto da tutto un paese. E poi ho conosciuto gli occhi del nonno, e di quelli soli mi fido. Voglio tanto bene alla storia che gli occhi azzurri del nonno mi hanno raccontato, quanto ne voglio alle storie che ho raccolto per strada, o alle storie ch’egli stesso ha affidato ai suoi figli, per poi vederle cambiare. “Sud e magia” era forse anche questo. Sud e magia è l’unico libro che il nonno mi abbia mai regalato.
Quando, poche ore più tardi, lo abbiamo finalmente seppellito, il sindaco ha definito il nonno “una persona semplice”. Tutto qui. Una persona semplice. In quel momento ho di nuovo guardato negli occhi del nonno, e ho finalmente giurato.

racconti
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