Oggi interroghiamo su… “Attenti al lupo!”

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3 Marzo 2015

Ci risiamo! Ogni tanto torna questa cosa dei testi dei cantautori che sarebbero da equiparare alla grande poesia, che sarebbero da insegnare nelle scuole. È tornata anche a Bologna, in occasione del ricordo di Lucio Dalla (a tre anni dalla scomparsa), quando il Ministro Franceschini, dopo essere stato coinvolto in un festoso karaoke da Gianni Morandi, ha commentato: «Questi testi sono formidabili anche senza musica, penso sia ora di insegnarli nelle scuole».

 

https://www.youtube.com/watch?v=ZiDgw2fky3w&feature=youtu.be

Sui social network molti ironizzano in queste ore sul fatto che il testo di buona parte delle canzoni cantate dal Ministro (nei video che circolano in rete si sentono spezzoni di 4 Marzo 1943 e di Piazza Grande) non sia di Dalla (che iniziò un’attività davvero di cantautore solo nel 1977, con Com’è profondo il mare), ma vogliamo prendere per buona l’intenzione generale, ben consci di  più celebri precedenti, come quando la buona Fernanda Pivano (lo racconta bene il musicologo Franco Fabbri) nell’argomentare il fatto che secondo lei Fabrizio De André fosse il “il più grande poeta italiano degli ultimi cento anni“, non trovò di meglio che citare una canzone il cui testo era stato scritto da Massimo Bubola!

 

Lasciando pur perdere comunque le questioni di coerenza e credibilità specifiche, la questione continua a non convincere e continua a suonare come uno slogan ammantato da un “giovanilismo” un po’ patetico, sia perché riguarda sempre più o meno una ristretta cerchia di cantautori di una specifica generazione, sia perché si ostina a ignorare che il testo di una canzone, quand’anche di grande valore “poetico”, è culturalmente e espressivamente legato alla canzone e al suo contesto espressivo e produttivo.

 

Ci sono ovviamente alcune ragioni “storiche”. Come ricorda bene lo studioso Jacopo Tomatis, che all’argomento ha dedicato una interessante riflessione, “l’idea di canzone come una forma di poesia si è costruita in Italia poco a poco, incorporando un complesso di ideologie, perlopiù di matrice romantica, circa l’unicità del genio poetico, l’autenticità, la centralità dell’autore… fino a creare la propria origine […] L’attributo di «poeta» è funzionale in un primo momento (i primi anni Sessanta) a qualificare una nuova generazione di cantanti che, per la prima volta, incide le proprie canzoni. Lo si trova, quel termine, qui e là sulle prime riviste che si occupano di canzoni come segno distintivo di un’alterità dal sistema, come la materializzazione di un desiderio critico prima che di pubblico: quello di una canzone nazionale in grado di eguagliare altre tradizioni (la chanson francese, ad esempio), di superare lo stereotipo, e di essere infine – con le parole di Umberto Eco – «diversa» da quello che era. Soprattutto, diversa da come era pensata: meno canzonetta, più poesia; meno effimera, più eterna“.

 

Separare il testo dal contesto d’origine – per immetterlo in un ambito formativo in cui già è un bel grattacapo trattare in modo sufficientemente esaustivo il Novecento letterario – è secondo me, a maggior ragione oggi che il cantautorato cui si fa riferimento è stato in un certo senso storicizzato, una forzatura che difficilmente si può giustificare senza il rischio di essere accusati di un’arbitrarietà dal respiro corto (perché solo i cantautori? perché solo quel periodo? di quali strumenti critico/analitici hanno bisogno? etc. etc.)

Perché alla fine estirpare le parole da una canzone per metterle su un libro di scuola rischia di essere (pur nelle buone intenzioni di partenza) una delle peggiori cattiverie che si possa fare a quel testo, a quella canzone, a quell’artista.

 

E pensare che una vera “legittimazione” possa derivare dal fatto di diventare materia di studio accanto ai Promessi Sposi e alle equazioni di secondo grado, mi sembra anche andare contro le stesse intenzioni di molti dei musicisti “candidati”, che hanno saputo spesso raccontare un periodo della nostra storia, dei nostri sogni e delle nostre delusioni in un modo che nessun docente, nemmeno il più straordinario, riuscirebbe mai a fare. A volte anche proprio “contro” la stessa scuola.

 

 

Fela Kuti diceva: “Teacher, don’t teach me nonsense!”

 

E pretendere di trasmettere il valore di una canzone trattandone il testo nell’ora di lettere è, per più di un motivo, un vero nonsense.

 

TAG: canzone italiana, Franceschini, Lucio Dalla, scuola
CAT: Letteratura, Musica, scuola

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