Il tempo decisivo è arrivato, ed è questo. La partita finale la stiamo giocando e non ci saranno tempi supplementari, perché non possiamo buttare via altri venti anni, neanche dieci, neppure tre. Questa volta la storia ha tagliato la strada agli italiani in maniera netta, si è sdraiata sui binari del nostro treno e non si sposterà: o deragliare o prendere sulle nostre spalle il compito, senza altre possiblità. Perché non siamo più il paese contraddittorio, corrotto ma vitale, indebitato ma capace di crescere, diviso in pezzi e flagellato dalle mafie ma in grado almeno di indignarsi che poco più di vent’anni fa liquidava la Prima Repubblica. Non abbiamo più figli su cui scaricare i costi di tutto quel che non funziona, perché quei figli, ormai diventati grandi, siamo noi: e siamo cresciuti insieme ai mali dell’Italia. Nel mezzo, i vent’anni che sappiamo, e la nuova novità che ha un sapore amaramente antico. Una nuova onda carismatica che parla bene la lingua del suo tempo, ma che sembra mancare della consapevolezza di futuro e del bisogno di decidere guardando lontano, per doloroso, rischioso e impopolare che sia.
E insomma, che fare? Lasciare la barca, cambiare paese e lavorare per perdere ogni traccia e ogni legame col nostro, rifluire verso le rotte del “meno peggio” scommettendo magari, ciascuno, solo sul proprio io e su quel che può rendere? È naturalmente una decisione che merita rispetto, noi però ne abbiamo presa un’altra, e la nostra strada sono Gli Stati Generali che iniziamo oggi insieme a voi. Abbiamo deciso che era il tempo di fare e non di lamentare, di aprire la via a donne e uomini capaci di saperi e azioni che possono migliorare il nostro vivere. Crediamo che saranno loro a restituirci la parola “futuro” e a liberarci dall’angoscia di chi è destinato al fallimento finale. Crediamo che quest’era di pericoli fatali schiuda la strada di opportunità irripetibili, dia spazio al coraggio e al successo a chi professa dovere e libertà, in un paese malato di permissività conformista. Pensiamo che proprio mentre le rendite rischiano di paralizzare irreversibilmente la nostra società ci sia la possibilità di incidere davvero: radunando in uno spazio aperto di informazione e di scambio di saperi chi ha da dire e da dare, restituendo alla loro generosità e ambizione un diritto di tribuna che oggi è cristallizzato in un oligopolio intollerabile.
Per questo, per tutte queste ragioni, abbiamo pensato di costruire anzitutto uno spazio di voci, sguardi e saperi qualificati, che interagiscano tra loro, con noi, con la realtà che viviamo e con le nostre città in maniera flessibile e attenta. Abbiamo concepito e costruito un sistema di intelligenze che, da punti di vista e da percorsi di formazione molto diversi, possano illuminare esigenze, bisogni e meriti nascosti, eppure vivissimi, nella nostra società, aprendo le porte ai tanti, troppi talenti colpevolmente trascurati ed emarginati. Crediamo naturalmente ancora al giornalismo e ai suoi elementi fondativi: la capacità di trovare e raccontare notizie, naturalmente, di fare inchieste che consegnino a sguardi vigili verità fastidiose, di costruire analisi ricche e opinioni informate. E cercheremo di proporre questi ingredienti con costanza, su Gli Stati Generali. Ma mentre non dimentichiamo il valore alto e prezioso del nostro lavoro, non possiamo davvero più ignorare quanto il mondo sia cambiato e quanto l’accesso massivo ai mezzi di produzione delle informazioni abbia completamente stravolto, nei fatti, il rapporto tra chi ha le competenze per produrre contenuti rilevanti e chi ha legittimo interesse alla conoscenza. Gli Stati Generali, dunque, si fondano sul lavoro redazionale di costruzione e scelta di pochi oggetti giornalistici rilevanti, da un lato, e su una pluralità di voci forti e libere, che costituiscono il nostro social media di qualità, popolato direttamente dai nostri brains che racconteranno l’Italia e il mondo che cambia a partire dalle proprie competenze, esperienze e sensibilità. Abbiamo insomma deciso di fondare, anche grazie alla fiducia di una quindicina di soci finanziatori e al lavoro di informatici e ingegneri che hanno ritenuto di investire tempo e lavoro, un nuovo organo di informazione che è, naturalmente, un’impresa. Dell’impresa condivide gli obiettivi economici e imprenditoriali.
Come ogni impresa fronteggia la fatica della burocrazia italiana e di un sistema (pubblico-privato) davvero ostile a chi ci prova. E da vera impresa si dà un obiettivo pratico ed elementare: l’equilibrio economico. Un equilibrio economico che, nel nostro caso, non può fondarsi sulle misure puramente quantitative che ereditiamo dal passato e che, nel presente, accompagnano i nuovi media più spesso al fallimento che non alla soddisfazione. Per questo, convinti che le aziende possano essere per definizione un punto di emersione elevato dell’intelligenza collettiva, puntiamo piuttosto sull’offerta di spazi evoluti di pubblicità nativa, in cui le aziende stesse possono comunicare trasparentemente a proprio nome e nel proprio interesse, cercando di raggiungere coi propri contenuti l’attenzione di persone che in rete cercano soddisfazioni a interessi, domande civiche e passioni, e sono stanchi di essere inseguiti da banner invadenti che camminano sulle spalle di oggetti redazionali virali e, necessariamente, effimeri.
Una grande scommessa, ne siamo coscienti, cui non manca l’ambizione e un po’ di – speriamo sana – follia. Ma sono, questi, gli stessi ingredienti su cui può rinascere un discorso pubblico sensato e proficuo nel nostro paese. Senza l’ambizione, la pazienza, la disponibilità a soffrire e a tenere duro in nome di un’idea di domani, l’Italia perderà l’ultimo passaggio verso il futuro. Servono, come mai prima, voci critiche e indipendenti, e un nuovo rapporto tra le competenze e l’azione, tra la sana protesta e la proposta, tra chi sa e chi fa. Da oggi dunque proviamo ad aprire questo spazio di nuova informazione e nuova cittadinanza, assieme a quanti hanno deciso di dedicare un’operosa speranza a Gli Stati Generali. Li ringraziamo fin da ora: per il tempo e le energie e perché, come noi e come chi fondò questa Repubblica oggi soffocata dalle rendite di posizione, credono che costruire il domani partendo da noi stessi sia un diritto. E guai a chi ce lo tocca.
(Fotografia di Michele D’Ottavio)
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