Maradoneide
Spettacolarizzazione e musealizzazione sono fenomeni complementari. La nostra epoca, che è quella della massima spettacolarizzazione è allo stesso tempo l’epoca della musealizzazione compiuta. Tutto è spettacolo ma proprio per questo tutto deve essere ridotto in forma espositiva, dunque museificato.
Nella nostra esperienza quotidiana la diffusione capillare del selfie mostra in modo esemplare questa spietata dialettica combinativa tra Teatro e Museo: ciò che si espone – nel caso il corpo stesso dell’espositore, ma la stessa cosa vale per ogni altro “oggetto” dalla torta di compleanno al cibo che si sta mangiando o al libro che si sta leggendo…- viene, nell’atto di esporsi, conservato ovvero museificato grazie alla fissazione asettica dello scatto fotografico. Il cellulare è, al momento, lo strumento che consente la diffusione capillare di questo ritmo binario al quale il mondo sembra marciare, in ordine sparso ma straordinariamente unitario, verso il futuro. Tutto si espone e, nell’atto di esporsi, si musealizza.
Può, forse, stupire la diffusa superstizione che il “museo” sia il luogo epifanico dello “autentico” (LA ARTE, LA CULTURA ecc.) quando, al contrario, esso è la scena – letteralmente – della sua disfatta. Il punto di massima distanza dall’autentico, l’afelio dell’orbita umana intorno al concetto di autenticità. Ma, come mostra ogni “diretta” televisiva, anche l’autenticità conclamata può trasformarsi, grazie alla fibrillazione dimensionale del teletrasporto mediatico, nell’apoteosi dell’inautentico; senza per questo intaccare minimamente la fede religiosa dell’utente nella veridicità di ciò che vede. Anzi incrementandola a dismisura.
L’assoluta, pervasiva, incapacità dei contemporanei ad accettare sensatamente l’invecchiamento del proprio corpo, che si sovrappone con la pulsione a mostrarlo, è testimonianza ulteriore di questa dialettica. Il corpo che invecchia è, nello stessa misura, musealizzato ed esposto: la museificazione del suo stato giovanile si associa con la sua spettacolarizzazione. Le due cose si implicano a vicenda. Se l’uomo vecchio si esimesse – come del resto ha fatto per millenni – dal mettersi a nudo non ci sarebbe ragione di museificare la più transeunte delle condizioni, quella giovanile appunto. Non si renderebbero grottesche, come invece accade, gioventù e vecchiaia. E se, d’altra parte, non prevalesse questa pulsione conservativa non ci sarebbe proprio nulla da esporre.
Da decenni, negli States, si opera allo stesso modo sui defunti: il morto va museificato e messo in esposizione. Ma, grazie alla volatilizzazione della fisicità questo procedimento, divenuto virtuale, può raggiungere una potenza e un raggio d’azione illimitati. Il morto, se sufficientemente celebre, è sottoposto a un trattamento che mima mediaticamente l’imbalsamazione a fini espositivi. Ciò ne garantisce il merchandising su scala planetaria.
Quello che ai tempi della dipartita di John Lennon appariva un meccanismo non ancora raffinato, ha avuto modo, attraverso Lady Diana, Fred Mercury o David Bowie di perfezionarsi fino a Diego Maradona. Se, ancora, la museificazione espositiva di un Che Guevara o di un Kennedy potevano essere disturbate da vaghe resistenze ideologiche, con la loro vaporizzazione il fenomeno e diventato “democratico” e “social” facendo apparire le adunate oceaniche d’antan come raduni di boyscout.
Uno dei portavoce più adeguati al meccanismo che sto descrivendo, il signor Saviano, ne ha fornito la didascalia: “Maradona è il riscatto, il sogno che si può realizzare”. Una versione del sogno americano finalmente alla portata di ogni favela. L’ascensore sociale che finalmente funziona a pieno ritmo, consentendo, di tanto in tanto, all’occupante dello scantinato di pervenire ai piani alti e attestando – col suo stesso funzionamento – l’esistenza delle più odiose stratificazioni sociali. Le favelas continueranno ad essere favelas ma avranno un sogno, già realizzato – e che ha dato perciò prova della sua innocuità – da realizzare ancora e ancora. Un sogno imbalsamato in una teca di cristallo, come la bella addormentata. Un sogno già sognato che non mette in questione nulla e che, anzi, conferma punto per punto l’esistente. Il sogno di un mondo come museo a cielo aperto la cui volatilità virtuale rende ossessiva la ripetizione dell’uguale.
Maradona è morto viva Maradona.
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