lettera aperta al ministro schillaci: la sanità “l’è tutta da rifare”

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5 Giugno 2024

Illustre Ministro, Caro Collega Schillaci, per capire il fenomeno delle liste d’attesa, su cui il Governo attuale sta attuando manovre che un tempo si chiamavano ” pannicelli caldi”,  basterà dare un’occhiata alla carta satellitare notturna del nostro paese che mostra la distribuzione della densità popolativa tra area urbana ed extra-urbana. Circa 50 milioni di italiani su 58 vivono in aree urbane, a causa del cambiamento climatico e del modello economico. L’urbanizzazione ha creato la tendenza alle megalopoli con aumento della domanda di servizi pubblici come trasporti, istruzione, casa, occupazione, e naturalmente domanda di salute. Quest’ultima ha risentito moltissimo di questo squilibrio ma hanno concorso anche altri fattori. Esaminiamone alcuni per capire le radici del malessere della sanità pubblica che l’attuale Governo cerca di sanare con pochi risultati.

1)                        Aziendalizzazione significa la concentrazione in una megastruttura sanitaria dell’offerta di salute, alla quale si accede senza filtri territoriali di piccolo e medio livello, sicchè alla porta d’ingresso si ritrovano il trapianto di fegato o di cuore-polmone accanto in lista alla micosi ungueale. L‘agenda politica ritiene che la lunghezza delle liste per ricoveri e diagnostica sia uno delle principali cause di insoddisfazione. In realtà questo nodo è la conseguenza e non la causa dei problemi. Discende dalla rarefazione della Medicina Territoriale per i tagli ai piccoli centri, come i punti nascite, e lo spostamento dell’offerta sanitaria nelle Aziende Ospedaliere, poste di solito nelle aree urbane o metropolitane. Mentre i centri periferici potrebbero essere convertiti in Punti di Prima diagnostica per le piccole e medie patologie. Vero è che nelle aree metropolitane di Milano e Roma si insedia il 70 e 40% della popolazione lombarda e laziale rispettivamente e che dal 2050 il 70% dell’intera popolazione sarà urbana, ma attualmente ben il 45% della popolazione vive in aree rurali ed extraurbane. A tale popolazione è riservato il disagio della desertificazione sanitaria e quando si reca in città trova liste interminabili. Il 77% di coloro che accendono una polizza assicurativa è motivato proprio dall’infinito tempo di attesa. Ma negli anni precedenti alla istituzione del Sistema Regionale e dell’Aziendalizzazione (L. 502/92), le liste d’attesa erano praticamente inesistenti malgrado: 1. La popolazione fosse di maggiore consistente a fronte dell’attuale restrizione anagrafica; 2. Il fondo nazionale fosse esattamente la metà dell’attuale ed infine 3. Il livello tecnologico delle strutture fosse meno evoluto e inidoneo a smaltire alti livelli gestionali. Finchè la polarizzazione aziendale assorbirà il 90% della domanda di salute, non si porrà in essere soluzione fattibile quale il ricorso all’incremento delle prestazioni extraorario o l’aumento del reclutamento (peraltro poco possibile) od ancora l’utilizzo quotidiano, anche festivo, delle strutture. Allora, Ministro, ci siamo ammalati tutti improvvisamente, un’altra pandemia di malattie cardiovascolari, neoplastiche e degenerative o qualcosa non va nell’organizzazione sanitaria, malgrado il Budget nazionale sia il doppio di quello anni novanta?

2)     Qualità delle strutture Aziendali. Nelle Città metropolitane, termine che edulcora quello più macro e destruente di Megalopoli, esistono gli  Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS). Fig.tabel.1

Il D. Lgs 16 ottobre 2003, n. 288, nell’istituirli, definisce gli IRCCS come “enti a rilevanza nazionale dotati di autonomia e personalità giuridica che, secondo standard di eccellenza, perseguono finalità di ricerca, prevalentemente clinica e traslazionale, nel campo biomedico e in quello dell’organizzazione e gestione dei servizi sanitari, unitamente a prestazioni di ricovero e cura di alta specialità”. Quindi, istituti di eccellenza che costituiscono una galassia di 51 strutture, di cui 30 Enti Privati convenzionati e 21 strutture pubbliche, con un finanziamento statale pari a 148.426 mln/anno. In Lombardia troviamo 20 strutture, 6 di diritto pubblico e ben 14 di diritto privato, cui è destinata una quota, assegnata in base alla performance, pari a 74.848 mln €, l’esatto 50% dell’intero fondo. Tra gli Enti Privati annoveriamo il gruppo GDS, Gruppo San Donato che raggiunge il 35% della componente privata del settore, mentre pesa per il 14% sull’intera valorizzazione dei ricoveri delle strutture pubbliche e private in regione. In sintesi, il Gruppo è costituto da 19 ospedali di cui 3 IRCCS (Policlinico San Donato, Ospedale San Raffaele e Istituto Ortopedico Galeazzi) per un totale di 5.568 posti letto e 4.300.000 pazienti curati ogni anno, con un surplus di bilancio pari a 2.500 milioni di €. Il Gruppo Humanitas del Gruppo Techint in Lombardia conta 5 strutture di ricovero (una delle quali è un IRCCS). Il Gruppo San Donato ( 55 sedi in Italia con 6.660 unità di personale medico e 5 milioni di pazienti) con Gksd sta operando l’acquisizione del gruppo polacco Scanmed e così consoliderà il suo posizionamento in Polonia e aumenterà il fatturato a circa 2,5 miliardi, mentre i posti letto saliranno complessivamente a 8.260 e i pazienti saranno oltre province e in altrettante ATS. Opera anche in altre due Regioni italiane. Ha da poco fondato una propria Facoltà di Medicina con corsi solo in inglese, dopo essere stato a lungo polo universitario dell’Università Statale di Milano. A Pavia è presente il Gruppo Maugeri. Dal 1°ottobre 2016, tutte le sue attività sanitarie sono state conferite a ICS Maugeri Spa Società Benefit IRCCS. È in terza posizione in Lombardia: 5,3% sul totale della valorizzazione dei ricoveri trattati dai privati. È presente in 6 province lombarde e in altrettante ATS e conta sedi dislocate in altre 6 Regioni italiane. Non ultimo l’ex Gruppo Veronesi che gestisce due IRCCS: Istituto Europeo Oncologico (IEO) e Ospedale Cardiologico Monzino (gruppo IEO-Monzino)33. Attribuire il 50% del fondo alla componente lombarda fa pendant nella rincorsa alle distorsioni alle decisioni del legislatore di sanare i debiti di altre strutture, questa volta romane, i Policlinici Universitari privati (Policlinico A. Gemelli e Campus Biomedico) e Ospedale Bambino Gesù. In toto gli IRCCS lombardi sono 20 su un totale di 53 e di questi quattro (Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Istituto Neurologico Carlo Besta, con Arexpo) hanno costituito la Fondazione per l’innovazione ed il trasferimento tecnologico (FITT) per un percorso di collaborazione istituzionale avviato nel 2019 su nuove tecnologie, nuovi device e nuovi farmaci. Sono le “teste di serie” delle strutture pubbliche che vengono demandate a compiti di eccellenza in campo di ricerca e dell’innovazione. A tutte le altre, sostanzialmente private tranne INRCA di Casatenovo e S. Gerardo, Monza, vanno demandati i compiti assistenziali. Le strutture direttamente convenzionate e accreditate sono 1.029 su tutto il territorio regionale lombardo. Ma nel frattempo, poiché il dibattito verte sull’aumento o meno del Fondo nazionale, ogni quale volta si aumenta il plafond si ingenera uno shunt finanziario verso le strutture private, quando vengano accreditate come IRCCS, una sorta di elevazione di rango sanitario per poter godere dei fondi nazionali riservati a questa categoria di eccellenza.
3)      LA SPESA Il valore pro-capite del finanziamento statale al SSN si attesta su una media di 1.984 euro negli ultimi dieci anni. L’incremento che si osserva annualmente, a partire dal 2014, è dovuto sia all’incremento delle risorse destinate al finanziamento del SSN che alla riduzione della numerosità della popolazione, Fig. 2. Il grafico della Fig.3 prende in considerazione il rapporto spesa sanitaria pubblica versus spesa sanitaria privata e indica quanto nei paesi europei a dimensione maggiore, di consistenza demografica ed economica, il rapporto tende ad elevarsi fino 5/6 nel segno di maggiore impronta della spesa pubblica sia come efficacia sia come efficienza.

Il dato normometrico del rapporto Pil/ spesa sanitaria non basta più a configurare il profilo dell’efficienza mentre agisce come evidenziatore quello del rapporto spesa Pubblica versus Spesa Privata. Ma a far la differenza interviene il parametro spesa globale / PIL pro-capite laddove l’Italia tocca i termini minimi per maggiore derivazione di fondi verso le esigenze private o a copertura delle convenzioni.

Il grafico n. 4 indica invece il coefficiente di insufficienza della spesa sanitaria pubblica in cui l’Italia, malgrado i già riferiti problemi di crescita del PIL, è riuscita ad adeguare la spesa sanitaria pubblica malgrado il decay del suo PIL ma scivolando fuori la parametrazione media dei maggiori Paesi UE.

Sin dai dati relativi al 2007, emerge che Spagna, Finlandia, Irlanda e Regno Unito hanno, invece, riservato alla sanità una quota inferiore di risorse rispetto all’Italia, sempre in riferimento al PIL. Tuttavia, nei Paesi dell’EU-15 l’incremento percentuale medio della spesa privata è stato del solo 1,08%, mentre quello della spesa pubblica del 7.12%. Ogni singolo governo ha cercato di mantenere lo stato sociale nel finanziamento delle attività sanitarie. Questo sembrava sufficiente a limitare l’incremento della spesa privata out of pocket, delle assicurazioni private e delle fondazioni, almeno in Europa.

La sempre maggiore tendenza a non reclutare personale medico e paramedico e a esternalizzare i servizi, unitamente all’acquisto di beni indica la tendenza a favorire aziende esterne, a non tesaurizzare le risorse umane e quindi a creare un network di fornitori e appaltatori per creane loro vantaggi. Quindi, malgrado ci sia un budget indiscutibile, dato i circa 170 miliardi in campo tra bilancio pubblico e quello privato storico di circa 37 miliardi, non si riesce a soddisfare la domanda, si chiudono i posti letto ( da 300 mila a 147 mila in una manciata di anni) e si crea dunque un sistema di spesa pubblica erogata e non investita, distribuita ad un concerto di aziende ditte appaltatrici, omettendo o dimenticando di gestire un patrimonio pubblico monetizzato, l’esatto contrario della Teoria Generale di Keynes per cui l’investimento pubblico crea profitto più che proporzionale distribuito e diffuso. È ovvio che a questo punto la dissipazione crea atrofia del Servizio Pubblico e sua incapacità di gestire la domanda di salute e dunque solo così si comprende la forbice tra malati di Serie A  e malati di serie B appare sempre più evidente fino a aumentare il divario con i malati di serie D semi-professionisti, rappresentati dalle diverse abilità. E qui lo sconcerto diventa orrore per lo stravolgimento non solo dei diritti primari sanciti dalla Costituzione ma anche di quelli umani e del rispetto civile. La risorsa sui cui si fa sempre maggiore affidamento è quella privata, lo dimostra il progressivo crescere degli accreditamenti e dei conferimenti della titolazione IRCCS riservata fino a dieci anni addietro a strutture di eccellenza sia nella ricerca sia nella cura, circa la ripartizione degli accrediti tra strutture private e pubbliche. CONCLUSIONI  Il risultato finale è che l’ancoramento al PIL del Fondo Sanitario lo soggetta a variazioni imprevedibili nel corso dell’esercizio finanziario, incompatibili con le spese previste e messe in bilancio. Inoltre, appare evidente che il Fondo sia stato implementato, e solo così ha potuto reggere lo shock inflattivo degli ultimi anni e in particolare del 2022, Annus horribilis; ne consegue che aumentare ulteriormente il fondo, come alcuni vorrebbero, significherebbe ricreare le situazioni di shunt economico: in pratica, senza le opportune correzioni legislative, più aumentano i flussi finanziari di cassa, maggiore è il rischio che tali fondi siano dirottati verso le strutture private, in numero crescente di accreditamenti e sempre più omologate al rango di IRCCS; mentre quelle pubbliche, storicamente inadatte a creare condizioni di investimenti pubblici di tipo innovativo, tecnologico e di reclutamento delle risorse umane. Oltre che essere questo un concetto di buon senso economico, è anche dimostrabile con un esempio di tipo fisico o tratto dall’idraulica dei fluidi: se da un contenitore ( finanziario in questo caso) facciamo convergere massa liquida (anche di danaro) verso un terminale a Y in cui una branca è recettiva e l’altra ostruita., con minore disponibilità perché atrofizzata, la massa si dirotterà automaticamente verso il collettore a maggiore disponibilità diametrica. Aziendalizzazione e regionalizzazione, il frutto perverso della L.502/92 sta manifestando tutte le sue iniquità sociali, trasformando il malato in cliente e rendendolo sempre meno disponibile ad un credito di fiducia verso lo Stato che spende malissimo i suoi 176 miliardi, e che dovrebbe prendere esempio dalla riforma di Obama, la cosidetta Obamacare che pur nata in uno stato dall’economia liberista e a tratti neo-liberista secondo i canoni della Scuola di Friedman, si rivela molto più avanzata verso un welfare moderno. Ecco caro Ministro Schillaci, incida sugli effetti iniqui di quelle deforme degli anni novanta, cambi la legislazione corrente, vada alla radice dei guasti e saremo tutti ad applaudirla, ma sarà molto diccifile.

Fonte, Ferrara A., Caputo A. Diritto alla sussistenza e alla salute. Tomo I, Aracne Ed., 2024, in press

TAG: aziendalizzazione, L.502/92, REGIONALIZZAZIONE, Sanità pubblica
CAT: Medicina, Sanità

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