Sulla pelle del malato la lesione costituzionale più riprovevole

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23 Aprile 2016

Il 2 giugno segnerà il 70° dal Referendum per la Repubblica e la contestuale elezione della Costituente che promulgò quella Carta Costituzionale che oggi si vuole stravolgere. Non per nulla costituzionalisti di grande vaglia parlano di deforme. Bene, c’è un articolo, il n. 32 sul diritto alla salute, che è tra quelli che non sono interessati dal referendum ma che sono in continua surrettizia erosione , specie con i nuovi decreti che stanno per sancire la fine del Sistema Sanitario Nazionale. A breve sarà in libreria il Volume “Quinto Pilastro, il tramonto del Sistema Sanitario Nazionale”, con prefazione di Silvio Garattini, Salvo Bonfirraro Editore, da cui prendiamo alcuni stralci.

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

Così recita l’art. 32 della nostra sacra Costituzione. Ed in ossequio a questo principio, una delle voci più consistenti dello Stato sociale è costituita da 111 miliardi di euro per il 2015 nel Capitolo di spesa del Ministero Salute.

Eppure, secondo il Rapporto CENSIS del giugno 2016, la sanità è negata a 11 milioni di italiani che non hanno i soldi per curarsi. E dal Rapporto Oasi 2012 dell’Università Bocconi emerge che, solo in quell’anno, i cittadini hanno pagato di tasca propria 4,4 miliardi di euro per ticket, farmaci, visite specialistiche ed accessi al pronto soccorso.

1.1

Abbiamo dunque sentito la necessità di analizzare questi aspetti che, tra le voci del bilancio, ci sembrano più significativi. Ma il futuro richiede rapidi aggiustamenti per un radicale maquillage del Sistema Sanitario nazionale, già riformato (male) nel 1978. Né la modifica del Titolo V della Costituzione che istituzionalizza Regioni, Province e Comuni, sembra aver sanato i guasti. Ed ora è giunto il momento di ridare dignità al malato che“non è un clientenè  la sanità può essere mero mercato.

Salute, sanità, scuola, servizi pubblici, sicurezza, con le sue molteplici declinazioni. Termini riferiti ai compiti precipui dello Stato e tutti con una consonante d’inizio, tortuosa come la “S”. Una via difficile da perseguire, rotta peregrina che richiede adattabilità, anche politica e numerosi momenti di cambio di passo. Tutti servizi che sono tutelati nella Costituzione, a partire dall’art.32, ai commi 3 e 4 dell’art. 34, per la scuola, ed anche nell’art. 1 è delineato il principio della sicurezza sociale ed al welfare sono dedicati gli articoli 34, 35, 37, 38, statuto lavoratori/70, SSN/74.

Nel disegno dei Padri Costituenti, il crinale esistente tra funzioni della collettività statale e funzioni derogate, surrogate o demandate al privato, era netto, senza possibilità di fraintendimento. Anche allora la diversificazione era più sfumata per gli aspetti economici o finanziari, in cui il mèlange è possibile, con un’embricatura non meno utile ai fini della sinergia produttiva. Fu lo schema, poi male applicato, delle Partecipazioni Statali.

Al contrario, previdenza, sanità e scuola erano, e dovrebbero essere anche oggi, ambiti in cui il compito di indirizzo e vigilanza statale doveva farsi sentire per obbligo costituzionale.

Le generazioni post-belliche sono cresciute con il “vissuto epidermico” della protezione da parte della collettività. Se stai male vai in ospedale, se vuoi studiare vai all’università, se vuoi lavorare cerca il posto statale. Stato-Madre, rassicurante, avvolgente. Un plateau privo di picchi d’elevazione ma che ti proteggeva come un airbag da possibili traumi o cadute verticali.

Da quando la presenza dello Stato, vuoi per motivazioni politico-elettorali, vuoi per demonizzazione ideologica, si è sempre più defilata, flessibilità, privatizzazione e sussidiarietà sono entrate di prepotenza non solo nella pratica amministrativa usuale ma anche nel lessico corrente.

Non solo e non tanto malasanità ma soprattutto mala gestio e malfunzionamento, quindi dolo e negligenza rispettivamente, che assurgono a ruolo di cause primarie del disavanzo del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) laddove l’inquinamento della politica è ritenuto quasi obbligatorio da quando l’aziendalizzazione ha posto nelle mani dei politici e degli assessorati alla sanità il 76/80 % del PIL regionale. Venti anni di aziendalizzazione sono stati sufficienti per svelare il volto duro e cinico di una strutturazione che ha trasformato il malato in cliente.

Figlia di questi ultimi tempi è una prerogativa ben poco virtuosa, forse anche nefasta, identificabile nella presenza politica. Sporadica un tempo, oggi è diventata di stretta osservanza da parte di forze politiche all’assalto di un plafond di ben 111 miliardi di euro, il più elevato capitolo di spesa tra i Dicasteri della nostra struttura governativa.

La nuova fase che si profila è quella della privatizzazione, più o meno malcelata, in cui chi può crearsi un ombrello assicurativo è parzialmente protetto, chi non può resta condannato. Mentre nei Paesi OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) aumenta la quota di PIL destinata alla Health Spending, in Italia la fase restrittiva è già in atto da tempo. Ma soprattutto è la mutazione del SSN che preoccupa gli italiani: da sistema pubblico, vanto europeo fino agli anni ottanta, a sistema semi-privatizzato, con un baricentro squilibrato a favore dei privati imprenditori della Medicina. Ed i cittadini divisi in intoccabili perché possono pagare e bistrattabili perché indigenti.

Ed il 77% dei cittadini che ricorre al privato, vi è indotto dalla insostenibilità delle liste d’attesa. Secondo il 31,7% degli italiani – con un incremento di 10 punti percentuali in più nel 2012 rispetto al 2009, quando a sostenere questa tesi, erano il 21.7% – la sanità nella propria regione mostra segni di inefficienza. Le persone che si ravvisano soddisfatte sono diminuite di oltre 7 punti percentuali, (Ferrara e Rosafio, 2013).

Il cittadino paga ben 4 volte per la sua salute: prelievi diretti ed indiretti sull’IRPEF, assicurazioni acquisite più o meno obtorto collo, ticket, ricorso obbligatorio alla medicina privata. Fa specie che tra i più interessati alla destrutturazione del sistema sanitario e previdenziale pubblico vi siano i partiti della sinistra, i sindacati e molte organizzazioni ad essi collaterali.

Il passo naturale di quanto sopra è verso i fatti di corruzione. Un crinale scivoloso ed inquietante: non si può definire diversamente la questione corruttela nella sanità, non solo per le implicazioni economiche, quanto per le evidenti ragioni etiche. Ci riporta sull’argomento il Libro Bianco sulla Corruption 2014, a cura dell’Istituto per la promozione dell’etica in sanità (ISPE) secondo cui il tasso medio stimato di corruzione e frode in sanità potrebbe ascendere al 5,59%, con un intervallo che varia tra il 3,29 e il 10% (Button e Leys, 2013). Dato il bilancio del nostro SSN pari a 114 mld, l’ammontare sottratto al malato raggiungerebbe quota circa 7 mld. (Segato et al., 2014).

Una più recente ricerca (2015) di Transparency International Italia, Censis, Ispe-Sanità e Rissc punta il dito almeno su un’azienda sanitaria ogni tre (37%) con la documentazione di episodi di corruttela negli ultimi 5 anni, non affrontati in maniera appropriata e confermando i circa 6 mld dissipati in corruzione sanitaria.

Ma naturalmente questo è un calcolo presuntivo, allocato sull’intero territorio nazionale il quale, a macchia di leopardo, presenta aree di normale e trasparente amministrazione accanto ad aree critiche come Mezzogiorno e Lombardia.

Che il fenomeno non sia trascurabile e di poco conto lo ha accertato la Guardia di finanza, che in un solo semestre, da gennaio 2014 a giugno 2015, ha fatto emergere frodi e sprechi per un danno erariale di 806 milioni di euro.

È la pubblica opinione che comunque ha un percepito negativo. All’atto delle visite specialistiche private, che sono l’ultimo stadio della fase diagnostica mancata, 10 milioni di cittadini paganti out of pocket non hanno ricevuto regolare fattura.

Medesima doglianza riguarda la cura odontoiatrica, alla luce di 7 milioni di pazienti che hanno pagato parcelle in black. Senza trascurare che anche per queste motivazioni, 4 milioni di malati hanno dovuto esimersi dalle cure perché esose.

La logica conclusione di quanto sopra è che, anche senza deforma costituzionale, almeno per quanto attiene l’Art. 32, stiamo assistendo ad una lesione persistente e pervicace della Carta Costituzionale, un’erosione continua del diritto alla salute che per la maggior parte dei malati, specie gli anziani, i disabili e quelli affetti da malattie rare, si tratta di negazione al diritto dell’esistenza.

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References:

Ferrara A., Rosafio L. Rione Sanità, chi si ammala è perduto, Aracne Editrice, 2013

Segato Lorenzo (RISSC), Del Monte Davide (Transparency International), Brassiolo Maria Teresa (Transparency International). La Corruzione nella Sanità Italiana. ISPE Libro bianco sulla corruption in sanità, 2014

CENSIS 1ª Giornata Nazionale contro la Corruzione in Sanità e per la salvaguardia del Servizio Sanitario Nazionale, Roma 6 marzo 2016

A.Ferrara. Quinto Pilastro, il tramonto del Sistema Sanitario Nazionale. Bonfirraro Editore, in press, 2106

TAG: Carta costituzionale, Referendum Anniversario della Repubblica
CAT: Medicina, Sanità

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