Perché e percome della città a 15 minuti

9 Marzo 2021

Da qualche mese circola l’idea della città a 15 minuti lanciata da Carlos Moreno docente franco colombiano della Sorbona e ripresa da alcune amministrazioni (Parigi, Barcellona, Milano, Roma) del nostro continente.
Un’idea che prende forza anche a causa della pandemia e che implica la possibilità, graduale, di ripensare l’organizzazione urbana “per avere a disposizione tutto ciò che serve per vivere a 15 minuti da casa (a piedi o in bicicletta)”.
Un’ipotesi di ripensamento della nostra vita urbana che richiama in qualche modo il vecchio concetto della città policentrica in alternativa all’idea di uno sviluppo basato su centro, semicentro e periferie.
Noi a Milano partiamo dagli 88 NIL (Nuclei di Identità Locale) “aree definibili come quartieri in cui è possibile riconoscere quartieri storici e di progetto, con caratteristiche differenti gli uni dagli altri” su cui c’è indubbiamente bisogno di fare un grande sforzo in termini di identità e genius loci.
Il percorso è lungo perché si tratta di dare sostanza ad una “città di città” ricca di presenza umana e di attività di vario tipo superando logiche di pianificazione standardizzata che danno una funzione sola ad ogni spazio senza tener conto del tempo e delle connessioni potenziali tra luoghi, persone ed organizzazioni.
Il laborioso e graduale esercizio locale che ci aspetta, proviamo soltanto sommariamente ad ipotizzarlo pezzo per pezzo, è quello di mettersi ad usare, con creatività ed intelligenza, ogni metro quadro del tessuto urbano con “spazi pieni” e “spazi vuoti” nei diversi giorni ed orari di vita della città. Un movimento che comporterebbe, se preso davvero sul serio, una straordinaria operazione di valorizzazione della sussidiarietà e delle diverse reti locali ricche di un capitale sociale inestimabile.
L’idea della città a 15 minuti infatti “richiede un duplice approccio: da un lato, ripensare e progettare una nuova organizzazione dello spazio urbano. D’altra parte…sviluppare strumenti per rilevare i quartieri della città che lottano per offrire un quartiere inclusivo e piacevole a pochi passi di distanza” (15-Minute City Platform)

Sul fronte del percome sarà necessario occuparsi del processo e del metodo; ci saranno nevitabili conflitti e assestamenti per la ridefinizione di poteri, ruoli e responsabilità. Un percorso che implicherà un cambio netto nella relazione tra PA e territorio. Servirà promuovere un intreccio tra logiche d’azione dal basso (bottom up) e dall’alto (top down) con l’ulteriore diffusione e cura di strumenti come i Patti di Collaborazione, le Agenzie locali, i Laboratori progettuali a base territoriale e il rafforzamento del sistema del decentramento politico-amministrativo. Sul piano della vita comunitaria sarà interessante creare punti di comunità (Case di Quartiere, spazi ibridi, community hub…) per pensare e fare, insieme ad altri cittadini, gruppi e organizzazioni locali creando le condizioni di vere e proprie imprese sociali di comunità.
Poi questo nuovo tipo di organizzazione spaziale e delle funzioni richiederà un forte investimento nelle reti di informazione e comunicazione di quartiere (online e off line) pensate come infrastrutture per lo sviluppo locale.

Molti poi sono i perchè di questa nuova prossimità; una questione di merito delle politiche pubbliche e dell’organizzazione locale.
Si apre l’opportunità di mappare e ripensare azioni del quotidiano; attività all’aria aperta, imparare, rifornirsi di beni di prima necessità, mangiare, spostarsi, partecipare ad attività culturali, fare esercizio fisico, lavorare, fruire di servizi e occuparsi della propria salute.
Più nel dettaglio sul versante economico immaginiamo i passi della ridefinizione del tema del lavoro (domanda, offerta, formazione, luoghi, politiche attive…), l’investimento nel potenziamento della qualità e sostenibilità della rete del commercio locale, del delivery e di tutta quella serie di servizi (fiscalità, corrispondenza, riscossione ed al deposito di risorse) che con la progressiva digitalizzazione diventeranno spazi da reinventare.
Passando all’ambito dei bisogni ne uscirebbe mutata l’assistenza sociale (sostegno al reddito, cibo, educazione, sostegno psicologico) a quella sanitaria (ospedali, ambulatori, medicina di base di prevenzione, cura e riabilitazione) in una logica di welfare mix messo davvero a sistema.
Il cambio porterebbe anche con sé la necessità di pensare a forme di abitare più collaborativo che tengano anche conto dell’evoluzione demografica e della composizione dei nuclei famigliari ed a riscoprire e sviluppare un uso degli spazi comuni (al chiuso e all’aperto) dei caseggiati.
Sul piano dei trasporti e dei luoghi, anche in considerazione dell’auspicata transizione ecologica, chiudiamo gli occhi e ridisegnamo gli spazi pubblici con più qualità (parchi, giardini, vie, piazze, slarghi aiuole, marciapiedi, arredo urbano con arte, culture e bellezza diffusa) fino a quello della mobilità interna ai quartieri (piste ciclabili, aree pedonali, ZTL, posti auto, strade) e tra i quartieri (mezzi pubblici e strade di percorrenza veloce).
Sul versante ambientale ci sarebbero opportunità per sviluppare progetti di orticultura urbana, di tutela e promozione della biodiversità, di attenzione alla gestione del ciclo dei rifiuti e di promozione di circuiti di economia circolare a km zero.
Sul fronte della sicurezza e della convivenza civile potranno esserci occasioni per attuare modalità più efficaci, partecipate e capillari di presidio del territorio.

Ecco che per tutto questo è quasi inevitabile pensare ed agire per una rinascita sociale ed economica post pandemia con una città che riparta dai quartieri.

Foto del quartiere Adriano realizzata e messa gentilmente a disposizione da Elena Galimberti

TAG: #milano, quartieri, rigenerazioneurbana
CAT: Milano

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