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Milano

Perché Grillo è più giovane di Di Maio

di Stefano Golfari
6 Febbraio 2016

Nonna mia! Quant’era vecchio Luigi Di Maio salito a Milano a prendere posizione in prima fila, a Teatro. Là dove si dice che Beppe Grillo dia l’addio alla politica, al suo ruolo di Leader, al suo regno. Il vecchio Re Leader, e il giovane virgulto.. e Virgulti. Infatti, l’unica nota giovanile era la bella “Consulente per la comunicazione” Silvia Virgulti al fianco (e perennemente attaccata al cellulare), per il resto, fra le poltroncine rosse in platea, l’estetica di Di Maio era pre-berlingueriana. Stava in giacca e cravatta anche lì, vestito scuro, e allontanati i microfoni con un filo di tristezza (“No comment”) si è calato nel ruolo dello spettatore interessato, attento, presente e un po’ impettito… nello stile di quei vicesegretari del PCI che seguivano la salma del compagno-segretario al suo funerale, fin nell’aspetto consci dell’alto dovere della successione alla guida del Partito. Ma perché?!? Perché il Vice Presidente Della Camera, nonostante la stretta frequentazione della Consulente, non capisce che… Tornato teatrante, Beppe Grillo non dà l’addio alla politica: dà l’addio a lui. Cioè a quell’ incravattamento del Movimento che lo ha chiuso nel mortale giochino del potere interno, il giochino che irrigidisce i Dirigenti nella “difesa della posizione conquistata” e blinda il “Delfino” sul fattore tempo,  sull’idea assassina del fattore tempo: morto il vecchio, toccherà al giovane. Tattica pigra, però, da primissima Repubblica: non funziona oramai nemmeno nei Partiti più antichi. E nel new-brand a 5 Stelle? Un Movimento con il successore designato non è più un movimento, è una paresi. Questo Grillo lo ha avvertito, lo ha fiutato, e con il guizzo geniale dell’artista vero…ha cambiato gioco. Autoironia, demitizzazione, Grillo contro Grillo, presa per i fondelli di se stesso. Cioè del Guru, cioè del Leader, cioè del ruolo politico assunto in questi anni e cioè del suo Movimento, con Di Maio ovviamente compreso. Lo spettacolo non cita Luigino per nome e cognome, nè Di Battista (l’alter nego) o altri uomini del Palazzo pentastellato. Ma è pieno di sarcasmo sulle paure e sulle psicosi dei “grillini”, battute che vengono solitamente prese dagli stessi come testimonianza di quanto Beppe sia stanco, e stufo della politica. Sbagliato: sono le  più vitali. L’autoironia riapre le porte, avvicina, scravatta, simpatizza con l’altro da sé. Lo spettacolo teatrale inscena la Rivoluzione culturale necessaria, altro che disimpegno. Mao Tze Grillo non ha mollato affatto: vuole invece confusione sotto al cielo per tornare a fare il Grande Timoniere di un Movimento che sia Futuro, Rischio, Possibilità, Metamorfosi, Cambiamento e Stupidità. Perché solo così ci si diverte (è pur sempre un comico) ma anche perché pure la Stupidità è meglio di una vecchia Chiesa, o Camera dei Deputati che dir si voglia. I suoi rivoluzionari sono precocemente invecchiati. Serve una scossa. E la scossa arriva sul finale, quando Grillo invita tutto il pubblico a un liberatorio “Vaffanculo” urlato, finalmente, contro di lui: contro Grillo. Una perla. Un pirla? C’è anche questa ipotesi. Ma se Di Maio non ha capito che il vaffanculo è anche per lui… beh, è più vecchio

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beppe grillo Cultura di maio elezioni Grillo Luigi Di Maio m5s politica teatro
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