Hanno perso i trapper, e adesso?

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5 Ottobre 2021

Il primo turno delle elezioni amministrative ha riservato sorprese non tanto nella direzione dei risultati, quanto nella magnitudine del cambio delle fortune politiche.

I 5 stelle, che solo tre anni fa erano il primo partito alle politiche governando la Capitale e Torino, escono da questa tornata elettorale polverizzati, ma il risultato che impressiona di più è quello del centrodestra.

Nei comuni capoluogo, il centrodestra vince al primo turno solo dove aveva governato, Novara, Grosseto, Pordenone, ragionevolmente per effetto dei sindaci uscenti, e in Calabria, dove l’opposizione era debole e frammentata. Per il resto sono ballottaggi, come a Roma, dove è davanti ma con molto minore potere di attrazione di altri consensi, a Torino, dove è secondo mentre era dato per vincente, o fragorose sconfitte. Non parlo di Bologna e Napoli, anche se in una grande città vittorie al primo turno oltre il 60% fanno impressione, ma soprattutto di Milano. Oltre 25 punti di differenza tra Sala e Bernardo sono tantissimi in una città che non è di sinistra.

Mancanza di classe dirigente? Certamente sì, a parte il consolidato drappello di ragionieri del Nord, assai marginalizzati dal nuovo corso nazionalista di Salvini, la Lega non ha prodotto figure spendibili se non al riparo delle liste bloccate e Fratelli d’Italia vive lo stesso problema, anche più grave per l’assenza di Giorgetti e Zaia e la presenza inquietante della galassia neofascista ringalluzzita da anni di blandizie e corteggiamenti.

Regolamento di conti? Anche, perché la partita si gioca a Roma (Montecitorio, non Campidoglio), per quello che accadrà ragionevolmente nel 2022 e 2023, con le scadenza del Quirinale e le elezioni politiche, dove arrivare scevri da brutte figure amministrative e gonfi di voti magari di malessere e soldi di qualunque provenienza.

Per fare cosa? Qui le risposte e le certezze vacillano. Si potrebbe dire per stare lì, per avere ed esercitare il Potere, ma è forse troppo generico, anche se non completamente sbagliato. La realtà mi pare più semplicemente essere quella per la quale il centrodestra è guidato da rider della politica, che gestiscono partiti personali rivestiti di formazioni (almeno per la Lega) storiche, il cui obiettivo è un costante e defatigante allargamento del consenso fino a dimensioni ingestibili, con il conseguente, rapidissimo sgonfiamento.

Non sono i primi, dacché questa forma di apparentamento metodologico tra la politica e i fondi speculativi è tra noi sin dal tramonto della Prima Repubblica e della sua rassicurante banda di oscillazione entro i due, tre punti massimo fra un’elezione e l’altra. Già Forza Italia aveva annunciato questo trend di crescita violenta e improvvisa, anche se, vista oggi, la gestazione del partito di Berlusconi ispira tenerezza e soprattutto la sua durata e centralità è andata ben oltre quella dei fondi speculativi. Per trovare antesignani credibili di questo pazzo mercato bisogna arrivare a Matteo Renzi e al suo storico 40% alle europee del 2014 e ai 5 Stelle con la doppietta amministrative e politiche.

Personalizzazione estenuata, liquefazione di ogni elemento politico identitario e apertura dei confini storici del partito a chiunque ritenuto utile e votante, virtualizzazione e passivizzazione della partecipazione, utilizzo smodato ed extrapolitico dei social network sono state le caratteristiche comuni a questi rider della politica, perfetti per la sciatteria della cronaca giornalistica, che li ha amati e gonfiati come rospi, salvo recuperare colonna vertebrale per decretarne notarili il declino.

Perché queste gigantesche speculazioni in bitcoin politici sono finora durate pochissimo e a irresistibili crescite hanno fatto seguire violentissimi sgonfiamenti, chiedere a Renzi e a Di Maio.

Sarà così per Salvini e Meloni? Ancora non sappiamo (ovviamente in cuor mio lo spero), anche se le crepe iniziano a vedersi. Comunque la si veda, perdere senza combattere a Milano non è comunque un buon segno, soprattutto per il proprio elettorato, mentre le vicende Morisi e soprattutto Fidanza hanno restituito l’idea di carrozzoni troppo grandi per essere sotto controllo e del costo marginale altissimo di puntare al 30% nazionale dei consensi. Vuol dire necessariamente imbarcare e dunque corteggiare chiunque, dalla marmaglia fascistoide al peggiore notabilato politico meridionale. Non andò meglio a Renzi, che riempì il PD di “imprenditori” e “giornalisti” del tutto alieni, né ai 5 Stelle, che hanno ramazzato letteralmente di tutto.

Ovviamente, gli imprenditori del consenso si muovono sulla base di un mercato, che chiaramente esiste, è volatile, sempre scontento, violento negli odî , negli amori e nei passaggi dall’uno all’altro, profondamente irrazionale, probabilmente spaventato e a disagio ma con pochissima capacità di verbalizzarlo. Un adolescente insopportabile.

Rinunciando a ogni pedagogia, la politica ha offerto in questi anni a questi adolescenti la sua versione della trap, veloce, simpatica, easy music, easy money.

L’alternativa non è il jazz, ma qualcosa si può e si deve fare, sia come osservatori che in termini di proposta politica. Perché la trap politics ha precipitato il discorso politico del Paese in uno Stato di perdurante precarietà e alienazione, allontanandolo dalle questioni importanti quanto più lo avvicinava alle parti basse dell’elettorato.

Come osservatori dei fenomeni politici, non ci si può permettere più quella sciatteria né quella pigrizia a cambiarsi gli occhiali di lettura della realtà che c’era prima: non ha certamente vinto la Sinistra, ha perso un ciclo speculativo che questa volta stava tutto a Destra, ma che rischia di ricicciare fuori in ogni momento, soprattutto in un momento di turbolenze che si agitano dietro la safety car di Draghi (che non è duplicabile e scadrà, lasciando un Paese a posto ma nelle mani dei legittimi eletti genitori, che non hanno fatto nemmeno per un secondo i compiti per rendersi meno inaffidabili e/o più attenti ai processi sociali, un disastro). Ogni ascesa impetuosa, persino quella di Calenda, deve essere attenzionata come fa la Consob con la Borsa perchè potrebbe nascondere altre bolle.

Come partecipanti appassionati e di parte alle vicende della politica, speriamo che il PD e il centrosinistra non ricommettano l’errore di considerare questi risultati un loro risultato (lo diciamo sapendo che lo faranno) e però capiscano che essere la parte politica che investe nella cura dell’amministrazione locale può rappresentare un grande investimento. Più un titolo di Stato che un bitcoin, ma per questo più a lungo termine e più sano.

Poiché il capitalismo più selvaggio si affronta innanzitutto con le regole, ne propongo una per il Partito Democratico: prevedere per statuto che la maggioranza dei posti in direzione e soprattutto delle candidature al Parlamento spettino a persone con precedenti esperienze di amministrazione locale a tutti i livelli e che le “personalità” iscritte direttamente al Parlamento siano pochi casi di chiara fama, nei quali non rietrano Mattia Mor e Tommaso Cerno.

Sarebbe il primo segno di meccanismi anti speculazione e della volontà di offrire, convintamente e non per incapacità di seguire le mode, un modello di politica diverso. Chissà, magari anche migliore.

TAG: #Elezioni2021, beppe sala, Draghi, giorgia meloni, lega nord salvini, Pd
CAT: Milano, Partiti e politici

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