C’era una volta la città più renziana d’Italia. Con l’unico sindaco di peso di matrice renziana. L’unica città importante in cui ha vinto il sì al referendum. Il simbolo di un’anomalia felice per l’ex premier e segretario del Pd. Eppure, proprio nel giorno in cui il viaggio di Renzi cerca di riprendere fiato facendo tappa al Lingotto, si fanno più netti gli scricchiolii della luna di miele tra Renzi e la “sua” Milano. La luna di miele, ormai, sembra assumere la forma di una lama di ghiaccio.
A sancire la rottura con Beppe Sala, in realtà, è oggi lo stesso Matteo Renzi. Lo fa con un’intervista, pubblicata stamane dalla Stampa e firmata da Federico Geremicca. Lo fa non con le parole che dice, Renzi, ma con quelle che non dice. All’intervistatore che gli chiede un giudizio sulla lettera confirmata da Sala e Chiamparino, Renzi risponde con un “Chiamparino ha ragione”, e via ragionando. La lettera la firmano in due, per Renzi quello degno di attenzione è uno solo. Uno sgarbo evidente, difficilmente frutto di una dimenticanza. Un avvertimento e un segno di inimicizia politica.
Nella partita muscolare che Renzi sta giocando, come da stile della casa, l’omissione è probabilmente l’ultima risposta alla lettera firmata da Sala il 15 gennaio sulle colonne del Corriere della Sera. Proprio mentre l’ex premier cercava faticosamente di riemergere dalla batosta referendaria spingendo a tutta forza sulle elezioni anticipate, Sala scriveva che la legislatura doveva arrivare in fondo, con Paolo Gentiloni premier sostenuto lealmente e attivamente dal Pd. Ma anche quella lettera – politicamente clamorosa – era una perla, non la prima, di una collana di freddezze e distanze che i più attenti e vicini hanno iniziato a contare addirittura prima del voto che ha portato lo zar di Expo a Palazzo Marino e, contemporaneamente, hanno consentito all’allora premier di raccontare quella tornata elettorale solo come una sconfitta, e non come una disfatta.
La storia di oggi, però, è ormai un’altra storia. Con Renzi che insegue il sogno dell’antica forza dando l’impressione, a tratti, di confondere la nostalgia del passato con La speranza del futuro. Proprio a Milano, nella “sua” Milano, un pezzo significativo del gruppo dirigente e dei militanti, anche alcuni renziani della prima ora e molti della seconda, hanno annunciato il loro sostegno ad Andrea Orlando. Addirittura in consiglio comunale, la maggioranza dei consiglieri Pd è schierata apertamente col ministro della giustizia. Niente che faccia pensare a ribaltamenti clamorosi, ma altrettante spie di un cambiamento di clima che ha molto da dire sul congresso e, domani, sulle elezioni. Chi ha partecipato alla presentazione della mozione di Renzi in città, ad esempio, annota che – mentre nel 2012 era evidente la voglia di ricambio generazionale, e la sala era popolata di trentenni e quarantenni – ora il renzismo milanese è per lo più fatto da sessantenni. Da vecchi militanti, insomma, nell’unica città che vede crescere i cittadini under 40.
In questo clima, qualcuno in transatlantico ipotizza addirittura l’impensabile: “Ma non è che Sala sosterrà Orlando, alla fine?”. Davvero difficile pensare che finirà così. Ma certo, quel che sembrava assurdo appena pochi mesi fa oggi può essere oggetto di una discussione politica seria, realistica, razionale. Oltre l’orizzonte di un congresso che Renzi può perdere solo impegnandosi molto, insomma, restano i segnali forti di un distacco del capitano dal suo mare. Vedremo se a dispetto di ogni scetticismo avrà ragione Renzi. O se avrà ragione Chiamparino. E Sala, of course.
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Non che la freddezza di Sala cambi granché: tanto Renzi ha già vinto il congresso, come ha elegantemente spiegato nella stessa intervista (“Non è che se io raggiungo il 48% e gli altri competitor si dividono il restante ci saranno terremoti: chi arriva primo fa il segretario”) e Pisapia si sta già adoperando per captare i voti in uscita da sinistra e riportarli al Pd… però anche questa storia è indicativa della assoluta incapacità di Renzi di mantenersi in buoni rapporti con i suoi alleati