Perché ci piace Milano? Semplice, sa cambiare
Milano è stata sempre al centro di tutti i processi che hanno riguardato l’Italia: politici, economici, culturali, industriali, scientifici.
Per questo, e non solo, è una città speciale.
Ma anche fighetta, oh si supefighetta. Scarpettine basse senza calze, camicia bianca aperta, risvoltino ai jeans da 100euro, le location, gli ape, le sfilate, l’eskimo, il moncler, gli hipster, le revenues, il Salone del mobile, il fuorisalone, gli eventi, il sottobosco, lo spaccio, i livelli di coca dentro i fiumi che l’attraversano, le tate madrelingua e le mamme in coda alla Caritas per il pacco. Delle scuole dove i tuoi compagni sono il figlio del ceo e quelle dove non ci sono nemmeno gli insegnanti.
La città delle università e dei premi nobel. La città dell’happy hour e del pane quotidiano. Delle periferie conciate male, da dove è passato il Papa, e di un centro nascosto e meraviglioso. Dei furgoni che fanno la spola con l’est; della ricchezza e dell’opulenza per pochi; della disperazione di chi arriva dalla Siria e di chi cerca un rifugio per la notte, dei sudamericani che grigliano l’impossibile e sono felici così, delle badanti che si trovano nei parchi per dividersi un pezzo di torta. E degli ospedali dove, nonostante alcuni pirati (però scoperti), ti salvano la vita.
La retorica della Milano operosa o accogliente è alla fine solo una banale tautologia sentimentale; la sua forza nasce da dentro, da chi la vive tutti i giorni.
Chi arriva a Milano si sente subito parte di qualcosa. Capisce che l’incontro con questa città gli può cambiare la vita. Qui sono nati (e finiti) molti movimenti politici. Come dice qualcuno le cose succedono a Milano.
Milano, però, può essere spietata. Non c’è gordon gekko, ma i “salotti buoni” dei “poteri forti”, l’economia e la velocità si sono un po’ impadronite della città. Il cinismo d’accatto e da smartphone di ultima generazione.
Ognuno, tuttavia, può trovare la sua Milano.
Milano è fatta da chi ci è arrivato.
A Milano ho conosciuto Alda Merini, ho potuto scambiare qualche parola con Umberto Eco e Dario Fo, vedere Prince, David Bowie, Bob Dylan, Bob Marley e Pino Daniele. All’istituto dei tumori mi hanno salvato la vita. Milano è potente.
A Milano ho visto l’avidità e la carità inseguirsi l’un l’altra. I ricchissimi e i poverissimi. Mi arrabbio quando la devastano o quando qualcuno vuole appenderci il cappello per motivi elettorali. Milano, politicamente, è riuscita a trasformarsi.
A Milano c’è sempre stata una tradizione socialista legata alle fabbriche, Turati viveva qui e prese una dura posizione contro Bava Beccaris: nel 1898 Il “macellaio di Milano” aveva fatto sparare contro gli operai.
In piazza San Sepolcro, nel 1919, Mussolini fondò il partito dei fasci di combattimento, egli arrivò nel capoluogo lombardo (dove fu eletto anche consigliere comunale) per dirigere l’Avanti. E sempre qui finì il suo folle disegno, prima con la fuga (il 24 aprile del 45) e poi con l’esposizione del suo corpo e di quello gerarchi che furono appesi al distributore di benzina di piazza Loreto. A Milano, città medaglia d’oro della resistenza, si ristabilì la genealogia socialista con i sindaci protagonisti della Resistenza. Dopo gli anni bui del terrorismo, in pieno riflusso, si affermó il craxismo. Bettino conquistò Roma e Milano dove impose la sua dinastia. Il segretario socialista fu arrestato (nel senso di fermato nella sua corsa) dal pool di Mani pulite. Sotto le monetine del Raphael fu seppellito il socialismo di Pertini e Valiani, e da allora non si è più ripreso. Dopo il “cognato” ci fu l’umiliazione del commissariamento. Tangentopoli, e la corruzione, asciugarono la Milano da bere.
Al giro di carte successivo il jolly lo pescò la Lega e la città della Madonnina divenne, con Marco Formentini, il primo dei grandi comuni guidati dal carroccio. Era il 1993. L’anno dopo, il 27 marzo,fu battezzato il berlusconismo (venuto alla luce a Milano 2, ma va bene così). È stata una stagione lunga vent’anni e sconfitta (ma non è mai detta l’ultima parola) dallo spread, dalle olgettine e dai giudici. In quegli anni a Milano c’è stato il doppio giro del grigio Albertini cui la sinistra contrappose dapprima Mister Candy (industriale) e al turno successivo il buon Sandro Antoniazzi (sindacalista in pensione), per finire con il prefetto di bronzo che le prese da donna Letizia. Il PD, pur avendo fatto entrare nel proprio pantheon il partigiano socialista Aldo Aniasi (ex sindaco), cui dedicò lo storico circolo di corso Garibaldi cancellando Togliatti dall’insegna, perse. Il distacco dal (suo) popolo era evidente. La certificazione si ebbe con l’Archistar che fu superata alle primarie da Giuliano Pisapia, il quale, poi, sconfisse la Moratti dopo una campagna fatta di sgradevoli colpi bassi. In quel momento si è segnata la sconfitta politica del berlusconismo ed è iniziata la via di una nuova stagione di partecipazione. Milano è stata la culla del progetto della sinistra arancione.
Finita l’esperienza di Pisapia, il PD, nel 2016, è finalmente riuscito a vincere con un suo candidato. Sala e Milano sono diventati il brand del renzismo, la brochure dell’algoritmo. E così, in periodo di primarie, la città torna centrale, dopo essere stata abbandonata per anni (con candidati innestati dalla società civile, senza un radicamento forte nella città). E i voti arrivati solo dai quartieri del benessere.
Questo excursus dimostra come, storicamente, Milano sia stata sempre tanto il laboratorio per le nuove formazioni quanto il luogo che ha, poi, staccato la spina.
A proposito, la Casaleggio e Associati ha sede a Milano e in definitiva si può, forse, dire che anche i 5 stelle sono partiti da qui.
La città ha nel suo patrimonio genetico la capacità di cambiare e di andare avanti, rispettando le opinioni di tutti.
Ai milanesi è piaciuto vederla ritornare viva.
Il merito come sempre è di tutti i suoi figli e non della politica seduttrice.
Milano non fa distinzioni tra chi ci è nato, tra chi ha discendenze meneghine purosangue e tra chi arriverà domani.
È una grande mamma.
Così ha accolto Einstein, Leonardo, (ahimè) Mussolini, Natta, Quasimodo, Sant’Agostino, Verdi, Stendhal, Petrarca, Montale e tantissimi altri. Ha sempre generato gli anticorpi giusti e così ha sconfitto il fascismo e la fine dell’epopea industriale.
Ripartendo, ogni volta, daccapo.
In certi casi è una città dura che non sempre ti aspetta, altre volte ti sorprende, il binario 21, il volontariato, la capacità di rinnovarsi. Per questo ci piace, anche se non tutto ci piace fino in fondo. Milano è difficile da capire, ma quando capisci cosa “hai davanti, non riesci più a parlare” dalla meraviglia
Ha ragione Almodovar, “tutto quello che non è autobiografico è plagio“. E Milano è nella vita e nella biografia di tutti noi che la viviamo, nonostante, a volte, ci faccia arrabbiare. Viva Milano.
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