Sapessi come è strano ricevere un tampone a Milano (storia vera)

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1 Maggio 2020

Giulia (nome di fantasia), 14 anni, milanese ha febbre, diarrea, spossatezza. Il pediatra ipotizza un sospetto Covid, la segnala e le prescrive sei giorni di antibiotici. Dopo tre settimane, ai primi sintomi si aggiunge la tosse. Il pediatra decide di chiamare il 112. L’ambulanza preleva Giulia e la madre e le porta all’ospedale pediatrico De Marchi. Al Pronto Soccorso madre e figlia vengono accolte dal rimprovero di un medico: non dovevate venire in ambulanza ma con un mezzo privato.

Un altro medico visita la ragazzina. Il livello di ossigeno è buono e non ci sono segni di polmonite. La diagnosi del pediatra è confermata: sospetto Covid. E il tampone? Tampone niente, è riservato alle persone ricoverate. Il medico suggerisce alla madre di evitare, meglio di no – dice – ha solo sintomi lievi: la porti a casa e restate in quarantena, entrambe. Le direttive del Ministero della Salute però dicono che in caso di sospetti il tampone si fa.

Per rientrare a casa dall’ospedale, essendo arrivate in ambulanza e non potendo per ovvie ragioni prendere un mezzo pubblico, la madre di Giulia deve chiamare il padre della ragazzina, che va a prenderle in auto rischiando a propria volta il contagio. Giulia quindi è uno di quei casi che sfugge ai dati ufficiali, e con lei la madre, il padre che vive altrove, la famiglia del padre e i relativi contatti.

La madre di Giulia, una libera professionista, si auto-denuncia al proprio medico ed avvisa le persone incontrate nelle settimane precedenti. Nessuna di queste però ha alcuna intenzione di auto-denunciarsi a propria volta. Il risultato non sarebbe il tampone e la conseguente quarantena, ma l’auto-segregazione a prescindere, per quattordici giorni, proprio mentre ci si ri-avvia al lavoro anche in Lombardia. Pochi se lo possono permettere dopo due mesi di lockdown e prospettive economiche funeste.

Non sappiamo quali siano i veri dati dei contagi – a Milano, come nel resto della Lombardia e, se questo è l’andazzo, in tutta Italia. Non sappiamo quante persone siano state costrette in quarantena solo per sospetto Covid ma senza la conferma diagnostica. Non sappiamo quante persone contagiate circolino senza sapere di essere infette.

Quel che sappiamo è che in Lombardia i tamponi non vengono fatti nemmeno a chi ha i sintomi. L’unica misura di contenimento praticata nella regione con il sistema sanitario più avanzato d’Italia non è un trattamento sanitario ma la reclusione domiciliare. In premio, dopo la quarantena, un test sierologico (forse).

Di certo i dati ufficiali su cui Governo nazionale e governo locale decidono di chiudere o aprire, aprire qui e non lì, segregare e far circolare sono falsati e corrispondono solo ad una frazione marginale di quelli reali. Così funziona in Lombardia. Brancoliamo nel buio e ci avviamo alla Fase 2.

@kuliscioff

TAG: coronavirus, Covid, Fase2, lombardia, milano, tamponi
CAT: Milano, Sanità

5 Commenti

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  1. bufanobufa 4 anni fa

    Incredibile!

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  2. bufanobufa 4 anni fa

    Incredibile!

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  3. bufanobufa 4 anni fa

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  4. bufanobufa 4 anni fa

    Incredibile!

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  5. ernesto-volonterio 4 anni fa

    Mi permetto di entrare nel merito. Purtroppo il tampone non è d’obbligo in presenza di sintomi: infatti il dpcm del 9 marzo 2020 lo rende obbligatorio solo per le persone provenienti da zone ad alto rischio. Insomma Cina o ex zone rosse. Fatto in se già grave. Ma ciò che invece è ancor più grave, e che nell’articolo non viene riportato è che per le persone clinicamente positive invece il MdS indica che esse debbano essere sottoposte a sorveglianza sanitaria, attraverso le USCA. Invece di essere lasciate a se stesse.

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