Lo spazio dei bambini

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2 Aprile 2020

Era qualche giorno che in rete si moltiplicavano gli appelli per chiedere che i bambini fossero considerati nelle ordinanze sui divieti (e quindi anche sui permessi) di uscita di casa, il principale strumento che definisce la vita quotidiana in epoca di emergenza sanitaria. Giap, il sito del collettivo di scrittori Wu Ming, è stato tra i primi a porre il problema, al quale sono seguite petizioni ai sindaci ed editoriali sui giornali. Del resto era fin troppo evidente ci fosse una sintomatica dimenticanza: nei decreti della Presidenza del Consiglio venivano esplicitamente citati i cani e scordati i bambini, ormai reclusi nelle case da trentotto giorni.

Perché non prevedere la possibilità di farli uscire da casa una volta al giorno, per permettere ai bimbi di rompere l’infinita routine casalinga e godere, come i carcerati, almeno di un’ora d’aria? Gli appelli dei genitori, come sappiamo, hanno sortito infine effetto. È di lunedì la nuova ordinanza che riconosce il permesso di uscire con i figli. Non si tratta di un “rompete le righe”, come si affretta a chiarire il Viminale, dato che “la possibilità di uscire con i figli minori è consentita a un solo genitore per camminare purché questo avvenga in prossimità della propria abitazione e in occasione spostamenti motivati da situazioni di necessità o di salute”.

Al di là dell’evidente difficoltà degli estensori a padroneggiare la punteggiatura e le sottigliezze della lingua, esattamente cosa si stabilisce di nuovo? In fondo se all’adulto era già permesso di muoversi a piedi nei pressi dell’abitazione, la stessa cosa, a logica, doveva valere anche per i bambini. E infatti molti genitori, seguendo il buon senso, in queste settimane usavano già come valvola di sfogo la possibilità di piccole uscite intorno all’abitazione, magari permettendo al bimbo di cavalcare la bici o il monopattino. Ma ora, con la nuova ordinanza, è concesso solo la possibilità di camminare, in quanto ogni altro atteggiamento è assimilabile ad attività ludica o ricreativa, esplicitamente vietata.

Il bambino dovrebbe quindi passeggiare disciplinatamente lungo il perimetro dell’isolato, tenendo la mano a mamma o papà, osservando rapito il cielo primaverile e contemplando l’irreale silenzio che lo circonda. Non sembra una grande prospettiva per un bambino, diciamoci la verità. L’altro giorno, mentre andavamo insieme dal panettiere, la mia bimba è riuscita a propormi una gara di corsa (vediamo chi arriva prima a quel cancello!) e un percorso di salto con un piede solo, sfide che ho prontamente raccolto, e l’uscita, si noti bene, è durata in tutto una quindicina di minuti. Se lo rifacessimo oggi, mi sembra evidente, incapperemmo nelle more della nuova ordinanza. Ecco un chiaro esempio in cui gli interstizi lasciati in essere da una mancata regola siano da preferire all’esplicitazione normativa.

D’altronde, il riconoscimento del diritto all’ora d’aria a misura di bambino, o almeno ad una sua approssimazione, avrebbe inevitabilmente sollevato molte comprensibili perplessità. Del resto, anche questa versione così poco impattante dell’ordinanza ha fatto scoppiare proteste e, addirittura, inviti alla disobbedienza da parte di governatori e sindaci, che sembrano persi nel tentativo di interpretare alternativamente la parte di sceriffi dal pugno di ferro e di rassicuranti capitani pronti a liberarci dalla quarantena. Perplessità comprensibili, dicevo, perché i bambini per loro natura, e grazie a Dio, non possono rispettare misure di distanziamento sociale e l’inevitabile incontro con altri bambini, con buona probabilità amici e compagni di scuola, si sarebbero inevitabilmente trasformati  in grandi abbracci e collettivi smoccolamenti.

Giochi di bambini Pieter Bruegel il Vecchio 1560

Ma non è solo la prossemica dei bambini il problema. La questione è più ampia e riguarda il modo in cui le nostre città hanno progressivamente messo ai margini i bambini, confinandoli in spazi limitati e chiusi. Chi abita a Milano con figli piccoli sa bene di cosa parlo. In un ambiente urbano densissimo, dove gli spazi pubblici sono colonizzati dalle automobili (ce ne accorgiamo ora, che le carreggiate ci sembrano improvvisamente più larghe e la maggior parte delle auto giacciono immobili ai bordi delle strade, come gusci vuoti), la vita all’aperto dei bambini è relegata ai pochi parchi urbani e agli affollatissimi spazi gioco. Chiunque abbia frequentato scivoli e altalene non può scordarne le lunghe code (impara a rispettare il tuo turno!). Per non parlare della penuria di campi per giochi di squadra o di piste per pattinare. Finita la scuola i piccoli finiscono così per passare da un ambiente chiuso all’altro: palestre, piscine, scuole di musica e inglese. Se si aggiungono i luoghi del consumo – anche culturale, sia chiaro, come cinema, teatri, laboratori – si esaurisce rapidamente l’atlante urbano dei più piccoli.

Ora che la maggior parte di quelle attività sono inevitabilmente e desolatamente chiuse – e lo saranno, molto probabilmente, ancora per lunghi mesi – ci accorgiamo di quanto poco spazio abbiamo lasciato ai bambini.  Almeno questo non diciamo che è colpa del virus.

TAG: #milano, Bambini, città, genitori, spazi pubblici, spazi urbani
CAT: Milano, società

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