Tessile, abbigliamento e filiera della pelle pagano la crisi: -22% di fatturato
Il 12 febbraio 1951 una sfilata organizzata da Giovanni Battista Giorgini (1898-1971) entusiasma giornalisti e buyer americani: è la nascita della moda italiana. Sulla passerella sfilarono creazioni sartoriali esclusivamente italiane di alcune fra le più importanti case di moda fiorentine, milanesi e romane, che accettarono di presentare i loro modelli in una sfilata collettiva. Il made in Italy oggi è ancora sinonimo di glamour ma soprattutto di qualità.
La pandemia ha messo però a dura prova il sistema moda italiano. Le prospettive dell’economia mondiale continuano a essere molto condizionate dall’emergenza sanitaria, dal grado di diffusione del Covid e dalle politiche di contenimento messe in atto dai governi. Il sistema moda è proprio tra le specializzazioni maggiormente colpite da queste misure, sia per la chiusura delle attività produttive in primavera, sia per i provvedimenti restrittivi che stanno tuttora interessando i canali distributivi.
Complessivamente, nei primi undici mesi del 2020 il fatturato del settore tessile, abbigliamento e filiera della pelle ha segnato il -22% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con oscillazioni dal -17% dell’industria tessile al -26% della filiera della pelle e dell’oreficeria.
Anche sui mercati esteri si sono registrate contrazioni diffuse a tutti i settori e verso tutti i principali mercati di destinazione (-22% delle esportazioni del nei primi dieci mesi del 2020). Tuttavia, il sistema moda italiano è riuscito a realizzare un ampio avanzo commerciale, pari a circa 15 miliardi di euro nei primi dieci mesi dell’anno (16,4 miliardi di euro con l’occhialeria). I risultati sui mercati asiatici sono significativi, perché il bilancio per l’export di abbigliamento e filiera della pelle diretto in Cina nel periodo gennaio-novembre è solo di poco negativo (-6%).
Per quanto riguarda i distretti del settore moda, tessile e abbigliamento e pelletteria e calzature di Arezzo sono riusciti a crescere nei mesi estivi, grazie ai balzi delle esportazioni in Cina, maglieria e abbigliamento di Perugia anche presso Stati Uniti e Russia.
I livelli del terzo trimestre 2020 dei distretti sono rimasti molto lontani da quelli dell’anno precedente, mostrando un arretramento di -13,9% per i beni di consumo (abbigliamento, calzature, pelletteria, maglieria) e di -21,4% per i beni intermedi (tessile, concia). Pesano le scelte delle famiglie di limitarsi agli acquisti essenziali, il crollo del turismo, nonché la diffusione dello smart working che penalizza il segmento formale di abbigliamento e calzature.
Sono molteplici le sfide che il sistema moda dovrà affrontare, dettate dalle nuove esigenze e dai diversi comportamenti che i consumatori stanno mostrando. I processi di acquisto sono sempre più orientati verso esperienze multicanali con interrelazioni continue tra negozi e online; inoltre, i consumatori mostrano una maggior attenzione verso i temi della sostenibilità, della trasparenza e dell’impatto ambientale. Le leve sulle quali le imprese dovranno concentrare i propri sforzi possono essere ricondotte a tre filoni principali: la digitalizzazione per garantire un approccio integrato dell’intero processo produttivo e distributivo; gli investimenti green per realizzare modelli in grado di ridurre gli impatti ambientali (esempio scelta dei materiali, confezionamento, trasporto); la valorizzazione del capitale umano a tutela del saper fare e delle competenze presenti e per accompagnare la transizione tecnologica e green delle imprese.
La crisi generata dalla pandemia ha in parte accelerato alcuni trend già in atto e ha fatto emergere nuovi bisogni, con la necessità di integrare e rivedere l’organizzazione aziendale con nuovi modelli di business. Per la ripresa del settore sarà fondamentale vincere le sfide poste dal nuovo scenario internazionale, rilanciando gli investimenti e, al contempo, preservando le competenze e il “saper fare” che hanno reso competitivo e unico il sistema moda italiano.
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